Ammirati dal vivo appena qualche settimana fa, non ho certo potuto esimermi dall’ascoltare il lavoro dei liguri Caligo anche su disco, quantomeno per controllare la resa del loro Pop cosi regolare, in un contesto meno triviale e casinista come può esserlo un live contest in un piccolo locale a cinquecento chilometri da casa. Innegabile che il mio desiderio di sviscerare abbia dato parecchie risposte convincenti ai miei dubbi. Se live l’ottima timbrica e lo stile di Marco Ferroggiaro erano spesso in contrasto con qualche imperfezione di troppo sia alla chitarra di Marco Maccianti, specie negli assoli, sia di Matteo Moggia alla batteria e se lo stesso Marco non era in grado di rendere complici gli altri musicisti, come Danilo Solari al basso, in quel fervore ineluttabile per suscitare empatia col pubblico, su disco, tutti questi limiti sono colmati e quello che resta in superficie sono le qualità di una band che ha ancora tantissima strada da fare ma che si dimostra prontissima a mangiare polvere e sudore e a macinare miglia. Il disco è autoprodotto e, com’è comprensibile che sia, il livello qualitativo della cover e del package non sono certamente il massimo. Allo stesso modo non convince troppo la registrazione, che, in alcuni brani ad esempio, sembra tenere troppo bassa la voce rispetto al resto (“L’Abitudine”) e non è l’unico difetto in cui ci si imbatterà.
Una cosa, però, sanno fare bene i Caligo; hanno ben chiaro come scrivere canzoni, riescono a scribacchiare quei pezzi di Musica Leggera che hanno fatto la fortuna di tanti colleghi in Italia. Brani come “Espiazione” o “Voce15” sono hit potenziali dal garantito successo se solo qualcuno le includesse nello spazio che meritano e che più si confà loro, ma anche i brani meno ordinari (“Eccomi”), più potenti musicalmente o anche solo fuori dagli schemi canonici del Pop tricolore, hanno degli scheletri melodici da far invidia ai più grandi. Quello che difetta ai Caligo per fare breccia è qualcosa che idealmente possiamo dividere in due parti distinte, poiché ho avuto la fortuna di osservarli anche in chiave live. Sul palco dovrebbero mostrarsi con maggiore trasporto e, soprattutto i chitarristi e non tanto il cantante e il batterista, dovrebbero assecondare Marco Ferroggiaro nella sua incisiva teatralità passionale. Troppo ancorati e l’idea di chi guarda è quella di una band occasionale messa al servizio del singolo artista, come fosse fatta da spogli turnisti. Inoltre i troppi strafalcioni trasmettono una difficoltà nell’esecuzione di certi brani, per cui sarebbe forse il caso di adattarli e arrangiarli in maniera più consona alle proprie attitudini.
Su disco questi grattacapi sono buttati alle spalle, anche se emergono altri limiti sostanziali. Escludendo il discorso su artwork e registrazione (siamo costantemente in contatto con le autoproduzioni e quindi non ci sentiremmo mai di condannare per qualche imperfezione di questo genere, se non troppo marcata) c’è da dire che i Caligo non possiedono certo una tecnica fuori dal comune, non sono provvisti di una voce che possa reggere da sola tutta la proposta artistica, non hanno un prodotto alternativo al resto da farci ascoltare. Sanno scrivere canzoni, questo sì, ed è su questo che possono e devono lavorare. Elaborano belle composizioni, con buonissime melodie, ma se questo vuole essere il loro punto di forza, si deve adoperarsi il doppio, con una ancor più meticolosa ricerca melodica e magari, creando una struttura dolce che possa fare da impalcatura alla musicalità più curata e che vada oltre l’esecuzione strumentale didattica di oggi.
In aggiunta, anche ai brani più buoni scarseggiano dei ganci utili a rapire immediatamente l’ascolto ed è su questo che devono lavorare, sul sound, su hook subito avvincenti che rapiscano l’orecchio di chi magari ascolta distrattamente per poi aprire la strada alle armonie vocali di Ferroggiaro, oltretutto avvantaggiato dalla lingua italiana usata con dedizione, visto che parliamo di ambienti popular. Una volta fatto ciò, le canzoni potranno suonare in mille modi diversi, più naturali come le hit già citate o più cariche come “Pioggia sulle Ossa” (che contiene una pseudo citazione di Bob Marley), non importa. Perché una volta che un brano ha un gancio, una melodia d’impatto, una buona voce, un discreto arrangiamento e una degna registrazione, tutto quello che serve è solo un posto dove far girare il disco, il resto viene da solo. Il Pop non è Musica Leggera ma molto di più.
autoprodotto Bob Marley Caligo Fragili Ossessioni Pop-rock Silvio Don Pizzica
Last modified: 20 Gennaio 2014