Il magico mondo di “Canale Paesaggi”, tra tg regionali e televendite: intervista ai Post Nebbia

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In un periodo di sempre più playlist e sempre meno album nel senso più stretto del termine, ecco che arriva una band padovana a rimescolare le carte in tavola.

(di Filippo Duò)

Stiamo parlando dei Post Nebbia e del loro disco Canale Paesaggi, uscito il 23 ottobre per l’etichetta Dischi Sotterranei e trainato da un immaginario ben preciso già delineato con i precedenti singoli: Televendite Di Quadri, Vietnam e Persone Di Vetro. Siamo di fronte ad un vero concept album, capace di far immergere l’ascoltatore per poco meno di mezz’ora in un universo lisergico e surreale, dominato dal tema portante della televisione, tratteggiato con uno sguardo in bilico fra satira e sociologia.

La mente del gruppo è Carlo Corbellini, ventunenne autore e produttore di tutti brani, che, affascinato dalle dinamiche ricche di nosense dei canali televisivi locali e influenzato dai lavori di David Foster Wallace e David Cronenberg, ha deciso così di dedicare l’intero lavoro alle giornate trascorse davanti al piccolo schermo. Giornate in cui si passa con facilità dall’ozio al divertimento, dalla noia allo stupore, creando una propria bolla personale fatta di reference al limite dell’assurdo.

Telegiornali regionali, documentari di bassa lega, televendite e talk show autoreferenziali sono i protagonisti della narrazione del disco, facendo capolino tra un pezzo e l’altro grazie a sample vocali e distorsioni sonore, quasi come fossero glitch improvvisi o interferenze di segnale. Voci fuori campo che parlano della Valle di Zoldo e conduttori di Telecittà che invocano l’aiuto dei Carabinieri di Vigonza sono solo alcuni elementi di quello che può essere considerato anche un percorso audiovisivo, un’immersione atmosferica in un pomeriggio tipico passato davanti alle reti di provincia.

Il tutto è condito da rimandi a una certa comicità americana tipica di “Adult Swim”, il blocco notturno di Cartoon Network, in particolare “Eric Andre Show” che, insieme a personaggi di culto come il pittore Bob Ross con la sua trasmissione “The Joy Of Painting”, pubblicità di auto e orologi e flashback della Guerra del Vietnam, formano una buona fetta del guazzabuglio culturale postmoderno e iper-capitalista tipico degli Stati Uniti del Novecento.

Il sound, nonostante i richiami all’estetica lo-fi, è frutto di un’accurata produzione, tra batterie sincopate alla Nate Smith e bassi pulsanti che fanno da scheletro alle composizioni, dando vita ad un pop psichedelico dalle numerose reminiscenze new wave e art rock, tra le quali spiccano Tame Impala e Arctic Monkeys.

Abbiamo allora fatto una piacevole chiacchierata con Carlo per approfondire il mondo da cui è scaturito Canale Paesaggi, telecomando alla mano e tv sintonizzata su Telecittà ovviamente.

Il titolo del disco è una citazione di “Ritorno Al Futuro – Parte II”. Che spazio riveste la cultura pop nel tuo immaginario? Quanto sei influenzato da essa?

Tanto! Sono cresciuto alternando la VHS di Star Wars Episodio IV a quella di Toy Story circa tutti i giorni e in generale la televisione, sia tramite videocassette che trasmissioni di vario tipo, è il mezzo con il quale durante la mia infanzia sono entrato in contatto con la realtà fuori dal mio contesto.

L’album è costellato da campioni di stranianti frammenti di programmi di tv locali, televendite e molto altro. Cosa ti affascina in particolare della televisione da decidere di farne il concept portante del disco?

Diciamo che tutto ciò che ho assorbito negli ultimi anni a livello artistico aveva sempre qualcosa a che fare con la televisione o l’intrattenimento, vale per “Eric Andre Show” come per “8 e mezzo”, quando me ne sono reso conto ho iniziato a riflettere sulla mia esperienza con queste cose e ho subito visto il potenziale a livello di scrittura del tema, specialmente per me che adoro scrivere i testi a immagini.

Ho notato una certa passione per la surrealità, a tratti trash, del piccolo schermo, soprattutto per quanto riguarda la dimensione regionale. Quali sono i tuoi punti di riferimento in tal senso, i tuoi programmi irrinunciabili? Anche come guilty pleasures.

Molto semplice: tutti i canali dal 53 in su. La mia modalità di guardare la televisione regionale è la stessa di quella puntata di “Rick & Morty” in cui collegano un device alla tv che permette di vedere i canali di altri universi, con la differenza che in Veneto non c’è bisogno di cercare dimensioni parallele per trovare roba brutta e strana.

Il disco è un piccolo viaggio nell’assurdo della nostra società, con affreschi psichedelici e allucinati di bolle virtuali, capitalismo arrembante, lo spettatore che diventa merce e molto altro. Ti sei accorto che il tutto era unito da un filo conduttore a lavoro fatto o è stata una scelta ragionata?

Diciamo che avevo un’idea molto definita di come volevo che il disco venisse a livello di atmosfera e svolgimento, i temi sono venuti quasi di getto anche se sapevo di avere la televisione e affini come punto di partenza.

Sembra che tu abbia trovato una linea di continuità tra la nascita del mezzo televisivo e quella dell’algoritmo di Facebook, il tutto filtrato tramite riferimenti a Foster Wallace e Cronenberg: che affinità hai trovato tra questi mezzi di espressione? Può esserci un collegamento tra Adult Swim e i meme?

Trovo che tante dinamiche di un mezzo si siano conservate nella transizione che ha portato i social e i servizi di streaming a sostituire la televisione come mezzo di riferimento. La cosa interessante del fenomeno meme a qualunque grado è quanto ogni contenuto di intrattenimento possa avere una seconda vita quando viene portato su altri livelli di lettura, a volte fino a raggiungere l’esasperazione.

Crescendo in provincia mi ha sempre colpito l’autoreferenzialità delle tv regionali e il tono fuori dal mondo di certe trasmissioni notturne di televendite: credi sia un fenomeno strettamente generazionale oppure è universale e applicabile a tutti gli emisferi e a tutte le età?

Domanda interessante! Difficile rispondere, forse la cosa interessante della tv regionale è il fenomeno della localizzazione di un medium che abbatte le distanze, che oggi è rappresentato da altre cose: anche solo il fatto che esista una pagina di meme per ogni argomento o un canale YouTube per ogni area di interesse. Forse quello che questa transizione ha portato è un’ulteriore facilità di creare contenuti personalizzati e quindi autoreferenziali. La cosa ha lati positivi e negativi: da un lato l’intrattenimento è più democratico e specifico, dall’altro si tendono a creare delle bolle da cui poi è difficile uscire.

Mi ha colpito in particolare il singolo Vietnam e il suo testo, ci racconteresti qualcosa in più sulla sua genesi?

Il testo di Vietnam è nato da una scena di “Wonder Showzen”, che è questo show televisivo americano che sostanzialmente mette insieme modalità da programma per l’infanzia – è completamente recitato da bambini – a un umorismo così nero che ti chiedi come siano stati in grado di realizzarlo legalmente. La scena in questione è costituita da un bambino che ha un flashback del Vietnam con tanto di morti esplosioni e urla, e ho pensato di scrivere un testo che riflettesse quel mood.

Come hai lavorato dal punto di vista produttivo? C’è una grande omogeneità nei suoni e si percepisce una cura dal respiro internazionale, sono molte le reference presenti.

Ho prodotto questo disco in un momento in cui sentivo di aver sbloccato alcune abilità in termini di riproduzione di alcune cose che ascolto, e ho cercato di condensarle più o meno tutte: ho prodotto moltissime strumentali e loop che poi ho selezionato e da ognuno di questi frammenti ho tirato fuori una canzone, si potrebbe dire che ho lavorato al contrario.

A tal proposito, quali dischi ti hanno maggiormente folgorato nell’ultimo periodo? Ti va di consigliarcene alcuni?

Sto ascoltando moltissima musica brasiliana, uno su tutti il disco omonimo di Arthur Verocai. Poi sto scoprendo Micheal Nau, cantautore folk lo-fi che mi fa impazzire secondo me molto sottovalutato, e soprattutto Gill Scott-Heron e Brian Jackson, tutto quello che hanno fatto insieme spacca.

C’è coerenza anche nella scelta dell’artwork e delle foto cha accompagnano il lavoro: osservandole ci si sente persi in un universo lisergico d’altri tempi ma anche estremamente contemporaneo. Come ti sei approcciato a questa fase creativa?

Abbiamo lasciato campo libero a Riccardo Michelazzo, un fotografo di Bassano che penso abbia interpretato in un modo bellissimo l’atmosfera del disco: ogni volta che ci arrivava un artwork di un singolo o del disco ho pensato “è lui”.

Nonostante il periodo di grande incertezza collettiva, cosa hai programma per il futuro? Che aspettative hai?

Sto imparando a vivere senza la speranza! Non è vero: sto aspettando con ansia che si possa tornare a suonare e a viaggiare per fare in modo che questo progetto possa crescere e raggiungere le persone a cui vuole parlare, a prescindere da quante siano. Ora come ora il futuro non esiste, difficile parlare di progetti futuri, inizierò a pensarci concretamente quando tornerà ad esistere.

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Last modified: 21 Dicembre 2020