La premessa è d’obbligo.
Non ero mai stata a un concerto di Carmen Consoli.
E suono in una band di sole donne.
E sono donna. Eterosessuale. Con una vita sentimentale attualmente ai limiti del ridicolo.
La “cantantessa”, così la chiamano da sempre. Ma fin dai primi secondi, si scopre che è molto di più di una poetessa che canta. Un animo Rock che non si è neppure sopito con l’età, con la gravidanza e la maternità, col ritiro dalle scene per cinque anni, dopo la morte del padre e tutte quelle storie di cui all’ascoltatore deve fregare ben poco. Sul palco in tre. Tre donne, le nostre “geishe per una sera”. Della ragazzina coi capelli assurdi degli anni ’90 non è rimasto davvero niente. Carmen è l’esempio lampante di una donna che ha acquistato una grandissima consapevolezza di sé, del suo ruolo di donna, nelle miliardi di sfumature che implica. Sexy in una t-shirt nera un po’ larga, ancora più sexy dopo il primo cambio palco, quando indosserà la maglietta del Piam Onlus con la scritta “L’accoglienza fa bene”. Nessun imbarazzo in tutta questa femminilità dirompente e spontanea, ma soprattutto un’energia incredibile.
Apertura ruffianissima e azzeccata, che strizza l’occhio al passato: “Geisha”, “Mio Zio” e soprattutto “Sentivo l’Odore”. E queste tre (con lei Fiamma Cardani alla batteria e Luciana Luccini al basso) hanno una pacca sorprendente. Composte, con solo alcuni movimenti ritmici del corpo delicati e mai volgari ma letteralmente un muro di suono che fa vibrare tutta la piazza. Ci guardiamo stupiti. Non che la Consoli da cd non sia già più di qualcosa, ma accidenti dal vivo: c’è pathos, davvero, come non fossero vent’anni che canta quelle canzoni, e c’è una pulizia sonora e una precisione tecnica invidiabile, senza che ci si lasci mai andare a virtuosismi e inutili arabesque.
Seguono tre tracce dall’ultimo disco, L’abitudine di Tornare: la quasi title track “Tornare è un’abitudine”, “La Signora del Quinto Piano” e la splendida “Ottobre”, un paesaggio sul finire dell’estate con dettagli finissimi sulla vendemmia che mi fanno sentire il caldo della Sicilia e soprattutto con quel verso maledetto piuttosto che il limbo avrei scelto l’inferno, che chiunque può riempirsi a piacere di significato prima di farsi attraversare da un brivido.
“Matilde Odiava i Gatti” e “Per Niente Stanca” sono praticamente coperte dalla voce del pubblico, molto più eterogeneo di quanto mi aspettassi: donne, uomini (che a sorpresa sanno tutti i testi e li urlano più di quelle che invece ti aspetteresti), mezze età, under30, curiosi sopra i 20 che a mala pena andavano all’asilo quando la Consoli ha debuttato, alternativoidi, gente con le Hogan, coppie di fidanzatini che si tengono per mano incuranti che il 99% di ciò che viene cantatato su quel palco sono lacrime d’amore e che hanno parecchie possibilità di immedesimarcisi per bene tra qualche tempo.
Mi rendo presto conto che di Carmen e i miei 20 anni ho conservato memoria per i brani d’attitudine più Punk-Rock, così avevo rimosso “Fino all’Ultimo”. Inutile dire che sulla soglia dei 30 anni e con le premesse fatte all’inizio, sia stato uno dei momenti pelle d’oca di tutto il concerto e che probabilmente adesso non la dimenticherò più.
Il concerto prosegue con “Bonsai #2”, “Sintonia Imperfetta” e la seducente “Stato di Necessità”.
Carmen parla poco, molto poco. Fino a qui forse ha giusto ringraziato un paio di volte tra qualche larsen di fine brano. Per “Esercito Silente” però, due parole le spende: «Da bambini ci dicevano sempre “Chi fa la spia non è figlio di Maria”. Io ho sempre odiato quella frase, perché educa all’omertà». Per simmetria, nel testo del brano (anche questo dall’ultimo disco) ci si chiede se il buon dio perdonerà il silenzio. Davvero una costruzione acuta e finemente letteraria del proprio pensiero. E di nuovo, per un numero di volte che ho smesso di contare da quando il concerto è iniziato, mi trovo piena di ammirazione per questa donna.
Seguono “Fiori d’Arancio” e “Contessa Miseria” e ancora una volta è manifesto che nulla è lasciato al caso, neppure la vicinanza di due brani che affrontano tutt’e due la tematica dell’abbandono sull’altare, il primo di una giovane sposa, il secondo di una donna alle porte dei sessanta, disperatamente sola, la vita ibernata a vent’anni. E come per rabbia, parte una potentissima “Venere”: tra noi siamo quasi stanchi di continuare a ripeterci quanto siano fighe queste tre là sopra, nell’accezione totalizzante del termine.
E Carmen parla di nuovo (lo farà solo più per ringraziare Fiamma e Luciana, oltre al pubblico) nel presentare il brano scritto con Max Gazzè, “Oceani Deserti”.
Il primo encore è una mitragliata di pezzoni: “Parole di Burro” (intonata da sola con l’accompagnamento della semplice chitarra), “Confusa e Felice”, l’ironica “AAA Cercasi” e “Besame Giuda”. Un climax, di suoni, di luci, di urla. La cantantessa ha due corde vocali forti almeno come i coglioni metaforici di cui l’hanno e si è fornita nel corso della vita.
Il secondo encore è di un’intensità incredibile. Un fondale blu, lei sola e la sua acutica: “Blu notte” ci pietrifica letteralmente perché non è una canzone facile sotto nessun punto di vista, dall’estensione all’intonazione di certi finali di verso dissonanti, passando per l’interpretazione, per altro nella scelta così musicalmente scarna. Eppure Carmen carica ogni singola parola di aria e di intensità, come se la ricordasse ancora quell’occasione che l’ha portata a scrivere quel testo.
Ho i brividi di nuovo a scriverne.
Beddhra Carmen.
Asti Musica Carmen Consoli L'Abitudine di Tornare Tour
Last modified: 17 Luglio 2015