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Rivoluzioni musicali in mostra alle OGR di Torino

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Quando si parla di musica, ognuno ha senza dubbio i propri riferimenti, i propri miti, le stelle polari che lo guideranno lungo il corso della propria esistenza ,in lungo e in largo, a destra e manca, forever and ever, “finché morte non vi separi”. Alcuni di questi miti, però, non fanno solo parte del nostro universo musicale, ma sono delle vere e proprie pietre miliari della storia della musica, simbolo di un’ epoca, esempio per le generazioni future ed esponenti di rivoluzioni che hanno deviato il corso della storia stesso.  Ed è proprio a questi Dei dell’Olimpo musicale che fa riferimento Alberto Campo, curatore della mostra fotografica Transformers – Ritratti di Musicisti Rivoluzionari, allestita presso i Cantieri OGR di Torino e visitabile dal 28 settembre al 3 novembre 2013. Il filo conduttore che la caratterizza è quello della “Trasformazione”, tema tanto caro alle ex Officine Grandi Riparazioni Ferroviarie (una delle ultime testimonianze della storia industriale della città), oggetto di un recente restauro che le ha restituite alla popolazione torinese sottoforma di “Cantieri Culturali”, sede di eventi musicali, teatrali, mostre, fiere ecc.

Ed eccoli allora sfilare uno per uno i Grandi della musica, in una serie di scatti che li ritrae durante la loro vita di artisti (con una predilezione per quelli realizzati durante gli eventi live) e di comuni mortali; un richiamo all’idea della “Trasformazione” come trapasso dalla dimensione pubblica a quella privata. Le fotografie sono attinte dal vasto bacino messo a disposizione da Getty Images, ed abbracciano sessant’anni di musica (dall’avvento del Pop negli anni ’50 all’era del web e delle tecnologie digitali odierne); il sottofondo musicale è una lunga colonna sonora composta da canzoni-simbolo degli artisti considerati. Campo fa cominciare tutto con Elvis (e come dargli torto!), opportunamente inserito nella sezione “Origini della Specie” e fotografato durante una delle sue celebri mosse di bacino. La seconda tappa porta il titolo de “l’Invasione Britannica” ed i protagonisti non potevano che essere Beatles e Rolling Stones, considerati perennemente in antitesi. Gli anni ‘60 si tingono anche di Folk e dei ritratti di un giovanissimo Bob Dylan, che con la sua “Blowin’ in the Wind”, cantata come inno di chiusura dei comizi di Martin Luther King, diviene il rappresentante della “Canzoni di protesta”, mentre Miles Davis e James Brown lo sono del Jazz e del Soul-Funky nella sezione “Black Power”. Si conclude un decennio e ne comincia uno nuovo, segnato dall’ “Utopia Hippie” che vede i suoi massimi esponenti nei Doors e in Jimi Hendrix (immortalato mentre dà fuoco alla chitarra elettrica durante il festival di Monterey), mentre il Transformer per eccellenza, David Bowie (nelle vesti di Ziggy Stardust) trova posto nella sezione “Rock a Teatro” insieme alla primissima formazione dei  Velvet Underground (fotografati con l’immancabile Andy Warhol ), quella di cui faceva parte anche la splendida Femme Fatale Nico, immortalata in un primo piano stupendo, mentre indossa una maglietta riportante la scritta Fragile. Nella sezione “gli Outsider” si piazzano Tom Waits e Frank Zappa, mentre l’unico artista italiano preso in considerazione, Ennio Morricone, non poteva che collocarsi nella sezione “la Musica Come in un Film”. Passano gli anni, cambia il modo di far musica, che diventa “definitivamente prodotto dal vivo su larga scala”: Led Zeppelin e Pink Floyd sono esempio dell’ avvento dei grandi concerti che riempiono gli stadi. Dall’altro capo del mondo, sempre in quegli anni, “One Love”, Bob Marley si faceva portavoce di un nuovo genere musicale: il  Reggae. Altra rivoluzione musicale degna di nota in quegli anni è il Punk, rappresentato nella sua forma più grezza dai Sex Pistols (lo scatto che ritrae Johnny Rotten nel tentativo di armeggiare un paio di forbici enorme parla da sé) e nella sua forma più colta da Patti Smith, la sacerdotessa del Rock che sembra non aver alterato con gli anni l’espressione che ha in volto mentre canta. Gli anni ‘80 sono quelli dell’ Hip Hop dei Beastie Boys, del re e della regina del Pop: Michael Jackson e Madonna. Gli anni ’90 segnano una frattura col decennio precedente grazie all’avvento del Grunge e dei Nirvana: il primo piano di Kurt Kobain troneggia in sala (forse è una delle immagini più belle della mostra), mentre ha in mano la chitarra che riporta la scritta “Vandalism: beautiful as a rock in a cop’s face”. La mostra arriva fino ai giorni nostri, e si conclude con l’ “Evoluzione della Rockstar” verso una musica sperimentale e ricercata, i cui esponenti sono rappresentati da Björk e Radiohead (riconoscere una foto scattata durante il loro ultimo tour del 2012 ti fa sentire fiero di esserci stato) per chiudersi definitivamente con l’avvento della musica elettronica dei Kraftwerk e dei Daft Punk nella sezione “Technologia”.

I grandi assenti? Tanti, ognuno sicuramente troverà qualche suo “mito” mancante all’appello. In ogni caso, non è un buon motivo per privarsi di questa mostra, che non è una semplice esposizione fotografica, ma un viaggio visivo e sonoro indietro nel tempo, verso tappe della storia e rivoluzioni musicali compiute dai musicisti che tanto amiamo. Allacciate le cinture, si parte.

Fonti: http://www.ogr-crt.it/events/transformers-ritratti-musicisti-rivoluzionari/

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Decreto Valore Cultura, un primo passo verso la semplicità.

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Come italiani siamo abituati a Decreti Legge che assomigliano più a melting pot che a vere leggi ad hoc che potrebbero migliorarci la vita; questo perché, come ben sapete, riusciamo ad essere un paese d’accordo su poche cose, anzi pochissime, che di solito derivano da un precedente stato di immobilità politica totale e da una spinta falso progressista. È il caso del Decreto Valore Cultura che in pancia tiene innumerevoli norme per rilanciare quest’ultima, oramai ridotta ad un colabrodo dai precedenti governi e dalle stesse persone che hanno votato questa legge. Basti pensare a Pompei diventata oggetto di vergogna in mondo visione per l’estremo decadimento del sito archeologico patrimonio dell’UNESCO e non più motivo di vanto all’estero. In se, il DL, contiene una serie di “strategie” per il rilancio dei siti archeologici, appunto, con “Interventi di tutela e di valorizzazione di luoghi e beni culturali”, “Interventi per assicurare risorse al sistema dei beni e delle attività culturali”, che si traduce in musei sempre più aperti e semplificazioni nelle procedure per acquisire le donazioni private e dulcis in fundo: “Interventi per il rilancio del cinema, delle attività musicali e dello spettacolo dal vivo”. Qui è stata inserita una prima norma, di cui ancora non conosciamo bene l’applicazione, per semplificare la Musica dal Vivo ispirandosi al Live Music Act adottato in Inghilterra e che di fatto liberalizza gli eventi Live con meno di 200 persone e che terminano entro le ore 23. Voluta fortemente dall’ex-assessore alla cultura del Comune di Milano Stefano Boeri che tramite la piattaforma Change.org, dove è possibile seguire tutta la vicenda, è riuscito a raccogliere 37.000 firme, tra cui anche quelle di Rockambula, per far inserire tale proposta nel DL sopra citato. La petizione inizia così e non potevamo non firmarla:

“Gentile Ministro Bray,

i Rolling Stones, gli Who, gli U2, ma anche i Beatles (nel mitico Cavern di Liverpool) hanno cominciato a suonare nei pub e nei locali dal vivo, per qualche decina di ascoltatore sparso tra i tavoli o in piedi con una birra in mano.
La musica, come ben sappiamo, non è un prodotto preconfezionato.
Nasce in situazioni imprevedibili –un incontro casuale sui banchi di una scuola davanti a una pizza, sulla rete- e cresce in luoghi spesso occasionali: uno scantinato, un garage, una soffitta. Ma subito cerca, come l’ossigeno, un pubblico e uno spazio per mettersi in scena, magari davanti a pochi amici o parenti durante una festa, un matrimonio, una serata in un locale. Aiutare la musica a crescere, significa offrire a migliaia di giovani donne e uomini la possibilità di suonare in pubblico e dal vivo.”

Ma veniamo al sodo,  spulciando il Capo III del decreto ci si imbatte subito in una norma che finanzia, in parte, la realizzazione di fonogrammi e videogrammi che siano opere prime, o seconde, in cui è riconosciuto un credito di imposta, cioè uno sgravio del 30% dei costi sostenuti per attività di sviluppo, produzione, digitalizzazione e promozione di registrazioni fonografiche o videografiche musicali. Certo, dal 2014 fino al 2016, certo fino a fine fondi, 4,5 mln di euro, certo alle imprese. Alla fine, scritto piccolo piccolo, vengono introdotte due modifiche ad articoli contenuti nel “Testo unico delle leggi di Pubblica Sicurezza”, una legge del 1931, pensate un po’ come siamo messi, che vengono così modificati: «Per eventi fino ad un massimo di 200 partecipanti e che si svolgono entro le ore 24 del giorno di inizio, la licenza e’ sostituita dalla segnalazione certificata di inizio attività di cui all’articolo 19 della legge n. 241 del 1990, presentata allo sportello unico per le attività produttive o ufficio analogo»;  Quindi da oggi in poi basterà una semplice autocertificazione da presentare in Comune senza neanche il bisogno della “licenza dell’autorità di pubblica sicurezza”. Questo, come ammette lo stesso Boeri, è un piccolo passo verso quella che vorrà essere una riforma dello spettacolo da vivo. Speriamo. Un po’ poco per ora, viste le 200 persone, ma pure sempre qualcosa in un panorama legislativo desertificato dai “cazzi propri”. Sono sicuro che tutto ciò gioverà sopratutto a quei piccoli locali, associazioni, che già faticano a sopravvivere e di sicuro diminuirà lo sbattimento degli organizzatori che dovranno presentare una sola autocertificazione.

La cosa più rilevante di tutta la vicenda è che tutto è partito con un forte desiderio di cambiamento e una semplice raccolta firme su Change.org. Speriamo sia solo il primo passo verso un vero e proprio cambiamento e che tramite questi strumenti di aggregazione si continui a rendere la musica, e l’arte e lo spettacolo, posti migliori. Noi di Rockambula continueremo a promuovere, coltivare e seguire la vicenda.

[FONTI]

Change.org: http://www.change.org/it/petizioni/una-nuova-legge-per-la-musica-dal-vivo-in-italia

Normativa: http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:2013;91

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Retrospettive radiofoniche di un moderno speaker.

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Era digitale, smaterializzazione dei supporti, streaming e share sono ormai le parole che più frequentemente associamo alla musica, eppure la radio, mezzo longevo e alleato fedele nel corso del tempo, rappresenta da sempre un’incubatrice speciale per la musica e la sua diffusione.  Aldilà delle grosse emittenti, che come da consuetudine si adagiano nel corso tranquillo della musica mainstream,  c’è un folto sottobosco di piccole e medie radio e webradio che ogni giorno si fanno in quattro per diffondere musica e intrattenerci. Vista le premesse mi sono chiesta che cosa significasse fare radio oggi, soprattutto in piccole realtà slegate dalle grosse logiche commerciali e  come fosse il doversi confrontare con lo scenario musicale odierno. A un primo impatto e senza grandi informazioni l’idea iniziale che mi si è palesata è stata la seguente: grande difficoltà a barcamenarsi in questo scenario. Come concorderete non era un’idea così geniale o  una prospettiva così interessante per poter sviluppare un’opinione ben definita e soprattutto articolata. Ed è  per questo che mi sono rivolta a  chi poteva darmi un punto di vista che andasse più in profondità sull’argomento dato che per passione ogni settimana si scervella per portare avanti un programma fuori dal coro: Ivano on air da CiaoComo Radio. Pensatela come un’ intervista alla vecchia maniera, volutamente senza smarthphone o device tecnologici, ma fatta di chiacchiere tra amici, ad un tavolino di un bar, in una Milano con la prima aria frizzantina dell’autunno alle porte e un paio di daiquiri per alleggerire la solennità dell’argomento. Dopo i canonici saluti, benvenuti e ringraziamenti sono partita dal classico, conoscere meglio chi avevo davanti, il suo programma radiofonico e come è cominciato il suo percorso in questo ambiente per poi andare a snocciolare più in profondità diversi argomenti. Si è parlato di web e digital e dell’impatto che essi hanno, ma anche di musica in purezza. Dopo due ore di chiacchiere le idee e le considerazioni non si contano e il quadro che emerge, e che prima sembrava alquanto fumoso si va comporre e definire in maniera sempre più chiara. Il sottobosco musicale di chi scrive su webzine, parla per radio e si adopera in molti altri modi per la musica che esce dalla grande mamma mainstream è ricco di persone volenterose di offrire un prodotto di qualità che possa spaziare, dare voce ai giovani ma al tempo stesso raggiungere buoni livelli di credibilità. In questa continua definizione di se stessi e del proprio operato e anche di lotta per un po’ di spazio diventa fondamentale il mezzo e l’editore per cui si lavora. Una linea di azione che consenta libertà di esprimersi e di fare le proprie scelte, è sicuramente un buon punto di partenza per uscire dalle classiche logiche buoniste e rimanere incasellati in qualcosa di troppo stretto, e per evitare che atti di censura che rendano zoppicante anche il miglior prodotto. Il web e social network, sono un altro tema scottante in quanto per definizione armi a doppio taglio. Facebook, Youtube, WordPress, Soundcloud e via dicendo sono strumenti utilissimi e fin troppo potenti per chi ne conosce i segreti e li maneggia con sguardo strategico, suppellettili di superficie per i meno esperti alla stregua di corollario poco sfruttato di una grosso romanzo di appendice. Non voglio dire che manchi la consapevolezza della loro utilità, ma che spesso l’approccio è troppo amatoriale e poco strutturato. In fondo il digitale rappresenta il principale strumento di lavoro e di circolazione della musica, a cui è indispensabile non rinunciare,  in termini di velocità di diffusione, flessibilità si utilizzo nonché di riduzione dei costi.  Altro tema è il famigerato budget, che incombe sulle teste dei grandi capitalisti così come su quelle dei piccoli perché in fondo molte cose girano ancora in base a logiche prettamente commerciali. Possiamo però tirare un sospiro di sollievo a sapere se forse questo è il punto meno dolente per chi dedica tempo e passione ai proprio interessi e alle proprie idee. Insomma un calderone di chiacchiere e di spunti su cui riflettere di cui preferisco non svelare tutto e lasciarvi incuriosire dalle risposte che il nostro interlocutore, di cui non ci siamo dimenticati, ci ha dato. Riprendiamo le fila dall’inizio, da  Ivano e il suo programma IndieCircus e tutto quello che ci ha detto.

Ciao Ivano, benvenuto su Rockambula. Ti va di raccontarci come hai incominciato in radio e presentare il tuo programma Indiecircus?
Ciao a voi e grazie per avermi contattato per questa intervista. La mia passione per la radio è nata fin da ragazzino, prima per gioco con gli amici, con le classiche demo fatte in casa e in qualche serata amatoriale presso locali di musica live, in pratica come iniziano tutti. Solo qualche anno più tardi è diventata una realtà più consistente, quando due amici in cerca di una terza voce per il loro programma mi hanno incluso nel progetto. Dapprima con una piccola rubrica, poi in maniera sempre più attiva. Dopo tre anni di gavetta, le nostre strade si sono separate e ho colto l’opportunità per realizzare un nuovo progetto, che potesse essere un ponte con le esperienze fatte, ma che avesse un format e uno stile di conduzione differente. Il risultato è Indicircus, che già dal nome fa intuire il parallelismo voluto tra il mondo musicale e quello del circo, con la volontà di giocare e fare un po’ d’ ironia nei confronti del mondo “Indie”, o meglio dell’immaginario e tutto il corollario di contorno di chi si autodefinisce Indie. A questo aggiungiamo anche un po’di sana irriverenza verso le logiche commerciali che sostengono gran parte della musica di oggi. Tutto questo, senza mai dimenticare la qualità della musica che per noi resta fondamentale. Se vogliamo dirla tutta, anche il mondo del cinema ci ha dato molti spunti per elaborare queste idea di “freak” o mostro e la relativa presa in giro di una certa tipologia di status quo. Insomma abbiamo cercato di fare un programma che avesse una forte personalità e soprattutto fosse sorretto da delle idee.

Siamo alla seconda edizione ci dobbiamo aspettare delle novità sullo stile di conduzione o pensi che la formula vincente non si debba cambiare?C’è qualcosa che vorresti realizzare durante questo nuovo anno?
Sono molto contento che il format sia andato bene e sia piaciuto al pubblico. Fortunatamente anche quest’anno è in programmazione come sempre il mercoledì sera, a partire del 2 ottobre, per un’oretta dalle 22 alle 23. Mah, squadra che vince non si cambia vale solo in parte nel senso che senza dubbio l’impostazione generale e i miei fidati partner Coccia e Mauro rimarranno gli stessi, mentre il nostro intento e impegno sarà raccogliere i frutti della precedente stagione, imparare dagli errori commessi per migliorarsi e offrire qualcosa di ben fatto, che avvicini sempre di più la gente alla buona musica. Anche solo una persona in più che apprezza un disco o un artista da noi proposto è per noi una grande soddisfazione.

Il format del programma prevede la presenza di ospiti. Come avviene il contatto con le band? E facile riuscire a instaurare un rapporto con loro? Riuscite ad uscire da una certa territorialità o preferite scegliere solo ospiti locali.
Il format del programma, per chi non lo conoscesse, è composto di due parti: la prima parte vuole essere simile ad un talk show con classifiche e approfondimenti sulla musica che traggono spunto dall’attualità o da avvenimenti curiosi. L’obiettivo è impostare subito un tono colloquiale e scherzoso. La seconda è quella in cui interagiamo con gli ospiti, che sono sia gruppi sia persone che hanno a che fare con il mondo della musica come musicisti, addetti alla produzione o persone che si occupano di booking o di promozione degli artisti. Direi che a grandi linee le puntate in percentuale si dividono 50/50. La scaletta si adatta a questa distinzione e solitamente passiamo in un’ora sette pezzi , di cui tre sono del gruppo ospite. Per il contatto onestamente la parte più difficile non è trovare gruppi disponibili, non ti dico il numero di richieste che giornalmente riceviamo soprattutto tramite Facebook, quanto selezionare quelle veramente interessanti in termini di qualità. Ed quello che a noi interessa, per questo ci prodighiamo per cercare in ogni modo, ovviamente secondo mezzi disponibilità, di uscire dai confini prettamente territoriali e di offrire varietà di ospiti in termini di genere e attitudini. Ti faccio un esempio nell’edizione precedente abbiamo ospitato una band che fa Alternative Rock da Malta i No Snow No Alps, L’Urlo in quanto band con molto seguito e anche un cantautore italiano di livello come Fabrizio Cammarata.

Parliamo dell’emittente che ti ospita Ciao Como Radio. Quali sono le difficoltà e l’importanza di una radio locale come la vostra? Pensi che volumi e budget impattino sulla qualità del vostro lavoro e sulla musica che proponete?
CiaoComo è un portale d’informazione e musica con due anime: quella legata al sito web fortemente localizzata in termini di contenuti e quella musicale con l’emittente radiofonica. Nella parte in cui mi trovo e con cui interagisco, ammetto di sentirmi ed essere molto fortunato. Rispetto a molte altre realtà locali noi abbiamo a disposizione un’ottima struttura e ottime attrezzature, anche se la cosa più importante, aldilà degli aspetti tecnici, è la grande libertà di parola e opinione di cui disponiamo. Non siamo vincolati, non siamo politicizzati e a parte qualche autocensura sul linguaggio non subiamo nessun tipo di pressione esterna. In questo caso una dimensione più piccola e forse più umana riesce a concedere quello spazio di espressione che le major non hanno. Mi sembra un buon parallelo con quello che succede anche nella musica, spesso i più piccoli sono anche quelli più indipendenti. Per quanto riguarda i mezzi, che dire?, lo facciamo tutti per passione e facciamo in modo che budget quasi inesistenti non abbiano alcuna ripercussione sulla qualità del nostro lavoro, rimanendo comunque consapevoli dei limiti.

Altro tema caldo nel campo musicale è quello legato al digitale e al web. Tu e il tuo team come vi ponete nei confronti di questo tema. Siete tra i nostalgici del supporto fisico o favorevoli alla sua smaterializzazione? E con i social network?Amici o nemici?
Siamo dei grandi nostalgici del supporto fisico, chiediamo sempre ai nostri ospiti un loro cd. Credo che sia davvero un peccato che se ne producano sempre meno, anche se per me questo non ne sminuisce il valore. La sensazione piacevole nel maneggiare un cd, nell’inserirlo nel lettore non ha prezzo. Io personalmente sono uno di quelli che compra ancora molti dischi, soprattutto quando ne vale la pena. Il digitale è l’attualità e per quello che facciamo non potrebbe funzionare altrimenti, pensa che la maggior parte degli ascolti lo facciamo come webradio e attraverso i podcast. Quindi ci proclamiamo pro per necessità e possibilità del canale. Con i social network il rapporto è complesso, passami il termine, è una sorta di tregua forzata. Abbiamo la nostra pagina Facebook sulla quale promuoviamo il programma, i brani che passiamo e ovviamente i nostri ospiti, ma non siamo dei fanatici dell’interazione e non siamo intenzionati a creare una community. Ci stiamo attrezzando, però, con Spotify per la realizzazione delle playlist, perché comunque nonostante sia un’arma a doppio taglio siamo consapevoli di non poterne fare a meno.

Spostiamoci un po’ sulla musica, da speaker e quindi da ascoltatore privilegiato qual è la tua opinione sullo scenario italiano “Indie” attuale? Si parla spesso di nuovi volti, si ascoltano tanti dischi validi, ma alla fine chi fa numeri interessanti sono sempre gli stessi.
So che è un termine forte ma trovo lo scenario Indie italiano disarmante. E’ un discorso un po’ lungo e complesso, ma provo a sintetizzare. Per me la situazione odierna nasce da un problema culturale: mediamente il livello d’istruzione negli ultimi anni è aumentato e di conseguenza molta più gente ha avuto accesso ai mezzi culturali e non, e si è messa a fare della musica. Il risultato è tanta quantità scarsamente interessante intervallata da pochi picchi di reale qualità e soprattutto di novità. Ascolto tanta musica, ma veramente poca riesce a sorprendermi.  Per questo sentiamo sempre gli stessi nomi, perché in fondo sono gli unici che riescono a reinterpretarsi e produrre cose nuove. Tra l’altro quest’affollamento musicale rischia di far passare inosservate, o meglio inascoltate, band o album che sono davvero meritevoli. Quindi, mio malgrado, ritengo giusto che i numeri li facciano i soliti Afterhours e Teatro Degli Orrori poiché sono gli unici a riuscire a evolvere. Prendiamo lo Stato Sociale o i Cani sono usciti con album che possono piacere oppure no, ma che hanno riscosso un discreto successo di pubblico, cosa ne sarà di loro, riusciranno a fare il bis?Difficile fare una previsione, staremo a vedere.

Prima si salutari e farti un grande in bocca al lupo per la nuova stagione abbiamo le temibili ultime domandone. Non ti chiediamo del peggiore, ma ti va di raccontarci qual e stato il tuo ospite preferito?
Difficilissimo, io preferisco gli ospiti divertenti e che sanno prendersi in giro. Ci piace, durante quell’ora insieme, poter istaurare un dialogo e non dover vendere a tutti costi. Insomma l’ospite che funziona è quello che partecipa, ride, si diverte e non si limita a dare risposte secche alle nostre domande e provocazioni. Ti faccio un paio di nomi in primis i Black Beat Movement davvero simpatici e ironici si sono prestati ai nostri scherzi senza batter ciglio e i No Snow No Alps, che nonostante i problemi di lingua cercavano in tutti modi di parlare italiano, un po’ imbarazzante ma siamo sopravvissuti. Aggiungo che mi piacciono anche gli ospiti che hanno un buon background musicale e sanno dire cose intelligenti e interessanti ai nostri ascoltatori.

La tua personale 5 top list delle migliori uscite Indie del 2013?
–  Cantautore italiano Appino con Il Testamento.
–  Gruppo Fast Animals And Slow Kids con Hubrys
– Stranieri i Franz Ferdinand
Nemesi  con La Sottile Linea Grossa e Paletti con Ergo Sum, che in maniera diversa sono qualcosa di nuovo anche se non rispecchiano a pieno il mio gusto.
-Menzione d’onore per l’album a Woodkid con The Golden Age

Siamo giunti alla fine, ringraziamo Ivano per averci parlato della sua esperienza come speaker radiofonico e ascoltatore di musica e mostrato una diversa prospettiva sulla musica di cui si nutre la stessa Rockambula. Speriamo che queste righe e le premesse possano essere uno spunto per tutti e uno stimolo a non smettere di ascoltare buone radio, buona musica  e anche di continuare a leggere Rockambula.

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Sound of Ireland: Let’s Folk!

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Annascaul, un villaggio di cento abitanti in culo all’Irlanda, nella contea di Kerry. Lontano dalla vita cittadina che una città come Dublino può offrire, lontano da contaminazioni metropolitane e frenesia turistica, ma vicino alla vita rurale, alle pecore, a stradine, ad un lago ed all’oceano; dove si respira aria pulita, odore di terra bagnata, rumore di bicchieri che brindano, gusto di birra e musica Folk, ecco dove mi trovo. Dopo solo due ore dal mio arrivo sono nel pub di fronte casa, al bancone con una pinta di birra locale in mano, ascoltando storie su un uomo che nel 1900 ha esplorato il polo sud e che dopo essere tornato a casa sfinito ma ancora vivo, ha deciso di aprire questo pub, chiamato non casualmente il South Pole Inn. Il suo nome era Tom Crean e la birra che sto bevendo si chiama Crean’s in suo onore. Bene, direi che il mio alcolismo qui si chiama normalità e che l’immaginario collettivo dell’irlandese perennemente sbronzo è confermato. Nei giorni successivi scopro che niente è più falso della credenza che gli irlandesi siano unicamente rossi e dalla pelle bianca per la perenne pioggia, infatti fanno ventitre gradi ed intorno a me ci sono persone castane in calzoncini con la pelle bruciata dal sole. Quindi toglietevi dalla testa che siano tutti come “Anna dai capelli rossi”, perché è una cazzata.

Siccome la mia permanenza in Irlanda non é di poche settimane, andando avanti col tempo mi rendo conto delle differenze culturali tra un italiano ed un irlandese, e soprattutto le differenze nel vivere la quotidianità. Andando oltre il fatto culinario (qui si mangiano patate, patate e ancora patate) direi che una differenza fondamentale sono anche i luoghi di ritrovo e gli orari d’uscita: noi abbiamo una cultura di piazza, infatti ci troviamo da qualche parte per poi spostarci in un bar, locale o concerto, loro hanno la cultura dei pubs. Sarà forse anche per una questione meteorologica, ma qui ci si ritrova al pub verso le 18/19 e poi al pub ci si rimane finché non ti sbatteranno fuori. Ecco dunque da dove nasce il mito dell’Irish Pub. Al pub ci entri, bevi, parli, ascolti musica prevalentemente Folk e live, e soprattutto ti metti a cantare ed a battere le mani con il tuo vicino di bancone o con il vecchio dal naso rosso. Questo é il bello, questo é ciò che noi non abbiamo, qui non ci sono distinzioni di classe o età, ed affianco a te potrebbero esserci i tuoi amici oppure tua madre ubriaca quanto te che sta cantando una canzone tradizionale a squarcia gola. Vi é mai capitato di cantare quotidianamente al bar Lucio Battisti sbronzi con vostra madre/padre? Io credo di no, o meglio non credo che sia la norma dell’italiano medio. E non è un caso che ci sia proprio uno slang completamente irlandese per descrivere tutto questo: la parola “the craic”, e l’espressione “the craic was grand!” Il craic (e non si sta parlando di droga) è proprio questo modo di celebrare l’Irish life: con musica, grida, gioia, vecchi amici e nuovi amici appena conosciuti, e dire “The craic was grand!” è come dire Ieri sera ci siamo divertiti!”.

Insomma a livello musicale noi abbiamo la canzone melodica italiana come simbolo nazionale, loro hanno il Folk, caratterizzato ovviamente da un setup acustico composto al completo da chitarra acustica, violino, fisarmonica, il whistle (flauto irlandese), un benjo oppure il bouzouki (strumento però greco), il bodhràn (una specie di mini bongo-tamburo), cucchiai di legno usati in modo percussivo (stile nacchere), e soprattutto voci basse, piene e vive che raccontano storie quotidiane di bevute, marinai, amori internazionali, ribellione, e viaggi verso paesi lontani. La musica tradizionale irlandese non è fatta di giri di parole e sole-cuore-amore, infatti qui i testi più che cantati vengono raccontati, ed i ritornelli sono caratterizzati da “cori di massa”. Qualche esempio? Gli storici The Dubliners, The Clancy Brothers, The Dublin City Ramblers, o i più Punk The Pogues capitanati dal marcissimo Shane MacGowan, e canzoni come “Irish Rover”, “Spanish Lady” “Whiskey in The Jar”, “Pub With No Beer”, “Seven Drunken Night”, e la mia preferita: “The Wild Rover”. Una sorta di “parabola del figlio al prodigo” in chiave alcolica.

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La Rivoluzione Possibile.

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Questa settimana sta facendo il giro della rete il link a un blog in cui si riporta un lunghissimo sfogo di un giovane musicista ritrovatosi nella condizione di ricevere, durante un’esibizione, un bigliettino in cui il proprietario del locale comunicava che fosse meglio smettere per l’eccessivo volume. I musicisti che hanno avuto modo di leggere questo contributo, ovviamente, hanno iniziato un indignato passaparola sui social network, spesso rincarando la dose raccontando simili esperienze di vita vissuta. Più che indignarsi, però, sarebbe il caso di individuare il reale problema o i problemi che stanno alla base di questi tipi di comportamenti, tenendo conto dello showbiz, della cultura musicale, della considerazione di cui gode la dimensione live in Italia, del grado di competenza e rispetto reciproci che si instaura, mediamente, tra l’organizzatore di un evento e l’artista.
Checché se ne dica in giro, l’ignoranza dei gestori dei locali, spesso additata come principale problema, non è certo stata prodotta dall’indiscutibile trattamento borderline della cultura da parte della politica. Il gestore di un locale che fa live, in genere, è un appassionato di musica, magari un ex musicista o un musicista molto scarso. Il problema non dipende dal gestore in quanto essere umano, ma dal fatto che gli introiti del suo locale sono il suo pane e quindi, umanamente, ciò lo porta a considerare la musica come merce. Questo, piaccia o non piaccia, è un fatto. Accantoniamo le responsabilità politiche di chi rende un concerto una lotta alla sopravvivenza burocratica del promoter, accantoniamo i controlli a macchia di leopardo e spesso assurdi cui deve esser sottoposto. Accantoniamo pure la concorrenza sleale di taluni locali o associazioni formalmente non a scopo di lucro che invece il profitto lo fanno eccome (a cinque euro a birra per trecento persone), ma senza pagare le tasse come gli altri. Questi sono problemi politici. E per quelli oggi ci vuole la rivoluzione della ghigliottina in piazza o la pazienza di un Bonzo. Accantoniamo l’idea che un gruppo possa far schifo al gestore durante il live: se lo chiama lo ha sentito e benché ci possa essere differenza anche considerevole con il disco questa non è certo percepibile dal gestore che, come detto, ha a che fare con la musica come un pappone ha a che fare con le donne (gli sono sempre piaciute ma sfruttandole non ne capisce più la poesia).

Parliamo di volumi: la responsabilità è doppia. Spesso è ignorante il gestore che pensa che i Deep Purple possano suonare al volume di Jobim; spesso altrettanto ignorante è il musicista che per capire che ogni spazio ha le sue esigenze di volume e setup ci mette lo stesso tempo di un elettore per capire che un politico non fa i suoi interessi: trent’anni. Responsabile è il gestore che non paga il pattuito nel momento della chiusura della data o che non mette tutti i suoi mezzi a disposizione per creare le buone premesse di un live (impianto decente, palco e fonico), altrettanto responsabile è il musicista che non denunci e sputtani il gestore favorendo nome del locale e del promoter in una rete virtuale in cui tra musicisti e locali tutti oramai possono sapere tutto di tutti. Partendo dalla buona fede dell’articolo, quella è indiscutibile, la cosa che mi lascia perplesso è l’anonimato dettato dalla paura. Capisco un commerciante taglieggiato dalla mafia, ma non un musicista che rimane in silenzio per paura di non esser più chiamato. Quel locale, se si comporta male abitualmente con la band, deve esser messo nella condizione di non poter trovare band.

Una rivoluzione che ci vuole è, insomma, quella che possiamo attuare tutti quanti: come protestare all’ufficio postale, quando ti passano davanti facendo finta di niente. Per quella non c’è bisogno della ghigliottina in piazza. E neanche di tutto questo coraggio.

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I 10 peggiori personaggi incontrati ai live estivi! Ci sei anche tu?

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Ed è finita un’altra stagione di concerti e festival, nonostante i tagli siano stati numerosi e abbiano ridotto di molto i live “delle grandi occasioni”. Non resta che programmare i concerti al chiuso che vorremmo andare a vedere nell’interminabile autunno-inverno e, nel frattempo, ricordarci la spensieratezza dell’estate. I pantaloni corti, le tipe in bikini e stivali anche a luglio perché gli stivali fanno Rock, le zanzare, la birra sempre sciacqua e sempre cara, il sudore del barbuto metallaro di fronte a noi, perché c’è sempre un metallaro a qualsiasi concerto, di qualsiasi genere e i rompicoglioni. E già… perché sì sì, che bello il live come momento di condivisione di una passione, sì sì che bello ritrovarsi lì, nello stesso posto, noi e centinaia di altre persone comenoi. Cazzate. Non ce la meniamo. A ogni concerto che si rispetti c’è sempre qualcuno con cui ciascuno di noi pensa di non avere proprio niente a che spartire. Esattamente come quando siete nella vostra spiaggia libera a leggere l’ultimo saggio che vi appassiona e di fianco a voi c’è quella che legge i romanzi Harmony o Novella 2000. O proprio come quando al mare siete lì a cercare relax e pace al largo, pensando a quanto sia bello farsi accarezzare dalle onde leggere e dal sole ma sentite dal bagnasciuga gente che impreca, starnazza o semplicemente passeggia con musica improponibile, a un volume improponibile che esce dal proprio smartphone, rigorosamente senza cuffie, così che tutti gli astanti possano compartecipare al cattivo gusto artistico del soggetto in questione.  Ai concerti è uguale. L’inopportuno, il rompicoglioni, quello che crede d’essere nel posto giusto e che magari si atteggia anche a grande frequentatore, grande appassionato, grande cultore e non ha mai imparato un minimo di etichetta. O quanto meno il vivere civile. Vogliamo ricordarli con voi, stilando un breve elenco che non vuole essere una classifica, ma solo una carrellata di macchiette da live con cui sicuramente vi sarete imbattuti anche voi. Così il quadro dei ricordi della nostra estate musicale può essere veramente completo. Eccoli:

1)      Il fotografo o cameraman raffazzonato che invece di guardare il concerto passa tutto il tempo con la macchina fotografica o il cellulare alzato impedendo anche a te di godere dello spettacolo. Nelle situazioni di scarso pubblico, alcuni s’improvvisano fotografi ufficiali piazzandosi nei posti più improbabili sul e vicino al palco.

2)      L’organizzatore di eventi che a fine concerto, palesemente ubriaco, blocca il cantante e ufficializza con contratto verbale una data a costo zero nel suo paesino, il prossimo anno, per la festa del patrono.

3)      Il fan che le sa tutte, le canta tutte, le canta male e, nelle pause, urla come una groupie di Justin Bieber in preda a crisi d’overdose. A fine concerto si lamenterà perché non hanno fatto il suo pezzo preferito nonostante per tutta la durata del live avesse suggerito la scaletta alla band, urlando il nome delle canzoni.

4)      L’indifferente e/o infastidito che dà le spalle al gruppo, rompe i coglioni chiedendo come possiamo apprezzare certa “roba”, sbuffa, si annoia ma dentro sta male perché vorrebbe scatenarsi anche lui. Non lo fa perché distruggerebbe la sua immagine di indie snob. Tende a sviare quando gli si chiede che cazzo ci sia andato a fare al concerto. Al limite risponde di aver avuto un accredito o di aver accompagnato qualcuno.

5)      Il giornalista. Ha avuto l’accredito stampa. Sta lì impassibile, passando il tempo a guardare ogni minimo movimento delle dita del bassista e giudicando ogni nota. Scatta al massimo un paio di foto che allegherà a un articolo, non balla, non ride, non può divertirsi. Lui sta lavorando. Ovviamente gratis.

6)      L’ubriaco che non ha neanche idea di chi stia suonando. Urla a caso, canta a caso, balla e poga a caso, litiga con quelli vicino, inveisce contro la band, sputa, suda (rigorosamente in canotta o a petto nudo) e ogni tanto vomita. Qualche volta è portato via dai buttafuori o da un’ambulanza.

7)      Lo spaesato. Ce l’hanno portato. Non voleva venire. Spesso è la ragazza o il ragazzo del fan. Non sa chi stia suonando e non sa nulla di musica che vada oltre Tv Sorrisi e Canzoni. Di solito ascolta la Pausini, Emma o Malika Ayane ma gli amici o il/la fidanzato/a non volevano lasciarlo/a solo/a di sabato.

8)      Quello che ci deve stare. Mocassino firmato viola, calzino leggero, pantaloncino lungo bianco, cinta a riporto, camicia di lino slacciata, petto abbronzato e depilato in bella vista, barba finto incolta e sorriso da piacione con cocktail in mano, per tutta la sera. Poteva suonare Gg Allin o i Pooh, lui sarebbe stato col gomito appoggiato a quel bancone.

9)      Il reduce degli anni 80 (anche 70). È sempre il più vecchio della serata, leggermente in sovrappeso; indossa una t-shirt di una vecchia band abbastanza nota ma senza esagerare. Ramones, Dinosaur Jr, Joy Division. Di solito è solo perché i suoi amici hanno famiglia, non beve troppo, non balla troppo, non si diverte troppo.

10)   Il commentatore. Ce ne sono di due tipi. Uno che parla bene di tutto e uno il contrario. Ti si piazzano di fianco e ti raccontano tutto sulla band, sulla serata, sul gruppo spalla, sulla loro vita, sulle loro passioni. Intervallano i momenti di semplice cronaca a considerazioni su quanto sia figo l’ultimo disco del gruppo, su quanto siano stati innovativi i riff del chitarrista o al contrario, si lamenta per il costo della birra, per l’assenza di parcheggi. Comunque, non sta mai zitto.

Sono anche loro che rendono speciale l’esperienza di un live che sia di un supergruppo o di una sconosciuta band Indie di Pavia. Ma inutile fare tanto i superiori, se leggi tra le righe, uno di questi dieci sei tu. Che numero sei? Io un misto tra cinque e nove.

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Le Superclassifiche di Rockambula: Top Ten anni Settanta

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Nella mente di ogni buon italiano medio, poveretto, gli anni 70 sono stati quelli che per i paesi occidentali anglosassoni erano i sessanta. Si sa che da noi le mode, le tendenze e gli stili musicali sono inclini ad attecchire con un certo ritardo e figuriamoci cosa poteva essere avere vent’anni nel decennio di cui stiamo parlando. Poca la stampa italiana che chiacchierava decentemente di musica estera. Non c’erano certo canali televisivi come Mtv (quella degli esordi, intendo) e, ovviamente, non c’era Internet. C’era solo da sperare in qualche perla regalata dal cinema e dalle sue colonne sonore, dalla radio, oppure aspettare che il fratello maggiore emigrato qualche anno prima facesse ritorno con un disco sconvolgente.

Gran parte delle cose straordinarie accadute in musica nei 70 finirono quindi per entrare nell’immaginario collettivo degli italiani solo qualche anno dopo. Pensate ai Beatles, ai Led Zeppelin oppure a Hendrix o Janis Joplin (entrambi morti nel 1970, mentre Jim Morrison morirà l’anno seguente).

Sarà il tempo a restituirci una straordinaria foto dei seventies, gli anni delle sit-com, del Pop e del Rhythm & Blues, della Disco-Music e delle discoteche, dell’Elettronica e del Punk. Dei polizziotteschi e della commedia sexy; de Lo Squalo, Rocky e Il Padrino. Anni fantastici, pur nelle sue ambiguità,per chi li ha vissuti e malinconici per chi ne ha solo subito il colpo di coda, come me del resto.

Di seguito la classifica stilata dalla redazione di Rockambula dei migliori album dal 1970 al 1979. Grande assente la Disco Music e l’Elettronica, presente con i Kraftwerk ma ben oltre la decima posizione e un primo posto che conferma una certa ruvidezza di gusti da parte nostra, già mostrata nella classifica dei sixties.

1) The Clash – London Calling

2) Pink Floyd – The Dark Side of the Moon

3) David Bowie – The Rise And Fall of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars

4) Black Sabbath – Paranoid

5) Sex Pistols – Never Mind The Bollocks Here’s The Sex Pistols

6) Joy Division – Unknown Pleasures

7) Bob Marley – Exodus

8) The Rolling Stones – Sticky Fingers

9) Queen – A Night at The Opera

10) Television – Marquee Moon

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Streetambula. Abbiamo Vinto Tutti!

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L’estate sta finendo e Streetambula se ne va; abbiamo visto quello che (da noi) non si era mai visto e la lacrimuccia scende a bagnare le labbra spalancate da un sorriso a diecimila denti. La fatica e il lavoro di un’organizzazione non facile hanno reso il gusto della riuscita della serata molto più godibile sotto tutti i punti di vista. Il 31 Agosto in piazza Garibaldi a Pratola Peligna (AQ) le aspettative erano molteplici e la voglia di sentirsi sopra il tetto del mondo era tanta; cazzo, stavamo rischiando da tutte le angolazioni. La musica completamente originale non giocava sicuramente a nostro favore e questa maledetta estate piovosa poteva darci il definitivo colpo di grazia. Alla fine sapete com’è andata a finire? Una bomba. Esatto una bomba di emozioni s’impadroniva del cuore delle tante persone presenti quella sera. Un’armonia diversa da tutte le altre volte spirava nell’aria come non si era mai sentita prima. Pronti via e iniziava la prima edizione di Streetambula Music Contest.

Ai Dem il duro ma pregevole compito di aprire il Contest targato Rockambula; erano belli come ci aspettavamo che fossero, erano l’esperienza musicale che volevamo portare sul nostro palco, indimenticabili ballate blues in salsa etnica. Con loro non potevi sbagliare. Così è stato.

Poi Doriana Legge incanta tutti con una performance cantautorale rossa quanto i suoi corti capelli; l’attesa per lei è stata ampiamente ripagata. Non c’è nessuno che possa dire il contrario. Viene voglia di ascoltarla in eterno. Dolce e inebriante.

Le atmosfere diventano subito irrazionali quando sul palco si esibiscono i The Suricates, un concentrato di Post Rock da ingerire in assoluto silenzio, una carica interiore sconfinata e senza limiti. Loro sono fatti per confondere le idee e si sente. Diventeranno grandi.

Gli À l’Aube Fluorescente sono i padroni di casa; gli À l’Aube Fluorescente suonano come posseduti da demoni, suonano belli, dritti e potenti. Prestazione da tenere stretta stretta, impeccabili e maliziosi. Sono il nostro futuro, la nostra speranza.

Poi le chitarre dal graffio Grunge dei Too Late to Wake hanno scaldato l’aria; una profusione di energia all’ennesima potenza con pantaloncino HC a dispetto del fresco a tratti pungente. La rabbia e il sudore sul palco dello Streetambula.

I Ghiaccio 1 propongono un Alt Rock dalle varie contaminazioni, qualcosa di non catalogabile ma di notevole impatto, importanti e misteriosi come la scommessa di portarli su quel palco. Il pubblico ha apprezzato, non ci siamo sbagliati.

A fare gli onori di casa anche i The Old School; la loro carica R’N’R contagia velocemente tutta la piazza. Irresistibili. Sapevamo che con loro si andava sul sicuro, dal vivo sono una vera e propria macchina da pogo, impossibile rimanere piantati sotto le loro note. Il batterista risulta anche il migliore della serata e si porta via il primo premio (premio Hard Grooves Drum School)

A chiudere la serata gli stramaledetti De Rapage con il loro modo demenzialmente intelligente di vedere la musica si mettono in mostra appena salgono sul palco. Mostrano la loro tecnica tutti e cinque, suonano senza errori dimostrando che si può seriamente fare musica anche senza fare musica seriosa. Una esibizione impressionante che Pratola e il suo caldo pubblico non dimenticheranno facilmente.

Tutto lo Streetambula era contornato da spillette, libri, quadri, foto, etichette, vinili, cd, opere d’arte, magliette e tante belle cose; Streetambula non sarebbe stato quello che è stato senza di loro.
Alla fine la giuria (composta da gente bellissima!) ha deciso che i vincitori sono proprio i De Rapage; i punteggi di scarto con le altre band sono stati talmente minimi che la vittoria è da considerarsi di tutti, un vincitore purtroppo doveva esserci e la giuria ha meticolosamente osservato il regolamento per nominarne uno (credeteci, è stata davvero dura).
Abbiamo la certezza che tanta musica indipendente in queste condizioni da queste parti non si era mai vista e il prossimo anno noi saremo ancora in quella piazza a proporre sempre nella maniera migliore quello in cui crediamo. I vincitori sono tutte quelle persone che quella sera erano presenti, tutto il resto è soltanto un fottutissimo bluff. Streetambula; abbiamo vinto tutti.

Grazie, vi vogliamo un mondo di bene.

(Un video di Doriana Legge, per cavalleria nessuno si offenderà)

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Martelive. Cosa è successo alle selezioni di Raiano?

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Ieri 25 agosto si sarebbero dovute svolgere le selezioni di MArtelive abruzzo a Raiano (Aq) durante l’Ecofest alle quali avrebbero partecipato Droning Maud, Human Thurman e Allcost. Qualcosa è andato storto in fase organizzativa (gestita a livello locale) e le tre band hanno deciso di non esibirsi durante la serata lasciando gli spettatori un po’ confusi, almeno i più distratti. Chi, come Rockambula, era li in qualità di giudice (nella persona di Silvio Pizzica) ma anche solo per promuovere Streetambula, il nostro primo music contest organizzato in collaborazione con l’associazione Nuove Frontiere e previsto per il 31 agosto a Pratola Peligna (Aq), non ha potuto che ritenere saggia la scelta delle band di non partecipare, almeno in questa occasione. Un impianto audio raffazzonato, assenza di amplificatori e monitor, assenza di soundcheck. Questi sono solo alcuni dei problemi riscontrati dalle band con le quali abbiamo parlato. Di chi è la colpa? Non è nostro interessamento dare addosso a nessuno, anche perché è nostro interesse sostenere quei pochi, come Vincenzo Presutti, che provano a  dare spazio e diffusione alla musica indipendente con iniziative come questa,  anche se avremmo molto da ridire su questi sistemi di selezione; quindi lasciamo parlare i protagonisti, sperando che abbiano voglia di esprimersi.

Premessa. Ci teniamo a ribadire che Rockambula non ha nulla a che vedere con l’organizzazione della manifestazione Martelive e invece che giungere a conclusioni affrettate, abbiamo  preferito chiedere spiegazioni a freddo ai diretti interessati. Abbiamo raccolto le dichiarazioni delle tre band partecipanti e di Vincenzo Presutti, l’organizzatore della serata “un palco per tutti” di ieri.

Human Thurman:
Il posto, la cucina e gli arrosticini erano pessimi e la birra costosissima. Speriamo che la prossima volta si possa anche suonare.

Droning Maud:
Siamo amareggiati;  ci tenevamo a dare un segno di speranza. È inutile stare sempre a lamentarsi che le cose non vanno: bisogna rischiare in prima persona, la musica deve far bene alla vita …i primi a doverci credere sono proprio i musicisti!  Peccato non ci abbia creduto l’organizzazione …di questo tipo mai incontrata, non c’era nessuno che coordinava l’ordine delle esibizioni, non c’era un fonico, per non parlare della strumentazione;  dopo due ore di check (e quattro di attesa) il suono continuava a peggiorare! Abbiamo deciso di non esibirci;  utilizzati per riempire una serata che non si è stati in grado di organizzare“.

Allcost:
Se dovessimo dare un voto come ai tempi della scuola non potremmo che dare un NC (non classificato). E si, la serata del 24 Agosto, è stata un fallimento totale, su tutti i fronti, organizzativo tecnico e soprattutto umano. In fondo non eravamo altro che 3 gruppi con buoni propositi e che non volevano far altro che suonare e passare una bella serata insieme. Tre gruppi originali… Già! Sarà che ormai chi fà musica propria è considerato uno sfigato, ma fino a questo punto… Facciamo un breve sunto della serata, evidenziando i punti salienti:

1- L’evento prevedeva un soundcheck che si sarebbe svolto per le 18:30, da li a 4 ore di attesa invece, non era montato nemmeno l’impianto sul palco.

2- L’impianto una volta “adibito” ha dato subito segni di inaffidabilità

3- Una volta montato l’impianto di riserva (molto, ma molto di fortuna, per non dire disastroso), il suono usciva da li come da un prototipo di citofono ancora da commercializzare.

4- Vista l’impossibilità di proseguire si è proceduto per una piccola riunione tra i gruppi, che all’unanimità hanno deciso per l’interruzione della serata ancora prima di finire le prove dei suoni.

5- Abbiamo salutato l’organizzazione (1 persona) e virtualmente (perché non si è vista e anche se c’era non si è presentata*) anche la giuria, e siamo tornai nelle nostre case, alcune lontane anche 200km; con la promessa del passaggio alle fasi finali del contest e qualche soldo in meno dovuto al viaggio a vuoto.”

Vincenzo Presutti:
Mi scuso con il pubblico ed in particolare le band che sono rimasti spiazzati dalla serata di ieri. I vari problemi di alimentazione e amplificazione sono stati la risultanza della volontà di portare avanti le selezioni pur sapendo di non poterle svolgere al meglio (vedi il service dovuto rimediare tra amici e conoscenti, la location non proprio adatta e il dover fare tutto da solo). La mia idea era comunque quella di riuscire a mandare un gruppo in finale regionale (n.d.r. nessuno obbligava Vincenzo a svolgere quelle selezioni e lo hanno spinto solo la voglia di fare qualcosa di buono per una band abruzzese) quando invece, col senno di poi, avrei dovuto bloccare tutto prima, ma in tal caso le selezioni non si sarebbero svolte affatto per mancanza di locali in questa zona. Mi impegno naturalmente a recuperare la serata in data da definire e ancora mi scuso per come sono andate le cose.”

*Anche il nostro Silvio Pizzica era in giuria (non nell’organizzazione) e ci tiene a precisare quanto segue:
Personalmente mi sarei dovuto rendere disponibile come giurato da mezzanotte ma già prima mi hanno detto che ormai era saltato tutto e quindi sono rimasto a lavorare, a pochi metri di distanza dal palco, nello stand espositivo di Rockambula e Streetambula. Sono riuscito a parlare con i membri di Droning Maud e The Human Thurman perché, loro come me, sono arrivati ben prima dell’orario previsto ma nessuno mi ha presentato la terza band in gara”.

Le conclusioni? Ognuno tragga le proprie ma noi di Rockambula ci auguriamo solo una cosa. Tra cover band, karaoke, amministrazioni ignoranti, pubblico poco interessato e tutta una serie infinita di problemi, la musica indipendente ed emergente ha bisogno di essere trattata come merita. Almeno da chi la ama!

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Filmare i concerti coi cellulari? È da cazzoni!

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In una piccola video-inchiesta di NME, alcuni musicisti sono stati intervistati circa la loro opinione sulla moda vigente di filmare o fotografare concerti per la loro intera durata. Tra gli altri (Miles Kane, Foals, Alt-J), Johnny Marr è quello che c’è andato più pesante, definendolo «un atteggiamento da cazzoni» e «una perdita di tempo», che distoglie completamente l’attenzione dal momento che è la vera essenza del live. Come dargli torto. Non importa, infatti, quale sia l’artista sul palco, non importa la location, non importa che l’uomo con lo smartphone sia in prima, seconda, ennesima fila o gradinata che tenga. Non importa che si stia seduti, in piedi, larghi, stretti tanto da avere addosso il dna di tot persone sconosciute sotto forma di sudore, impronte digitali, capelli. Non importa che sia un concerto meditabondo o da pogo. Non importa che si abbia in mano un telefono con una fotocamera da 2 megapixel (la stragrande maggioranza) o una compatta che passa i controlli ma ha uno zoom digitale coi controcoglioni che anche se sei dietro il mixer riesci a riprendere persino i punti neri del tuo beniamino (roba per pochi eletti, nerd patologici del caricamento del dayafter su YouTube).

La situazione si ripete sempre. Tu vai a un concerto, paghi un biglietto, sei di un’altezza media e non basta che puntualmente tu davanti abbia lo spilungone due metri di altezza per due metri di spalle con ragazza al seguito che comunque si erige quei dieci centimetri buoni più di te. No. Da quando siamo entrati nell’era smart, social o semplicemente in quella dell’esistenza attestata non dall’ontologia ma dal post, ai concerti non si alzano le mani con le corna, con l’indice dritto, con il pugno. Non si ondeggia, non si poga, non si salta (se non per sovrastare l’uomo col prolungamento telefonico). Ai concerti si filma. O si fanno centomila foto tutte uguali perché il raggio d’azione di gente pressata tra la folla di un live non permette certo varietà di tagli e inquadrature. Il risultato poi è, nelle migliori occasioni, una registrazione di qualità bassina, o per immagine o per audio, che il giorno dopo – se non addirittura dopo poche ore – si può rintracciare su YouTube. Oppure un bell’album fotografico pieno di pixel tra i quali dovresti intuire che il tuo amico di social network è stato a un concerto della madonna che tu ti sei perso. Ah, bella roba. Additato come uno dei comportamenti più noiosi che si possano tenere durante un live dalla rivista Rollingstone (insieme all’urlare per tutto il tempo il titolo del pezzo che si vuole sentire, ubriacarsi come se non ci fosse un domani e a fine concerto lamentarsi perché il brano per cui si era andati non è stato suonato), abbiamo pensato di chiedere un’opinione a chi sta anche davanti e non solo dietro le macchine fotografiche in questione, ovvero ad alcuni musicisti del panorama indie ed emergente nostrano.

 

Danilo De Nicola (The Incredulous Eyes): “Liberi di farlo, anche se le emozioni devono essere sonore, quelle che ti rimangono dall’ascolto; quelle sono insostituibili. Se stai tutto il tempo a riprendere non so che ti rimane veramente della musica che ascolti. Forse e’ anche un modo del pubblico di essere protagonisti.”

Francesco Capacchione (The Last Project): “Parto dal presupposto che ero uno di quelli che voleva il ricordo del concerto, quindi filmavo di tutto, fino a che mi son detto “tanto c’è qualcuno che lo metterà su youtube” e da li non filmo più nulla, penso a godermela e me la salto, me la canto, me la ballo. Se ti metti a filmare non ti godi nulla.”

Andrea Di Lago (Le Fate Sono Morte): “Da una parte per noi emergenti può esser un modo per darci più visibilità dall’ altra parte si fa meno casino rispetto ad anni fa; per ora rimango un po’ a favore, è pur sempre un modo nuovo col quale lo spettatore dimostra il proprio gradimento. Io per primo non riprenderei mai qualche artista che non stimo.”

Luca Brombal (Lazy Deazy): “Penso la stessa cosa delle persone che passano la propria vacanza a fotografare qualsiasi cosa: con la smania di documentare e di poter rivivere quei momenti non li vivono nemmeno!”

Fabrizio Giampietro (Christine Plays Viola): “Mi sembra la moda del momento. Una volta nei concerti la gente era totalmente rapita dalle emozioni, pogava, ballava si lasciava trasportare dalla musica. Ora invece sono diventati tutti registi. Nessuna telecamera o cellulare ti darà mai la possibilità di catturare quei momenti e riviverli con la stessa intensità a casa tua o altrove. Secondo me in questo modo si perde l’essenza del live e a casa ti riporti solo una sbiadita testimonianza digitale.”

Eugenio Rodondi: “Probabilmente ci troviamo in un momento in cui consideriamo una cosa esistente e reale solo se possiamo dimostrarla agli altri. Dunque solamente se viene filtrata e catturata da un video o da una fotografia, e tendenzialmente pubblicata su social network. La concezione del ricordo di un emozione sta prendendo una deriva insolita. Direi che si tocca il paradosso quando si riprende un concerto puntando il cellulare sul megaschermo. Se un concerto te lo godi immergendoti nella serata e utilizzando una buona dose di concentrazione, quel ricordo sarà sicuramente più valido di una riproduzione figurativa.”

Giacomo Ficorilli (Remains in a View): “Io sono uno di quelli della vecchia generazione , che vanno ai concerti solo per ascoltare buona musica e pogare quando ne capita l’occasione. Purtroppo i tempi sono cambiati e i ragazzi di oggi, ossessionati dalla tecnologia e dai social network che ti permettono di far sapere cosa stai facendo e dove, non sanno più apprezzare il fascino di un concerto e tutte le emozioni che ti può trasmettere una band dal vivo; io consiglio alle nuove generazioni di fare una bella foto e poi godersi il concerto a pieno piuttosto che passare la serata con il cellulare in mano!”

Alessio Premoli: “Prenderei la cosa da due punti di vista. Chi riprende e chi è ripreso. Nel primo caso è un fatto tutto personale. Se qualcuno ha il desiderio di passare tutto il concerto a registrarsi un video, ben venga: personalmente preferisco godermi lo show interamente, lasciarmi travolgere e coinvolgere dallo spettacolo. Questa attività può avere una sua utilità: documentare un live per chi non ci è andato, dare un assaggio dello show a chi vorrebbe andarci, ma è ancora indeciso. Questo atteggiamento ha una sua utilità “sociale”. Nel secondo caso ci sono un migliaio di sfaccettature diverse. So di molti artisti che non tollerano sapere di essere registrati. E molti li capisco. Mi riferisco a personaggi come Brad Mehldau (che prima di ogni live chiede di non fare video nè fotografie) o come Keith Jarret. Il jazz è una musica improvvisata, volubile e temporanea per natura. La sua anima è l’improvvisazione e, specie quella live, tale vuole rimanere: una conversazione senza schema, su strutture minime e con possibilità infinite. Per altri non voglio pronunciarmi: ogni artista ha il diritto di chiedere determinate condizioni quando suona dal vivo, il punto di incontro sta sempre a metà tra la ragionevolezza di quest’ultimo e il rispetto del pubblico.”

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Streetambula. Il programma (work in progress) del primo contest targato Rockambula

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Finalmente definita la line Up della prima edizione di STREETAMBULA, il contest organizzato da Rockambula in collaborazione con l’associazione Nuove Frontiere che si terrà il 31 agosto a Pratola Peligna (Aq). Per maggiori informazioni visitate la pagina facebook Streetambula. I premi in palio fino ad ora definiti sono:

1° Registrazione di un singolo presso l’ACME Studio Recording di Raiano (Aq) alloggio compreso

2° Ospitata in Radio presso la Protosound  Area Radio di Chieti

3° Set Fotografico offerto da Giuseppe Zac

4° Valigetta con accessori per tutta la band offerta da Musicalmente, negozio di strumenti musicali

5° Pacchetto Rockambula comprensivo di brani in ascolto in home, banner per  1 mese, intervista e recensione, band della settimana + video della settimana

+ lezioni gratuite di batteria presso l’Hard Grooves Drum School di Raiano (Aq) per i 3 migliori batteristi

La giuria, non ancora definitiva, è per ora composta da:

Roberta D’Orazio, Direttrice della Webzine Mola Mola e Redattrice di Rockit
Michele Montagano, Direttore della Webzine Stordisco e dell’Etichetta V4V Records
Silvio Pizzica, Caporedattore della Webzine Rockambula e redattore di Ondarock e AbExpress
Ulderico Liberatore, Redattore Rockambula
Paolo Tocco, Direttore dell’Etichetta e dell’Ufficio Stampa Protosound
Daniela De Stephanis, rappresentante associazione Nuove Frontiere
Piero Lucarelli, responsabile Arezzo Wave Abruzzo e direttore Associazione Franti Rise
Emiliano Amicosante Direttore Etichetta Indelirium Records e fondatore di Rockambula
Silvio Mancinelli, redattore Musicalnews
Luciano “Lou” Liberatore, chitarrista e fondatore della band romana dei Bohémien

Giuria speciale premio Hard Grooves:

Giorgio Di Giannantonio, titolare Hard Grooves Drum School
Stefano Di Bacco, batterista e rappresentante associazione Nuove Frontiere
Daniele Palombizio, batterista dei Christine Plays Viola

Durante la serata del 31 agosto saranno inoltre presenti diversi espositori ancora in fase di definizione. Di sicuro ci saranno:

Rockambula, webzine organizzatrice
Indelirium Records, etichetta indipendente, espositore e vendita cd
V4V Records, etichetta indipendente, espositore e vendita cd
To React Records, etichetta indipendente, espositore e vendita cd
Acme Recording Studio, studio di registrazione
Neo Edizioni, casa editrice indipendente e vendita libri
Rumble Tumble Tattoo, esposizione tatuaggi
To Lose La Track, etichetta indipendente, espositore e vendita cd

Mentre tra le esposizioni artistiche (pittura, scultura, fotografia, ecc…):
Teschio Urbano Art
Gianluca Di Bacco, disegnatore, fumettista
Giovanni Camassa, fotografo
Patrizio Petrella, artista, pittore

Fotografo ufficiale della serata Alessandro Baroni.

Di seguito le 8 band finaliste:

À l’Aube Fluorescente. Progetto alternative rock della Valle Peligna che nasce nell’ottobre 2012 dall’idea di Jacopo Santilli (voce e basso) e di Paride Sticca (chitarra).

Too Late To Wake. Band post-grunge pescarese attiva da luglio 2010.

Doriana Legge. Cantante, chitarrista, compositrice, ex voce e chitarra dei Queer Dolls e voce dei Discanto, qui nel suo progetto solista.

The Old School. Nati a Sulmona nel febbraio 2011, il quartetto propone un classico Rock’n Roll anni Sessanta ispirato ad Elvis e Eddie Cochran.

De Rapage. Vengono assemblati in diversi momenti degli anni ’70 da carrozzieri psicopatici e muratori stupidi. L’inizio della loro bio la dice lunga su chi siano questi ragazzi di Chieti e cosa sia la loro musica.

The Suricates. Cinque ragazzi dal chietino propongono un Post Rock carico d’enfasi

DEM. Rock Blues Trio nato a L’Aquila e dalla forte anima internazionale.

Ghiaccio 1. Giovanissima band di Giulianova che propone Rock in lingua italiana.

Alle band escluse dalla finale non possiamo che rinnovare i nostri ringraziamenti e fare i complimenti. È stata una gara tiratissima che ha visto la prima band esclusa, distanziata di pochi centesimi (è stato calcolato un voto medio sulla base di quello dei redattori) dall’ultima delle finaliste scelte. Oltre a mandare a tutte le band un enorme “in bocca al lupo” rinnoviamo inoltre l’invito a partecipare comunque alla serata del 31 agosto a Pratola Peligna (Aq) ricordando che la nostra webzine, Rockambula, sarà a loro completa disposizione per la pubblicazione di news, recensioni o altro (nei limiti del fattibile).

Grazie a tutti e continuate a seguire gli sviluppi su Streetambula e Rockambula, anche Facebook. Ci vediamo il 31 agosto a Pratola Peligna. Ciao.

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Artefacendo Rock Festival: la musica dal vivo, la musica che vive! (con intervista ad Erica Mou)

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Sabato 22 Giugno 2013 @ San Giovanni Rotondo

Da queste parti, si sa, il Rock’n’Roll è roba per pochi; per questo  nessuno si è preoccupato più di tanto se la piazza non era gremita di gente. All’Artefacendo Rock Festival, chi ci doveva essere, c’era. Il contest, rivolto ai musicisti emergenti, organizzato e ideato dai Laboratori Urbani Artefacendo di San Giovanni Rotondo, è arrivato alla sua III edizione e ancora una volta ha dato la possibilità ai partecipanti di  poter vincere una borsa di studio a seguito di un’esibizione live.

A esibirsi sul palco, con un pezzo inedito ed una cover, sette band del territorio garganico e non. Ad accendere la musica ci hanno pensato  gli  Stereofab di Manfredonia, seguiti a ruota dai Red Dust di San Giovanni Rotondo, i Paper Walls di Mafredonia, i Blastorm di Manfredonia, i Johnny Freak di Cassino, i Figli di Bacco di San Giovanni Rotondo ed infine gli Psilocibe di Troia. Dopo le varie esibizioni è stato bello poter constatare che la maggior parte dei gruppi era ad un livello abbastanza buono per tecnica, capacità compositive, presenza scenica e comunicazione al pubblico, tanto che per l’assegnazione del premio è stato necessario valutare un’ulteriore esibizione dei due gruppi più votati dalla giuria.

Ed è così che Psilocibe e Red Dust sono scesi nuovamente in campo per contendersi la vittoria assegnata, infine, ai Red Dust.  Giovanissimi,  hanno sicuramente ancora molto da imparare, ma di certo non necessitano di lezioni di grinta e coraggio; il loro pezzo inedito e la loro cover di  “Time” dei Pink Floyd sono arrivati dritti sul pubblico come una valanga, sommergendolo di emozioni. Il premio della critica Rockambula è stato assegnato invece ai Jhonny Freak che, nonostante qualche problema tecnico con le chitarre, sono riusciti ad incantare il pubblico sia con il loro pezzo inedito (rigorosamente in italiano), sia con la stupenda interpretazione de “La Donna Cannone” di De Gregori.

Guest Star della serata: Erica Mou, che ha presentato il suo ultimo disco Contro le Onde, uscito lo scorso 28 maggio, eseguendo i brani “Mettiti la Maschera” e “Mentre mi Baci (Scena Madre)”, insieme a “Nella vasca da Bagno Del Tempo” (brano che l’ha portata a vincere il Premio della Critica Mia Martini a Sanremo 2012 nella categoria Sanremosocial) e “Oltre”, pezzo scritto alla sola età di 16 anni, suonato in occasione di diversi contest a cui la cantautrice ha partecipato, e con il quale ha augurato il suo personalissimo in bocca al lupo a tutti i musicisti presenti. Alle volte si dimentica che anche un artista ormai conosciuto al pubblico e con una carriera ben avviata ha dovuto fare anni ed anni di gavetta e cominciare da zero, proprio come tutti i grandi hanno fatto.

Chitarre in spalla, furgoni stracolmi di strumenti, chilometri su chilometri da percorrere, il tutto per giocarsi un’altra possibilità, per creare una nuova connessione col pubblico, per trasmettere a tanti l’emozione di uno, per generare un suono, per tirar fuori la voce, per improvvisare un assolo, per catturare anche per un attimo l’attenzione e generare all’interno di chi ascolta un piccolo grande wow! E’ così che forse succede quando la musica centra il bersaglio, e nessun ascolto “digitale” potrà mai generare questo tipo di emozioni ed improvvisazioni che può provocare solo un evento live. Per  un musicista emergente tale tipo di esibizioni è indispensabile, come lo è per il pubblico che ascolta, che ha la possibilità di apprezzare a 360° le doti di un artista dimenticando per una volta quel maledetto filtro con la realtà che è lo schermo, di un  pc, di un televisore o di qualsiasi altra diavoleria elettronica.

Iniziative come quella dell’Artefacendo Rock Festival, ed in genere di tutti i contest musicali di musica dal vivo, dovrebbero essere preservate e moltiplicate. Ognuno di noi dovrebbe dire grazie a chi, tra mille e più difficoltà, si impegna a diffondere e preservare quel bene raro che è la musica live, emergente e non, il più delle volte senza un preciso ritorno economico ma semplicemente in nome della propria passione per la musica, in nome del Rock’n’Roll.

Artefacendo Rock Festival, quattro chiacchiere con Erica Mou, sogni e progetti sparsi qua e là, sorrisi ovunque, qualche domanda sul suo presente e sul suo passato, una serie di belle risposte.  

Grazie, Mou!

Ciao Erica, in questo periodo sei impegnata con la promozione del tuo ultimo album “Contro le Onde” uscito lo scorso 28 maggio. Cosa sono per te le onde contro le quali bisogna andare? Cosa rappresentano?
Le onde sono prima di tutto quelle fisiche, quelle del mare. In tutto il disco parlo tantissimo dell’acqua e del mare visto sia come compagno di viaggio che come ostacolo da superare, come elemento rassicurante ma anche come pericolo.
Però le onde contro cui sono voluta andare in questo album sono anche più in generale le avversità della vita, tutto ciò che ti impedisce di viaggiare ma soprattutto tutti gli ostacoli che ci costruiamo da soli, che sono nella nostra testa.
Contro le onde è per me un inno a liberarsi, a rischiare.

Quali sono le maggiori novità di questo disco? (Ho letto di una collaborazione con Boosta dei Subsonica).
Sicuramente la produzione artistica di Boosta è una grande novità! Con Davide abbiamo davvero lavorato a quattro mani su queste canzoni, ne abbiamo anche scritte un paio insieme (“Il ritmo” e “Non dormo mai”) e anche scrivere con un altro artista rappresenta per me una novità. Le sonorità sono un po’ più elettroniche, senza rinunciare però ad un approccio molto suonato, molto “live”. Inoltre è la prima volta che do dichiaratamente un senso comune ad un album, c’è un unico concept che si sviluppa attraverso le canzoni.
E poi grazie a Davide sono riuscita a tirar fuori la parte più ironica di me senza perdere quella intimista, sono riuscita a scrivere e cantare con una libertà che finora non avevo mai avuto in uno studio di registrazione.

Oggi siamo ad un Rock Festival dedicato allamusica emergente, torniamo al tuo di esordio. Ne hai ripercorso le tappe sul palco del Roxy Bar di Red Ronnie il 15 giugno (il racconto, tra l’altro, è stato davvero bello ed emozionante). Hai definito la tua partecipazione al contest che ha “scatenato una serie di cose stupende”, “una serie di fortuite e fortunatissime coincidenze”. Credi davvero sia solo questo? Dicci la verità, quanta energia e quanto impegno ci hai messo per arrivare fin qui?
Io mi impegno da quando avevo cinque anni, dalla mia prima lezione di canto. La musica è un percorso infinito di studi, di ascolti, di incontri, di pensieri. Le coincidenze sono quegli avvenimenti magici che ti portano in un luogo al momento giusto, per me è stato davvero un caso iscrivermi a quel contest. Ma poi ovviamente… la performance sul palco non si fa con la fortuna, ma col portare il pubblico per un attimo a guardare dall’interno il punto in cui ti trovi in quel percorso infinito, tecnicamente ed emotivamente.

Il Rock Festival di oggi è organizzato dai Laboratori Urbani Artefacendo di San Giovanni Rotondo, uno dei 151 laboratori urbani la cui nascita è stata finanziata dalla Regione Puglia all’interno del programma Bollenti Spiriti, il programma della Regione Puglia per le Politiche Giovanili. Quanto hanno influito le politiche della Regione Puglia rivolte alla musica per il tuo esordio e per la tua carriera di musicista?
Per me sono state fondamentali sia a livello promozionale (per esempio un mio brano era inserito in una compilation allegata al mensile XL) che economico (grazie ai bandi di Puglia Sounds abbiamo avuto un sostegno per la Prima del mio precedente tour e per la realizzazione del mio ultimo videoclip “Mettiti la maschera”). Inoltre essere pugliese mi ha agevolato nel suonare all’estero ma, più di ogni altra cosa, grazie alle istituzioni della nostra regione ti senti parte di un sistema, senti di produrre qualcosa di concreto, qualcosa che fa parte nel suo piccolo di una economia. Ed oltre ad essere un musicista diventi anche una persona che fa il musicista.

Quale consiglio daresti oggi ad un artista, ad una band emergente?
Consiglierei di suonare ovunque, sempre, tanto. Di essere in movimento, di divertirsi, di studiare e di ascoltare. Alla fine dell’Artefacendo Rock Festival una giovanissima band mi si è avvicinata e mi ha detto: “noi ci siamo formati da pochissimo, come si fa ad avere un contatto con una casa discografica?”. Ecco, consiglierei soprattutto di ragionare sui propri obiettivi, di essere autocritici e non farsi mai domande come questa.

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