“Ascoltavamo Creedence, De Gregori, Honeybird And The Birdies, Frank Zappa, Beirut, Woodkid, Wilson Pickett, Pj Harvey, Moriarty, Albedo, Vintage Violence, Maria Antonietta, Vinicio Capossela , Cypress Hill , Houses, Dead Can Dance. Le strade schiumano di Pills contro il dolore e l’infelicità, noi le ascoltavamo tutte. Ci saremmo sparati Laura Pausini se l’avessero dichiarata illegale”
Silvio Don Pizzica Houses – A Quiet Darkness (Usa 2013) Dream Ambient Pop3/5
Duo in arte e nella vita, al loro secondo lavoro la band di Chicago sceglie la strada del concept raccontando la storia di una coppia separata da un olocausto nucleare che cerca di ricongiungersi. Buone le atmosfere ma tra le mille sfumature possibili di una vicenda del genere, gli Houses raccontano solo i grigi.
Max Sannella Creedence Clearwater Revival – Pendulum (Usa 1971) Country Rock 5/5
La California al suo apice musicale, i fratelli Fogerty firmano le più belle pagine country del secolo. Cypress Hill – Skull And Bones (Usa 2000) Hip Hop, Rap 4/5
Dalle strade malfamate di San Francisco il jumping-cross che ha rivoluzionato l’autenticità delle gang urbane. Dead Can Dance – Spleen And Ideal (Australia 1985) New Wave 4/5
L’armonizzazione gotica spruzzata di esotismo che più di tutte elargì consensi mondiali al duo Perry/Gerrard.
Lorenzo Cetrangolo Francesco De Gregori – Bufalo Bill (Ita 1976) Cantautorato 4,5/5
Reduce dal successo di Rimmel, il cantautore romano sforna a breve distanza quest’album particolarissimo, dove esprime tutto il suo amore per gli States e le sue nuove capacità vocali. Perla nascosta: Atlantide e il suo “barattolo di birra disperata”. Vinicio Capossela – Ovunque proteggi (Ita 2006)Folk, Etnico, Cantautorato 5/5
Capolavoro enciclopedico, un viaggio nello spazio e nel tempo dove Capossela si diverte a ricreare atmosfere e sensazioni dal passato e da luoghi lontani (il Medio Oriente di “Non Trattare”, la Grecia antica di “Brucia Troia”, i musical americani in “Nel Blu”, la violenta follia di Roma in “Al Colosseo”, una Russia steam- o cyber-punk in “Moskavalza”, l’Estremo Oriente di “Lanterne Rosse”…). Caleidoscopico, magistrale, virtuoso. Robert Johnson – King of The Delta Blues Singers (Usa 1961) Blues 5/5
Il voto è per il significato che questo disco, un album compilation di sedici registrazioni, catturate in due diverse sessioni nel 1936 e nel 1937, ha avuto su generazioni di musicisti blues, americani e non. Se non avete sentito questo disco, non avete mai sentito davvero il blues.
Maria Petracca Honeybird And The Birdies – You Should Reproduce (Ita 2012) Crossover 4/5
La leggerezza e la spensieratezza di una giornata primaverile. Disco un po’ ripetitivo per alcuni brani, ma è un dettaglio poco rilevante. In fondo, chi mai si annoierebbe di un po’ di colore che rende più allegra la giornata? Maria Antonietta – Maria Antonietta (Ita 2012) Rock 4,5/5
La verità sputata in faccia da una voce che assume a tratti i toni della follia e da chitarre distorte capaci di urlare tutta la disperazione del mondo. La colonna sonora di quando sei incazzato e vuoi farlo sapere in giro…
Ulderico Liberatore Frank Zappa – We’re Only in it For The Money (Usa 1968) Progressive Rock5/5
Album fenomenale, qui Zappa compone e realizza un album parodia della società americana dove la prende con tutti, dai figli dei fiori alla polizia, arrivando ad offendere anche i tossici e cupi Velvet Underground antagonisti della costa est.
Simona Ventrella Beirut – The Rip Tide (Usa 2011) Gypsy Punk Folk4/5
Il famoso giramondo indie Condon per il terzo album con i Beirut propone un mix stilistico tra la consueta tradizione bandistica fatta di fiati e coralità strumentali, e una visione intimistica e nostalgica del viaggiatore spoglia dai fragori balcani e dal sapore agrodolce. Solo per sognatori esperti. Vintage Violence – Piccoli Intrattenimenti Musicali (Ita 2011) Alternative Rock4,5/5
Undici pezzi di puro Rock italiaco energico con un forte impatto sonore e ben suonato, unito a testi inteligenti, ironici e marcatamente taglienti. Un gruppo da live trascinante. Finale con ghost track da urlo realizzata e prodotta da Dario Ciffo. Le Capre a Sognagli – Sai di Capra (Ita 2013) Stoner, Lo-Fi3/5
Disco complesso non adatto a tutti i palati. Un viaggio fatto da molte tappe in paesi e atmosfere del mondo. I brani si muovono tra sonorità Folk, Hard rock, Stoner e Indie tutto amalgamato da una costante e voluta patina Lo Fi.
Diana Marinelli Woodkid – The Golden Age (Uk 2013) Sperimentale, Pop5/5
Quattordici tracce per ripercorre l’età d’oro, cioè l’infanzia che finisce per buttarsi in una quotidiana vita frenetica. Quattordici tracce senza luoghi, senza tempo, piene di ottoni, archi e tamburi da guerra, in una miscellanea di sperimentazioni e di immagini filmiche come solo Yoann Lemoine sa fare.
Marco Lavagno Wilson Pickett – The Exciting WIlson Pickett (Usa 1966) Soul 5/5
Un’esplosione di euforia. I fiati amplificano più di un muro di Marshall e conquistano con gran facilità la “terra dei 1000 ballerini”. Un disco con cui svegliarsi ogni giorno e apprezzare le grandi gioie della vita. Albedo – Lezioni di Anatomia (Ita 2013) Rock, Elettronica 4,5/5
La band che ha rapito Rockambula ha rapito anche me. Difficile trovare sonorità così attraenti, prive di ogni forzatura. Sonorità che ci rapiscono in un viaggio interstellare. Paradossalmente, senza andare troppo lontano, esplorano chirurgicamente il nostro corpo.
Giulia Di Simone Pj Harvey – Rid Of Me (Uk 1993) Art Rock 5/5
48 minuti di vocalizzi multiforme ed orgasmici, tra semplici accordi giusti e d’effetto. Un disco controverso, in bilico tra disperazione, ossessione ed irrazionalità che ha consacrato PJ Harvey come una delle poche donne rocker con le palle. Moriarty – The Missing Room (Fra 2011) Folk Pop 5/5
Dean Moriarty viaggiava in autostop tra Parigi e Firenze, amava le donne e la sua storia venne raccontata da Jack Kerouac. Queste sono le radici culturali di cui si nutrono i Moriarty, e non sono certo deboli radici. Ida Maria – Fortress Round my Heart (Nor 2008) Pop Punk 4/5
Classe 1984, dalla Norvegia arriva Ida Maria, una rocker senza peli sulla lingua che soffre di sinestesia (quando ascolta musica vede colori) e realizza il singolo “Oh My God” con un ospite d’eccellenza: Iggy Pop.
Crowdfunding: dopo l’ intervista al team di Musicraiser che trovate qui, ecco la seconda parte con l’intervista a cura di Marco Lavagno alla band Il Terzo Istante , una delle tante che hanno scelto questo metodo di finaziamento/vendita/promozione e quindi le conclusioni di Silvio Don Pizzica.
Il Terzo Istante è una promettente band di Torino, in pista da meno di due anni e che ha deciso di finanziare la produzione e il mixaggio del suo secondo EP tramite Musicraiser. L’iniziativa è stata premiata con un successo strepitoso che ha portato i ragazzi a guadagnare quasi il doppio del previsto! Facciamo due parole con la band.
Ciao ragazzi, innanzitutto benvenuti su Rockambula. A chi di voi è venuta l’idea di finanziare l’EP tramite il crowdfunding? Siete stati spronati da qualche vostro collaboratore o avete fatto di testa vostra?
Ciao a voi e grazie dell’invito. Il merito di averci convinto a percorrere questa strada è tutto di ME. LA (www.associazionemela.com), realtà con cui abbiamo iniziato a collaborare da qualche mese.
Loro non si occupano soltanto di musica, ma anche di comunicazione, arte in generale e organizzazione di eventi, e lo fanno attraverso un approccio particolarmente intelligente e moderno.
Dunque sono piuttosto sensibili alle opportunità che ci offrono sia le nuove tecnologie sia la crisi di settore.
Che cosa avete promesso in cambio ai vostri raisers? Per altro in italiano mi verrebbe da chiamarli tristemente “finanziatori”, invece viene scelta la parola “raiser” che è molto più romantica: coltivatore, allevatore. Trovate sia azzeccato come termine?
Abbiamo promesso un po’ di tutto: intanto con qualsiasi offerta si riceveva, come punto di partenza, il nostro nuovo EP con il proprio nome stampato sopra, nella sezione dedicata ai finanziatori. Poi con offerte a salire si potevano ricevere premi accessori, come lezioni private di uno a scelta dei nostri tre strumenti, una cena offerta e cucinata dalla band, partecipazione al video del primo singolo, registrazione di una cover a scelta in esclusiva, ecc..
Insomma abbiamo dato spazio alla fantasia..
In merito all’etimologia della parola, al di là dei risvolti pratici o romantici crediamo che la cosa importante sia cogliere il concetto e la filosofia di base del crowdfunding: non si tratta di elemosina, non si regalano dei soldi. Si compra un bene o un servizio, spesso esclusivo, prendendo parte (anche con una cifra piccolissima) all’opera di finanziamento di un progetto in cui si crede.
E’ vero che ci sono band che promettono cene o foto autografate? Ma davvero si riescono a fare soldi in questo modo? Pensavo che gruppi come i Backstreet Boys non avessero bisogno di Musicraiser…
Sì, ci sono band che offrono anche questo tipo di premi. Ad esempio….noi. J
Non si tratta di fare soldi, il concetto di partecipazione è del tutto differente. Qui si prende parte a un progetto e si comprano, come dicevamo prima, beni esclusivi.
Una cena con l’artista che si sta finanziando, o perché no una sua foto autografata, rappresenta un bene/servizio esclusivo, non acquistabile sul mercato.
Ovviamente in Italia, siamo appena agli inizi, per cui il crowdfunding è qualcosa che per ora viene preso in considerazione principalmente dagli emergenti e l’appetibilità di questo tipo di premi è proporzionale alla fama dell’artista in questione, ma ovviamente anche i relativi prezzi…
Nel momento in cui, come avviene già ora in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, anche gli artisti mainstream dovessero adottare questa metodologia di finanziamento, siamo pronti a scommettere che ci sarebbero orde di fan pronti a spendere per una cena o un concerto privato di Tiziano Ferro, piuttosto che degli Afterhours.
In merito ai Backstreet Boys ti dobbiamo smentire: siamo anche noi una boy band e ne abbiamo avuto bisogno.
Non vi sembra che chiedere soldi ai vostri supporter sia una forma un po’ vile per finanziare un progetto? Soprattutto senza garantire nulla nell’immediato? E se poi l’EP non convincesse i vostri “allevatori”?
Abbiamo seguito con interesse tutte queste polemiche (molto “italiane”) sul crowdfunding e sinceramente non capiamo proprio cosa ci sia di vile. Comprare la musica non ci sembra vile. Perché è di questo che si tratta. Ed è quello che abbiamo sempre fatto fino a quindici anni fa (anzi molti di noi lo fanno ancora): comprare musica a scatola chiusa, semplicemente perché credi in un’artista o in un progetto.
La differenza è che puoi decidere se comprare semplicemente il cd, oppure fare una cena con la band, farti registrare da loro una cover, ecc..
C’è un’opportunità in più: quella di condividere un’esperienza con degli artisti che stimi, oltre alla possibilità di prendere parte attivamente al processo di creazione di un’opera artistica.
Ma una band emergente non dovrebbe pelarsi le mani a suonare in garage e poi finanziarsi facendo miriadi di concerti anche nei peggiori bar di periferia? Non è meglio a questo punto mettere su qualche cover e suonare di più in giro piuttosto che fare soldi sul web?
Innanzitutto ci fa sorridere il riferimento al “far soldi”. Non c’è niente di più lontano dall’attività musicale in questo momento…
In secondo luogo, potremmo concordare se ci trovassimo nel migliore dei mondi possibili. Spieghiamo meglio: se la musica live fosse pagata decentemente (o se venisse semplicemente comprata la musica su qualsiasi supporto), probabilmente non avremmo bisogno del crowdfunding. Ma dal momento che non è così (e non è una questione di cover o pezzi originali) le nuove tecnologie ci vengono in soccorso. Non è così difficile o dispendioso organizzare una campagna crowdfunding.
Puoi continuare a provare nei tuoi garage, fare miriadi di concerti e nel frattempo farti la tua campagna in contemporanea.
E’ chiaro che la musica è e deve rimanere il centro della questione: ma su questo non avrei molti dubbi visto che il musicista moderno si “rovina la vita” per la semplice esigenza di esprimersi in musica attraverso i dischi e la musica live, senza peraltro ricevere quasi nulla in cambio.
Grazie mille ragazzi! In bocca al lupo e complimenti per questa nuova band. Poi mandateci una copia di questo famigerato EP che cercheremo di mettervi sotto torchio per valutare se i vostri raisers hanno speso bene i loro soldi.
Grazie a voi sia per l’opportunità che per i complimenti!
Poi vi manderemo anche il disco da recensire!
Tutto è chiaro ora. Forse. E invece no. Perché, anche se sono sempre più favorevole all’idea base del crowdfunding, i dubbi vengono continuamente. Uno mi è venuto proprio ora, a dire il vero. A che serve l’”obiettivo”? Se arrivo al 90% invece che al 100% che problema c’è? Perché la band deve rimborsare (sempre che non si autofinanzi sottobanco; vedi prima parte)? In fondo ha comunque venduto qualcosa. Questa è solo una delle domande che mi passano per la testa ma forse sono io che mi faccio troppi problemi. Con tutti questi dubbi crescere è complicato. Forse. O invece no?
Non sazio di aver dilapidato e destrutturato tutto quello che vagava nel rock senza guinzagli nell’America fine 80 e inizio 90, con due delle band al vetriolo che più rappresentavano il disagio delle moltitudini urbane ovvero Rapemen e Big Black, Steve Albini – dopo una pausa per motivi ideologici – riprende in mano la situazione, ed insieme ad altri due gran “casinari”, Bob Wetson e Todd Trainer fonda gli Shellac, una delle formazioni USA dove atmosfere brutali, storte e squadrate erano la normalità.
Siamo in pieno Post-Core, Slo-core, rimasugli di Math-Rock e alle spalle il ringhio in lontananza dell’Hardcore, e da questo immenso guazzabuglio distorto e malato viene partorito “At Action Park”, il disco in cui tutto il sistema fradicio delle nuove stilizzazioni viene inglobato e masticato senza remore, un disco (dieci tracce) in cui scorre veleno, controtempi, una geometria angolare da far paura – tanto precisa – noise lancinante e zigrinato e una costante riproposizione di temi sociali infastiditi dalla insofferenza dei poteri di allora; quello che ne viene fuori all’ascolto è alienazione sonora che si fa portavoce di un sound a matrice industriale, urla, ossessioni e oppressione sono il filo elettrico portante di questa tracklist a maglio, una estremizzazione di pedaliere e feedback che per tutta l’esecuzione di questo lavoro vengono registrate dal vivo, per dare quella sofferenza in più a chi porge l’orecchio.
Molti definirono il disco una enorme bocca dentata dove dentro ci andava di tutto senza cognizione di causa, ma il successo ottenuto invece lo consacrò tra le produzioni alternative più “slegate” dell’intero panorama americano, e loro, questi scalmanati dalla personalità delirante vinsero la capacità di gridare senza vergogna tutta la brutalità e disumanità che la macchina yankee produceva sulla pelle di chiunque; accordi di chitarra asfissianti, volutivi, basso bastonante e voce ossessa, sullo sfondo i fumi neri di Fugazi, JesusLizard, Pere Ubu, e tutto l’ascolto procede come in un campo minato, le seghettate note che “Pull The Cup” e “My Black Ass” vanno a tranciare i coni stereo, la magnifica visione drogata di “Song of Minerals” o il tribale busso che “Crow” tramuta in una danza industriale/ipnotica, o il recupero nostalgico delle nervature sclerotizzate del punk che in “Dog And Pony Show” si spaccano in mille rivoli di sangue rappreso; poi con la finale ed impenetrabile jungla orientalizzante e schizofrenica che abita“Il P***o Star”, il disco esplode in un presagio, quello della certezza di un imminente capolavoro di irrefrenabile maledizione.
“Le Pills non sono cattive. Le Pills sono musica. Il problema è quando quelli che ascoltano le nostre Pills le considerano una licenza per comportarsi come teste di cazzo.” Frank Zappa
Dalle novità extraconfine (su tutti il nuovo The Knife) proposte dal nostro Don, ad una mini carrellata storica targata Sannella. Dalla solita nuova scoperta della nostra Diana (stavolta svedese), sempre in crca di talenti nascosti, ad un classico tutto italiano proposto da Riccardo.
Silvio Don Pizzica Mazes – Ores & Minearals (Uk 2013) Noise Rock3/5
Come all’esordio, ancora psichedelia sporca in chiave Indie per la band britannica. Come all’esordio, il secondo lavoro dei Mazes non lascia intravedere niente di sensazionale, sotto ogni aspetto. Dirk Serries – Microphonics XXI-XXV (Bel 2013) Ambient, Drone Music3/5
L’artista belga riesce ad essere imprevedibile, qualunque cosa decida di fare. Questo lavoro ne è la riconferma. Tra atmosfere Ambient e droni elettrici e languidi, non potete perdervi l’ultimo capitolo della pseudo saga Microphonics. Sempre che non sia musica a voi indigesta. The Knife – Shaking the Habitual (Sve 2013) Electronic, Experimental3,5-4/5
Non per fare lo snob ma un po’ fa rabbia ascoltare tutto l’entusiasmo creato attorno a questa formazione considerando che da fine millennio a l’altro ieri la cagavano veramente in pochi. Oggi sembra la moda del momento ma in realtà, dietro a tutto questo, c’è un album fantastico che ha il merito di crescere ad ogni ascolto.
Max Sannella Country Joe And The Fish – I Feel Like I’m Fixin’ To Die (Can 1967) Psichedelia 5/5
LSD e amori incontrollati a cavallo di una psichedelica ottenebrante e a due passi dalla luna. Culture Club – Colour by Numbers (UK 1983) Pop Dance3/5
Boy George e Soci strabiliano i dancefloor internazionali con un mix di pop entravesti e calori jamaicani. Fanno centro! The Cure – Wild Mood Swing (UK 1996) Dark Wave 4/5
Dalla “Generazione degli Sconfitti” i Cure di Smith si ricolorano di altre sfumature e promuovono un capitolo sonoro che cambia di non poco il loro status.
Diana Marinelli Den Svenska Bjornstammen – Ett Fel Narmare Ratt (Sve 2012) Pop Techno3/5
Cliccando a caso si può scoprire musica interessante come questa band svedese formatasi nel 2010 che miscela Pop, Techno e una puntina di Folk.
Riccardo Merolli CSI – Linea Gotica (Ita 1996) Art Rock, New Wave 4,5/5
La migliore (post)rock band italiana di sempre incide un disco dalle tinte forti e sapori amari, l’inizio di una rivoluzione musicale che purtroppo in Italia non si può fare.
Marialuisa Ferraro Smashing Pumpkins – Mellon Collie And The Infinite Sadness (Usa 1995) Rock 5/5
È semplicemente un must have, si presenta da solo, ma va assolutamente ripassato in cuffia di tanto in tanto, per sentire come la voce di Corgan si amalgami perfettamente con l’orchestrazione. Half Japanese – Half Gentleman/Not Beasts (Usa 1980 – Ristampa 2013) Rock 3,5/5
Molto complesso etichettare con un genere questo lavoro: é un’esplorazione primitiva tra le matrici dei generi e le pulsioni ritmiche del reagire umano. Un disco cupo per molti aspetti, violento e crudo, che raramente cede il passo al puro godimento armonico-melodico.
Vincenzo Scillia Iggy Pop & The Stooges – The Stooges (Usa 1969) Punk Rock 4,5/5
Il suono primitivo di un gruppo che è pura storia. “The Stooges” racchiude quel grandioso suono da garage che in tanti hanno seguito. Rispolverare questa perla è stato un vero privilegio. Finntroll – Nattfodd (Fin 2004) Folk Metal 4/5
“Nattfodd” dei Fintroll è un simpatico disco che ha la capacità di farti immaginare di stare in mezzo agli abitanti del piccolo popolo. Tra fate, elfi, nani e troll vegliano più che mai i riff, le cornamuse ed il cantato in growl dei Finntroll. Una chicca di album.
Il crowdfunding è una forma di autofinanziamento che gli artisti utilizzano per realizzare i loro progetti. Sembra molto chiaro, detta cosi. Non è un’idea nata in Italia, ma da qualche tempo si sta diffondendo fortemente nel nostro paese. Per dirla in breve e molto semplicemente, il meccanismo è questo. Una band decide di realizzare un album, un Ep, un video oppure di andare a suonare all’estero (come nel caso dei Christine Plays Viola) ma non ha soldi per realizzare questo progetto. Prima del crowdfunding la band, generalmente emergente, cosa avrebbe fatto? Si prova a suonare nei locali della zona, cercando di mettere da parte qualcosa, magari vendendo qualche gadget. Si risparmia in proprio o si chiedono i soldi a papà o a chiunque abbia la possibilità di elargire dei mini prestiti senza fare lo strozzino. C’era da sudare, insomma. Ora invece, le stesse band possono presentare il loro proposito a piattaforme specializzate che valuteranno la validità dell’idea. Una volta che il progetto è scelto, il gruppo realizza un video, dove può spiegare le proprie ragioni, promuovere il materiale in vendita oppure semplicemente far ascoltare la propria musica. Alla band è quindi assegnata una pagina all’interno della piattaforma, dove è presente quel video. Si fissa un budget da raggiungere che chiunque può visionare tramite un apposito contatore, un tempo massimo e vengono elencate tutte le offerte della band. L’utente potrà quindi acquistare uno dei prodotti e, alla fine del tempo indicato, se la somma prefissata è raggiunta, la band incasserà il tutto, meno una percentuale che resta nelle casse della piattaforma ospitante. Come vi dicevo è tutto molto comprensibile ma solo all’apparenza. Tale sistema ha generato un’infinità di polemiche legate a diversi aspetti. Chiariamo una cosa. Le band non si limitano a vendere Cd, file audio, T-shirt e spille. Possono far pagare un euro in più un Cd autografato, commercializzare una loro telefonata a casa o la presenza a cena con voi. Cose che non c’entrano molto con la musica. Tutto questo, per alcuni, somiglia a una disperata elemosina web. Inoltre, pone le band in un atteggiamento antipatico (dovresti essere te sconosciuto, a essere felice di farmi un autografo e non io a pagarti) nei confronti del pubblico. Inoltre, molti progetti mirano alla realizzazione di un disco che è anche l’oggetto in vendita. Quindi il pubblico paga qualcosa che non esiste ancora, in realtà. Insomma, la cosa non è proprio cosi naturale e sul web potete leggere infiniti articoli contro. Io ho le idee molto confuse. Non vedo nulla che riporti al concetto di elemosina perché, in fondo, si vende qualcosa. E anche quando si chiede un semplice sostegno economico, non vedo perché debba essere chiamata elemosina, visto che in chiesa si chiama offerta. Le parole sono importanti. In merito al rapporto col pubblico, anche qui non penso che possa essere il crowdfunding elemento di allontanamento. Primo perché, trattandosi di band spesso sconosciute ai più, chi partecipa al progetto è di solito già fortemente fidelizzato con il suo piccolo pubblico. Inoltre, molte delle cose (in senso ampio) in vendita sono proposte in maniera ironica (vedete la pagina dei Twiggy è Morta, ad esempio) e divertente, senza arroganza. Anche sul discorso dell’acquistare qualcosa che non esiste, non è certo pratica nuova. Succede con le case, le auto e in fondo, se il progetto non si realizza, mi sono restituiti i soldi. Nessun rischio. Su questi punti sono riuscito a farmi un’idea ma evidentemente non ho ancora molto chiara la visione generale. Inoltre ci sono altre questioni che non vi ho posto e che, tra gli articoli che ho letto, nessuno ha sollevato fino ad ora. Ho fatto quindi la cosa migliore che potessi. Mi sono rivolto direttamente all’agenzia italiana più importante del genere: Musicraiser. Ecco cosa mi hanno risposto.
P.s. Il crowdfunding non è un concetto applicato solo alla musica, ma a Rockambula questo interessa
Crowdfunding. Di cosa si tratta? E Musicraiser?
Il crowdfunding é la web resource culturale, finanziaria e politica che permette a qualunque cittadino di poter contribuire a una causa in cui crede o di proporre il proprio progetto al vaglio della rete al fine ottenere finanziamenti in cambio o meno di un corrispettivo proporzionato all’impegno economico sostenuto da chi partecipa alla campagna che può consistere in:
– Quote societarie (nel caso di una società di capitali) o percentuali di guadagno su un progetto che ha l’obiettivo di conseguire profitti. (Equity based crowdfunding)
– Ricompense che possono consistere in qualsiasi bene materiale o immateriale, fisico o digitale che i creatori dei progetti offrono in cambio del contributo a chi crede nella realizzazione del loro progetto. (Reward based crowdfunding) Questa tipologia di crowdfunding riguarda prevalentemente progetti di carattere artistico (cinema, musica, fumetti, design, editoria etc.)
– Nulla di materiale se non la soddisfazione di aver contribuito ad aiutare una causa che riguarda una situazione di difficoltà di un singolo o di un gruppo di persone (Donation based crowdfunding). Progetti di raccolta fondi per lo più lanciati da ONLUS, associazioni no profit o cittadini privati appoggiati da piattaforme dedicate.
Il crowdfunding può essere “diretto” ovvero se lo si crea sul proprio sito autonomamente, oppure può essere “ospitato” su una piattaforma che offre il servizio di raccolta. Il crowdfunding può prevedere un obiettivo economico che, solo se raggiunto, da diritto a ricevere il finanziamento (altrimenti i contributi vengono restituiti a chi li ha versati) il cosiddetto “All or nothing model”, oppure può prevedere che, nonostante il non raggiungimento dell’obiettivo di raccolta, i fondi restino al creatore del progetto, il “Flexible model”.
Esistono al mondo circa 600 piattaforme web di crowdfunding di cui il 60% negli USA e il restante 40% nel resto del mondo. In Italia sono una ventina circa.
Le piattaforme di crowdfunding possono essere “orizzontali”, nel caso in cui ospitano progetti di diversa natura (dalle cause umanitarie alla lista di nozze a progetti creativi), oppure “verticali”, cioè focalizzate in un settore specifico. Es. cinema oppure musica oppure sport etc.)
Il presidente degli USA Barack Obama ha usato il crowdfunding per finanziarsi la campagna elettorale del 2008 attraverso una campagna di crowdfunding.
Musicraiser è una piattaforma di crowdfunding di tipo reward based verticale sulla musica che adotta l’All or nothing model. Musicraiser offre il servizio di raccolta fondi ai musicisti e agli altri operatori del settore musicale (case discografiche, promoter, festival, agenzie di booking, videomaker etc.) e non detiene alcun diritto intellettuale né d’autore sui contenuti ospitati sul sito.
In questo momento ospitiamo sul nostro sito un numero di campagne di crowdfunding attive per progetti musicali che ci colloca tra le prime tre piattaforme in Europa per raccolta in valuta Euro.
Chi garantisce al pubblico che i soldi raccolti saranno spesi interamente per il progetto indicato? Coloro che creano un progetto su Musicraiser, che noi chiamiamo Creators, cosi come quelli che lo fanno in qualunque altro sito di crowdfunding, s’impegnano a onorare i propri impegni. Se il progetto riceverà più fondi di quelli richiesti, sarà cura del creatore del progetto comunicare ai finanziatori come utilizzerà le ulteriori somme ricevute.
Ad esempio ho visto una band che cercava di finanziarsi la partecipazione a un festival in Austria. L’acquisto del disco e del merchandising è legato direttamente a questo?
Vorrai dire che cercava fondi per sostenere le spese di viaggio per partecipare a un festival in Austria… In ogni caso la risposta è sì, se vuoi contribuire alle spese di un importante step di una band che crede in se stessa e soprattutto in cui TU credi, puoi contribuire al progetto per avere in cambio una copia del loro disco o quello che hanno destinato come “ricompense”. Si tratta di un finanziamento con destinazione d’uso in cambio di una ricompensa.
Se la band, per un motivo o per un altro, non può più andare a quel festival, deve restituire i soldi, anche se in realtà ha venduto il prodotto?
Premettendo che per fortuna (soprattutto per le band) una cosa del genere non è ancora capitata, ti dico che in queste estreme eventualità sarà l’artista che provvederà a contattare i propri finanziatori e a chiedere loro se pretendono un rimborso o se, avendo ricevuto la propria ricompensa, saranno soddisfatti in ogni caso.
Alcune band propongono, in cambio di soldi, la possibilità di scegliere, ad esempio, abiti di un concerto oppure la scaletta. In questo caso chi garantisce che la band mantenga le “promesse”?
Ogni artista è libero di offrire le ricompense che vuole (l’unico limite è la legge e la propria creatività) in cambio dei contributi dei suoi sostenitori così come i suoi sostenitori sono liberi di contribuire al progetto o meno. E’ una questione di fiducia e ne risponde sempre il creatore del progetto che si assume l’onere di provvedere alla consegna delle ricompense una volta che il progetto è stato finanziato con successo. Musicraiser é solo uno strumento e il rapporto legale, fiscale e fiduciario che lega il creatore del progetto al proprio finanziatore è deputato all’artista che crea il progetto. Tutto questo è indicato chiaramente nelle F.A.Q. e nei Terms of use della nostra piattaforma.
Tra le diverse critiche, quella che mi ha colpito di più non è tanto di chi ha definito il crowdfunding “l’elemosina del terzo millennio”, ma piuttosto di chi afferma che qualche anno fa, se chiedevi a una band emergente un autografo, la stessa ne era entusiasta mentre con questo sistema un gruppo di sconosciuti ti fa pagare anche una telefonata. C’è il rischio che le band si allontanino dal pubblico invece che il contrario?
Sarebbe elemosina se in cambio del proprio sostegno i finanziatori non ricevessero nulla in cambio del proprio contributo. Ma se con il crowdfunding impegni € 10 per ricevere l’album di una band che ami, sapendo che nel caso il progetto non raggiungesse l’obiettivo economico prefissato, i tuoi soldi ti saranno restituiti, non è esattamente come comprare in prevendita una copia del loro prossimo album? Che c’è di strano in questo?
Quanto all’atteggiamento di alcuni artisti dipende solo dalla loro personale maturità umana. Non siamo attrezzati per effettuare controlli in merito alla dose di egocentrismo dei musicisti che si propongono sulla nostra piattaforma, ma assicuriamo uno scrutinio scrupoloso sulla credibilità artistica e professionale prima di accettare i progetti. E poi anni fa noi non c’eravamo, la piattaforma è on line da appena cinque mesi.
Mi pare di aver capito che l’artista si tiene i soldi solo se viene raggiunto l’obiettivo.
Esatto, in caso contrario l’artista non riceve nulla, Musicraiser non guadagna nulla e i finanziatori del progetto verranno interamente rimborsati della cifra impegnata. Zero rischi. Come dicevo prima il nostro sistema si basa sul modello “All or nothing” (tutto o niente).
Voi vi tenete il 10%. Quindi una band che non raggiunga l’obiettivo avrebbe vantaggio ad autofinanziarsi, cosi da intascare quanto versato fino a quel momento dalla gente. Obiettivo 1000€, la gente versa 500€, manca un giorno. La band aggiunge i 500€, piuttosto che fallire lo scopo e restituire tutto. Meccanismo un po’ ipocrita e pericoloso, forse?
Ci teniamo il 10% più iva. È il minimo indispensabile per reggere le spese del sito. Inoltre addebitiamo anche le spese di transazione tramite carta di credito (che a nostra volta ci sono addebitate da paypal). Pensiamo che sia una percentuale onesta e che può non incidere economicamente sull’esito di una campagna. Aggiungo che tre campagne finanziate su quattro terminano la raccolta con percentuali di riuscita superiori al 110% (il record è stato fatto dalla campagna di Gianni Maroccolo che ha raggiunto il 304% raccogliendo più di € 27.000, la maggior parte si attesta intorno al 130%) quindi se l’artista è bravo a promuoversi può ripagarsi in parte o del tutto le competenze di Musicraiser. Considera che il nostro servizio prevede anche una promozione on line e off line che permette a una campagna di crowdfunding di diventare anche un’ottima occasione per far parlare di se e acquisire immediata visibilità soprattutto sul web ma anche sulla carta stampata. Molti artisti che sono passati da Musicraiser hanno raddoppiato i loro contatti social alla fine della campagna. Questo grazie anche al nostro widget gratuito, un’applicazione che permette di replicare la campagna di raccolta fondi direttamente sulla pagina facebook degli artisti. Inoltre Musicraiser promuove a proprie spese i progetti che reputa più interessanti o più originali.
Per quello che riguarda l’ipotesi che un creatore di progetto che si auto finanzi la campagna per la parte residuale della somma che gli serve a centrare l’obiettivo e ricevere così il denaro, posso dire che ciò non accade spesso ma può capitare e non possiamo impedirlo tecnicamente né noi di Musicraiser né qualunque altro sito di crowdfunding. Questo perché le piattaforme di pagamento on line (tipo paypal, che ci fornisce il servizio) sono costruite con codici di programmazione che non prevedono eccezioni di tipo etico purtroppo. Potrebbe essere discutibile centrare l’obiettivo versando soldi propri ma potrebbe anche essere che il creator li abbia raccolti off line o li abbia anticipati per qualcuno e li versi a suo nome per chiudere la campagna. In questi casi non ci vedo nulla di pericoloso o d’ipocrita.
Sicuramente la situazione è migliorata rispetto a qualche giorno fa, ma per chiudere il cerchio ho chiesto a Marco Lavagno di fare qualche domanda in merito ad una band che ha deciso di utilizzare questa forma di finanziamento (che io preferirei chiamare vendita). Quello che ci hanno risposto lo leggerete giovedì prossimo, nella seconda parte del nostro articolo.
I The Replacement sono il riassuntivo sonoro degli anni Ottanta indipendenti in quel di Minneapolis, da sempre indicati come la controproposta è meglio la controparte degli Husker Du per via di quella bizzosa movimentazione che caratterizza le loro performances, un mix di nevrotico punk slegato dal genere madre che singulta e sfuma in intellettualismi garage colmi di esistenzialismo e scatti ossessivi sfocianti a volte nell’hardcore.
Giovanissimi al limiti della legalità, la band capitanata da Paul Westerberg, mette in conto di confinare all’angolo tutte quelle band del circondario e non solo che ancora si ostinano a forgiare suoni e terremoti elettrici di vecchia fattura, e dopo due album e un pugno di project slim arrivano a questo stupendo lavoro Let it be autentico inno dell’angst ribelle giovanile che dal loro Mid West diffonderà una onda d’urto che durerà per molto ancora; undici tracce effervescenti, un compendio musicale che sembrano riverberi trascinanti di urgenze e storie da raccontare subito, traguardi che la giovane band immette nell’ascolto sottoforma di ritmi e liriche da angry young man, quelle sensazioni che non si nascondono dietro – e solo – la potenza delle chitarre, ma anche nella poesia immedesimata, nella tenerezza sverginata di tanti pensieri prepotentemente venuti a galla all’improvviso.
Ottimo concentrato di stili e forze impulsive, piccola enciclopedia nella quale gira di tutto, e come tutto si imprime nel gusto primario delle belle cose in un battibaleno, e anche un album che risente delle esperienze e delle ventate cha arrivano dalla lontana Inghilterra, quelle vertigo coloratissime della swinging town che allungano i tentacoli verso una grigia Europa di sotto, già traballante di suo; ed in quel 1984 questa tracklist fece un successo sonoro oltre ogni limite, i rigurgiti Hardcore che sbranano in “We’re Coming Out” che vanno a contrastare la stesura pianistica di “Androgynous”, lo scazzo strumentale che urla in “Seen Your Video” che puntella il Power-Pop scalmanato di “Black Diamond” o l’ottimo gioco elettrico di Fender in “Answering Machine” che da un pugno nell’occhio alla stradaiola e Springsteeniana poetica di “Sixteen Blue” forse l’unica traccia dell’intero lotto a dare di stanca.
E’ una giovane band che durò poco, ma il loro testamento – insieme al futuro album Tim – rimane in circolazione nella storia di poco fa, una mercuriale postura che li farà ricordare tra l’Olimpo delle comete, di quelle che passano una sola volta ma graffiano il cielo ad aeternun. Seminale!
“Le Pills sono la speranza di chi speranza non ne ha più.”
Poche pillole oggi ma forti come ne avete mai prese. Dall’innovazione psichedelica del post-punk a stelle e strisce dei Red Temple Spirits, all’album dei Crash Test Dummies che regalò al mondo una delle hit più note di sempre. Dal Pop dei leggendari U2 allo Stoner di Stoned Jesus, passando per realtà tutte italiane come i Good Morning Finch. Buon ascolto
Silvio Don Pizzica Sightings – Terribly Well (Usa 2013) Noise Rock3,5/5
Una delle più importanti band Noise post fine millennio al suo decimo full lenght si mostra in tutta la sua schizzoide vena sperimentale e cacofonica con diversi cedimenti in fase compositiva e propositiva. Album per soli fanatici e affezionati (come me) di un pezzo di storia moderna del rumore. The Thermals – Desperate Ground (Usa 2013) Lo-fi Garage, Pop Punk3/5
Se cercate canzoni dall’attitudine Garage Punk e lo spirito Pop, che sappiano farsi ascoltare per quello che sono, fulminee e genuine, che non vi annoino troppo presto e vi mettano voglia di essere vivi, le classiche hit indie paraculo da classifica anglofona, dentro questo ultimo lavoro dei Thermals c’è da pescare a piene mani. Red Temple Spirits – Dancing to Restore an Eclipsed Monn (Usa 1988) Post-Punk4/5
Un pezzo di storia Post-Punk. Lontano dal cuore della Gran Bretagna, nell’assolata Los Angeles, col loro disco d’esordio riuscirono a miscelare atmosfere gotiche e psichedeliche dando al genere una nuova linfa spirituale.
Max Sannella Cowboy Junkies – The Trinity Session (Can 1988) Psichedelia4/5
Il ritorno all’indipendenza del rock dei bassifondi, tra atmosfere bucoliche e coliche urbane. Crash Test Dummies – God Shuffled His Feet (Usa 1993) Pop Folk5/5
La svolta pop e radiofonica di Brad Robert e Soci, con il singolo Mmm Mmm Mmm sbancano il mondo. The Cranberries – Uncertain (Irl 1991) Pop Rock 3/5
La band capitanata da Dolores O’Riordan esordisce con un disco che rimbomba di spirito critico, ma vincente.
Marco Lavagno The Tallest Man On Earth – There’s No Leaving Now (Sve 2012) Cantautorato/Folk 4/5
La barca è una soffice nuvola, la strada è un gelido oceano, il viaggio è un sogno appeso alla tenue voce di Kristian Matsson. Speriamo di svegliarci il più tardi possibile. U2 – The Unforgettable Fire (Irl 1984) Pop/Rock 4,5/5 Il primo approccio della band irlandese verso le terre americane e i suoi deserti (spirituali e fisici) è un esperimento pienamente riuscito. E poi la sola chitarra di The Edge è capace di riportare in superficie una luce sommersa tra le macerie della musica anni 80.
Diana Marinelli Good Morning Finch – Cosmonaut (Ita 2013) Post Rock 3,5/5
Il trio siciliano che ripercorre le strade del classico Post Rock e che riesce, con questo secondo ep, a varcare i confini italiani, dal Giappone agli Stati Uniti.
Ulderico Liberatore Stoned Jesus – Seven Thunders Roar (Ucr 2012) Stoner Rock 4,5/5
Continua il filone Stoner, vi presento il suo ritorno prepotente in versione Ucraina che sicuro non è la California ma ha saputo dare a questi tre ragazzi la giusta ruvidezza nell’esporre i propri contenuti.
Diciamolo, gli approcci all’arte in genere sono molteplici e ognuno ha il suo singolare modo di esprimerli. Nella caso particolare della musica, per l’esattezza Pop e Rock, gli approcci possono essere i più disparati. Andiamo dai cupi frequentatori di scantinati, ai megalomani eccentrici, ai punkettoni improvvisati, dagli esibizionisti della tecnica, ai melanconici del sentimento. Chi più ne ha più ne metta. Quello che conta è il talento! Dovrebbe ed in parte è così. Quello che fa un pezzo memorabile non è facile a dirsi, il successo sembra a volte arrivare così per caso. A fronte di un buon lavoro ovviamente ma è difficile avere delle regole ben precise per un successo assicurato. Tutti voi sareste pronti a scommettere che non esiste una ricetta per un successo sicuro. Bene, preparatevi a ricredervi perché sto per raccontarvi una storia che vi svelerà come vengono composte le hit mondiali e cos’è un hooky, un gancio con il quale rapire l’ascoltatore.
La storia delle composizioni Pop Rock moderne si intreccia con quelle logiche più perverse del business e del marketing, cioè fare più soldi possibili. In un mercato mondiale delle vendite in picchiata libera da quando c’è il web 2.0 e che nel 2011 valeva 10,2 miliardi di dollari a fronte degli oltre 25 del 1999, i dati parlano da soli. Oggi la maggior parte delle canzoni Pop trasmesse dalle radio di grandi successi sono frutto della collaborazione tra produttori che compongono le progressioni degli accordi, programmano ritmi e arrangiano suoni e topliner che creano, come suggerisce il termine, gli elementi delle canzoni più in evidenza: contesti melodici, i testi e gli importantissimi hook, i ganci, le frasi musicali che ti rimbombano nella testa anche a distanza di ore da quando si è ascoltato il brano. Oggi le major per accaparrarsi un mercato sempre più in frantumazione nelle canzoni più commerciali di ganci ne mettono a più non posso perché “l’ascoltatore medio di radio commerciali” impiega sette secondi in media per decidere se cambiare stazione o no e in quell’arco di tempo va “agganciato”. Dietro una fetta spropositata di hit musicali c’è un gruppo relativamente stretto di produttori e topliner. Di solito i produttori come Stargate Production compongono ogni anno una ottantina di brani demo per venti topliner e solo una ventina di questi diventeranno un successo. Nell’estate del 2009 sia Beyoncé sia Kelly Clarkson, rispettivamente con Halo e Alredy Gone, sono entrate in classifica con canzoni create dalla stessa base. Quando se ne sono accorte era troppo tardi per ritirare l’uscita del pezzo della Clarkson, ma nessuno ci fece caso e Alredy Gone diventò ugualmente una Hit. Quando ho appreso quest’ultima notizia sono rimasto a bocca aperta anch’io, se non ci credete ascoltate i video qui sotto!!!
Dopo aver capito quanto lavoro c’è dietro un singolo di successo la domanda da porsi è molto semplice: Com’è possibile che il RockMainstream che un tempo era capace di proporre ganci incredibili come nell’istante prima del ritornello di Born to Run di Springsteen a diventare così poco creativo e prevedibile mentre il Pop che da sempre è l’essenza dall’artefatto sia oggi più vivo che mai? Io penso che oggi il Rock sia ancora espressione di gente viva che suona insieme per passione alla ricerca di un modo di evadere se così si può dire o di esprimersi. Mentre la musica delle Pop Star oggi è quasi sempre un prodotto digitale sfornato da un PC dove i software di Auto Tune provvedono a correggere le stonature, gli errori non esistono e la composizione è lasciata a produttori e topliner che sono professionisti che passano il loro tempo a cercare accordi e melodie perfette. Il caso di Rihanna è emblematico, nella sua musica prevale la quantità alla qualità e il fascino ha la buona sul valore della canzone. Non c’è partita Il Rocke il Pop viaggiano a due velocità diverse dettate dalle linee di business dove quello che conta è come riesci ad agganciare l’ascoltatore e ficcargli nel cervello la tua canzone. Impresa facile per Rihanna & co che dietro hanno un core business che gli permette di radunare i migliori produttori e topliner al mondo per farsi produrre i loro successi organizzando addirittura convention internazionali per il caso, per tutti gli altri, e parlo ai Rockers che con passione e pochi spicci si chiudono in cantina per sfuggire alla noia e seguire le proprie passioni, per tutti gli altri non rimane che mettersi sotto e curare il più possibile il proprio lavoro cercando di mettere in campo le proprie energie e seguire queste cinque semplici regole che Paul Simon ci racconta nel suo libro “You Can Call Me Al”:
Un gancio (hook) deve essere memorabile. Se non si ricorda molto tempo dopo aver ascoltato la canzone non è un gancio;
Il modo più semplice è inserire i ganci nei cori utilizzando il titolo del brano;
Le canzoni che iniziano con un gancio al quale il resto della canzone viene aggiunto corrono il rischio di essere cattive canzoni con un gancio. Se si sviluppa un gancio accattivante non trascurate l’importanza di un verso forte e una melodia con chorus e un buon testo;
I ganci possono essere usati in combinazione. Alcune canzoni integrano molti ganci: nel coro, drum lick che continuano a ripetersi e così via. Le canzoni Pop di successo tendono ad avere molti hook utilizzati. Tenete presente che se anche queste canzoni ottengono un effetto immediato di pubblico generalmente non ottengono nel tempo la stessa risposta di viaggi più musicali e introspettivi;
L’aggiunta di un gancio può salvare una canzone che avete creato. Ecco come: se la vostra canzone suona bene ma proprio non sta ottenendo l’attenzione da parte del pubblico desiderata provate a creare una intro con hooky che richiami l’attenzione. Tale intro dovrebbe usare un ritmo accattivante e/o la forma melodica che può essere derivata dalla melodia principale o anche dal ritornello. Quindi utilizzare l’intro per connettere la fine del ritornello al verso successivo.
Bene signori auguro a tutti un bel gancio da realizzare e una buona serata.
La spallata avvenne quando il siciliano Franco Battiato – già riconosciuto aviatore pazzoide delle sperimentazioni off e avantgard oltre il consentito – prese la decisione di alzare il tiro della sua creatività, il perno centrale di una qualitativa vena aurifera che vedeva nelle elucubrazioni messe in musica e nei “disturbi” effettati di nuovissime macchine soniche come il VC7, Mellotron, Squize ed una infinità di ammennicoli esorbitanti, la nuova frontiera della musica, il nuovo cosmo rock da interpretare, e senza lasciarsi suggerire nulla il capelluto catanese dette anima e fiato al nuovo capolavoro “Pollution” che darà razza al suo predecessore, quel Fetus algebrico e smagliante che aveva già ammaliato, stordito e diviso gran parte della platea alternativa degli anni Settanta.
Una stupenda commistione metafisica di rock, delirio, classica, campionature, sangue e fegato, e tutta la psichedelica che si può raccogliere da letture di miti e gloriose evoluzioni che riempiono tutto un immaginario, ancora un tutto di eleganti retrogusti e azzardi riusciti che Battiato giostra e impiastra con un modus operandi mai sentito – se non in certe stralunate gassosità Floydiane – , un sensazionalismo alterato alla pari di un viaggio sotto peyote; il misticismo impera, la convulsione ed il pathos sbranano l’ascolto e la dolcezza taglia a meraviglia, ma è anche la consapevole “rottura” con una certa visione della musica che si acclamata e dove da li a poco più in la il progressive di stampo italiano prenderà il suo volo personale, la sua apertura alare si amplierà fino alla fine della decade.
Sette episodi passati alla storia della storia, il walzer di Strauss spaccato a metà dal rumore esplosivo di un tuono lacerante ed il rock che spunta aggressivo da dietro l’epilettismo di una eco riverberata e di organo prog “Il Silenzio Del Rumore”, “31 Dicembre 1999 – Ore 9”, il mantra di “Areknames”, il potere di un Mellotron pomposo in “Beta”; un disco disegnato alla perfezione, un trip culturale diabolico che il musicista siculo rilascia come un testamento ai posteri, al centro di una epoca che fa vittime ed eroi in una violenza inaudita “Plancton” e poi ancora quel walzer di Strauss che ritorna, inesausto con la conseguente esplosione d’effetto, quel senso puro, nudo e di svuotamento che in due scenari non contrapposti, la titletrack e “ Ti Sei Mai Chiesto Quale Funzione Hai?”, chiude un lavoro discografico, un grande capitolo di ieri che ancora oggi insegna e fa sognare, magari da ascoltare più di una volta, ma che una volta “agganciato nella mente” vi alzerà di due metri da terra. Garantito!
http://www.youtube.com/watch?v=kOunIHp31Jc
“Prendo la pillola contraccettiva da più o meno 7 anni, è possibile che una pillola anticoncezionale smetta di fare effetto sull’organismo e quindi non funzioni più?” (cit. di un forum medico)
Questa volta invece dell’esperto rispondiamo noi, beccatevi le nostre Pills dall’effetto duraturo e immediato.
Ida Diana Marinelli Cibo Matto – Viva! La Woman (USA 2006)/ Pop-Trip Hop 2/5
Duetto newyorchese che dopo molti anni di silenzio e rottura torna, per (s)fortuna, sulla scena musicale con un sound che contamina Pop con Elettronica e il solito stile da giapponesine doc. Lita Ford – Lita (USA 1988)/Pop-Rock-Metal 3.5/5
Terzo album della chitarrista/cantante statunitense. L’album del successo, molto anni ottanta, una via di mezzo tra Madonna e Bon Jovi.
Silvio Don Pizzica Captain Beefheart – Trout Mask Replica (USA 1969) Avant-Rock 5/5
Per Scaruffi l’unico album Rock che valga la pena di essere ascoltato, per me il disco che ha cambiato il mio modo di concepire la musica. Pink Floyd – The Piper at the Gates of Dawn (UK 1967) Psych-Rock 5/5
L’unico album dove Barrett abbia un ruolo chiave è l’unico con quel sound speciale ironicamente lisergico. Da qui in poi la musica dei Pink Floyd non sarà più la stessa.
Marco Lavagno Ministri – Per un Passato Migliore (ITA 2013) Rock 4/5
Finalmente il disco che aspettavamo dai Ministri. La band non pecca più di pressappochismo e sforna un album semplicemente pieno zeppo di grandi pezzi rock, concreti e reali. Suonati con la solita rabbia. Rabbia di coloro a cui (per fortuna) ribolle ancora il sangue. Eric Clapton – Slowhand (UK 1977) Rock/Blues 4.5/5
Sommerse tra le radici del passato spiccano alcune grandi composizioni del chitarrista britannico: “Wonderful Tonight” e “Lay Down Sally” proiettano avanti una musica mai destinata a morire.
Ulderico Liberatore Slo Burn – Amusing the Amazing (USA 1996) Stoner Rock 4/5
Album e band praticamente sconosciuti ma l’idea partita da John Garcia, con la sua inimitabile voce, non fa altro che essere un estensione dei Kyuss e un pezzo imperdibile di musica tostissima.
Lorenzo Cetrangolo Arctic Monkeys – Whatever People Say I Am, I Am Not (UK 2006) Indie Rock, Garage 4.5/5
Il debutto degli alfieri indie del nuovo millennio. Un disco che, bene o male, ha segnato un’epoca. Vari – Nightmare Revisited (USA 2008) Alternative Rock, metal 3.5/5
Compilation di cover dalla colonna sonora di Nightmare Before Christmas, capolavoro di stampo burtoniano del 1993. Con, tra gli altri: Korn, Rise Against, Marilyn Manson, Rodrigo y Gabriela, Amy Lee… Pino Daniele – Dimmi Cosa Succede Sulla Terra (ITA 1997) Pop, Funk, Soul 4/5
Un bel disco di pop italiano, scritto e suonato bene. Da segnalare il piccolo gioiellino naif di “Canto do mar”, con Raiz.
Riccardo Merolli Interpol – Antics (UK 2004) Alternative Rock 3.5/5
Un modo fantasioso di suonare Rock, una maniera inconfondibile soprattutto nella voce. Un disco interessante con tante cose da dire. Non è il paradiso ma neanche l’inferno.
La seconda persona che mi sento di coinvolgere in questo delicato argomento è una giovane ragazza, fan allo sfinimento degli Aerosmith. Chiacchierando con lei dopo un concerto, scopro che segue da tanti anni una band tributo dei rocker di Boston: i Big Ones.
Da dove viene questa passione per una tribute band? Cosa spinge una ragazza infognata per un supergruppo a seguire i suoi “cloni”? Se la musica è arte cosa c’è di artistico nell’imitazione?
Intanto non parlerei di cloni, a me dà l’idea di un gruppo che scimmiotta senza personalità (e magari anche male) il gruppo a cui vuole rendere omaggio. Non è questo il caso… Il motivo che mi ha spinto a seguirli come tributo è molto semplice: la possibilità di sentire dal vivo la musica dei miei idoli, che purtroppo dalle nostre parti non vengono tutti i giorni, e soprattutto di sentirla suonata bene. Loro non si limitavano a ricreare il sound degli Aerosmith tale e quale, ma ci mettevano anche qualcosa di loro, arricchendolo. Anche questo è fare musica secondo me ed è una qualità. Si sono fatti un nome e un seguito suonando ovunque, ma i Big Ones sono la dimostrazione che si può andare oltre, quando si hanno le capacità e la qualità, che in Italia c’è anche spazio per la musica originale, scoprirete perché…
Quando e come hai scoperto i Big Ones? Cosa ti ha attratto di più? La somiglianza sonora o quella visiva? Che peso hanno questi due componenti in una valida tribute band? Non è un po’ ridicolo vedere un sosia sul palco? Ci sono già i programmi di Gerry Scotti per questo…
Si parla di quasi 7 anni fa. Ne avevo già sentito parlare, ma ero estranea all’epoca al mondo del live, così andai a sentirli a una festa della birra, ero molto curiosa. Ero da poco reduce da due concerti degli Aerosmith. Quella sera, fin dalle prime note, mi è sembrato di rivivere ancora i momenti di qualche mese prima, ero completamente coinvolta da quello che stavo ascoltando. La somiglianza visiva non è stata la prima cosa a colpirmi. È ovvio che abbia il suo peso, basta che non si arrivi al ridicolo, quando si vuole imitare troppo, scimmiottare. Ci va personalità, anche musicale, ed è proprio quello che hanno i Big Ones. È tutto un insieme di qualità che li rende unici.
Fino a dove ti sei spinta a seguire questa band? Quanti concerti e quanti kilometri hai macinato per loro?
In 7 anni direi che qualche chilometro per tutta l’Italia l’ho macinato e ne farò ancora molti! Sono andata anche qualche volta all’estero. Non tengo il conto di quanti concerti abbia visto, ma credo di aver superato quota 100.
Ho saputo che da qualche anno i Big Ones hanno iniziato a comporre musica propria con un discreto successo. Non rischiano che la gente vada a sentirli sperando che suonino “Rag Doll”? Tu che li conosci bene, come sono i loro fan?
Sì, dal 2009 portano avanti con successo un progetto di brani originali in italiano, sono usciti due album distribuiti dalla Warner. Sono stati scelti per comporre la colonna sonora di un film a breve in uscita (“Sarebbe Stato Facile”), di cui farà anche parte il brano “Io Mi Perderò” con musica e parole di Maurizio Solieri, che ha voluto fossero proprio i Big Ones a arrangiare e interpretate il suo brano. Per altro, di questa canzone, verrà girato pure un video.
La gente che li conosce lo sa e, anzi, ai concerti vuole sentire i loro brani originali. Chi li conosce un po’ meno magari viene per sentire “Rag Doll”, ma quando ascolta un loro brano rimane comunque entusiasta, si incuriosisce, ne vuole sapere di più. C’è da dire che il rispetto e la stima per gli Aerosmith c’è sempre, è anche grazie a loro se sono arrivati dove sono ora, ma in ogni caso chi viene ai loro concerti è sempre contento ed è questo l’importante per una band credo, senza i fan è difficile andare avanti. E i sostenitori dei Big Ones aumentano sempre di più!
Non mi resta che lasciare le parole alla musica. Guardate qua e sbizzarritevi.
Un bel disco di transizione questo primo omonimo degli inglesi Stone Roses, una vitalità che prende spunti interessanti dalla scena della Manchester che lascia – negli anni Ottanta – le pazzie autodistruttive della wave per imbarcarsi nel jangle pop di marca Echo And The Bunnymen, Primal Sceam cosi da fare in modo che una nuova moda musicale si imponga sia in Terra d’Albione come nel resto d’Europa. E quindi disco di speranza e scuola per band a venire come Blur, Oasis, Verve, antesignano nel frequentare un proto-brit che darà in futuro moltissime soddisfazioni modaiole.
Non il, classico gioco a rimando anche se si sentono nel sottofondo – le cariche ispiranti di Northside e The Charlatans – ma una nuova spinta che Ian Brown e John Squire, insieme a Gary “Mani” Mounfield e Alan “Reni” Wren, imprimono, oltre che nell’aria, nelle loro liriche, nuove forze delicate che allargano i colori del pop e fanno ritirare in un certo qual modo le freddure nere e torbide monopolistiche della wave più ortodossa, più intransigente che fino a poco prima si addensavano ovunque. Undici brani in scaletta che possono sembrare sbarazzini o leggeri, invece suoni di rinascita ed estremamente caldi, una tracklist che tra basi ritmiche efficaci, chitarre educate e non imperanti e una voce molto “californiana dei bei tempi Summer”, fa un disco immediato e ricanticchiabile in ogni suo lato, regno di controcanti e melodie d’atmosfera nonché d’apertura ad una nuova svolta che però – per questa band – non continuerà a lungo e che poco più in la si inoltrerà nel pressapochismo sonoro e di memoria.
Tutto è dolciastro e che fa compagnia, brani da spiaggia, l’allora specchio dei tempi che non avevano bisogno di prosceni per affermarsi o interpretare caratteri mascherati per farsi ascoltare, le ricchezze ritmiche “She Bangs The Drums”, “Mad Of Stone”, le tenute corali “Waterfall”, la chicca nostalgica “Elizabeth My Dear” ed il beat frizzante e Radio Thing di “I Am The Resurrection” sono tra i brani che rimangono sospesi nella storia Stone Roses, il raggio di sole che – con rischio zero – si affacciava su molteplici chiavi di lettura pop.
http://youtu.be/E4d2syk0SZ4