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Altrochesanremo: commentiamo?

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Partita la seconda tornata di iscrizioni per il concorso Altrochesanremo, una formula ideata dalla redazione di Rockambula per permettere alle band emergenti di farsi promozione attraverso la nostra testata online. Le modalità di partecipazione sono molto semplici: si tratta di inviare il file mp3 di un brano che l’artista reputa più rappresentativo della propria produzione. L’unico vincolo imposto dall’organizzazione è che non sono ammesse le cover. Una volta raccolte le adesioni, la redazione pubblica dieci brani in ascolto sul sito e, parallelamente, redige un sondaggio sulla pagina Facebook di Rockambula, a cui tutti possono accedere per votare il migliore. Terminata la votazione viene decretato il brano vincitore a cui la redazione offre un banner di rimando al proprio sito web, una recensione, un’intervista e l’ascolto in streaming del demo, ep o album sulla home page di Rockambula.com. La gratuità dell’iniziativa e la struttura del concorso, che si pone come un’importante vetrina nel panorama indipendente nazionale, soprattutto se teniamo conto del considerevole numero di utenti di tutta la penisola che accedono quotidianamente al sito della webzine o alla pagina Facebook (e tra questi anche discografici, agenzie di booking, colleghi giornalisti), hanno contraddistinto Altrochesanremo come un’occasione ghiotta per gli emergenti e garantito una massiccia adesione alla prima edizione, che si è conclusa la scorsa settimana con la vittoria del cantautore Martino Adriani, i cui brani sono già in ascolto sul nostro sito web. Cosa insolita per un contest, poi, non ci sono state polemiche di sorta: tutte le fasi di selezione si sono svolte con grande serietà e serenità, in uno spirito di spensierata competizione, in cui gli artisti hanno messo in campo le loro abilità “spammatorie” condividendo il sondaggio sulle loro fanpage del social network e invitando più amici possibili a votare. Qualcuno avrà cliccato alla cieca il nome del proprio beniamino, altri invece si saranno incuriositi e avranno ascoltato tutti i  brani in gara, mettendo in azione il motore della promozione a cui puntiamo.

Ok, sono senza dubbio di parte, ma trovo molto bello che una webzine, che spesso viene vista come una macchina sputa-sentenze e assegna giudizi, possa dimostrare con un sistema tanto semplice quanto il suo scopo primario sia in realtà quello di aiutare le piccole realtà musicali che cercano di farsi strada, fornendo loro più visibilità possibile. Per questo vi ricordo che sono aperte le iscrizioni al secondo turno di gara: inviate un brano in formato mp3 con una breve biografia e una foto in allegato a pizzicasilvio@virgilio.it o riccardomerolli@katamail.com o rockambulawebzine@gmail.com.

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Pills নয় সপ্তাহ (consigli per gli ascolti)

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“Avevamo due buste di erba, settantacinque palline di mescalina, cinque fogli di acido superpotente, una saliera mezza piena di cocaina, un’intera galassia multicolore di eccitanti, calmanti, scoppianti, esilaranti. E anche un litro di tequila, un litro di rum, una cassa di birra, mezzo litro di etere puro e due dozzine di fialette di popper e una pila di cd con le Pills di Rockambula. Non che per il viaggio ci servisse tutta quella roba, ma quando ti ritrovi invischiato in una seria raccolta di droghe, la tendenza è di spingerla più in là che puoi.”

Silvio Don Pizzica
California X – California X   (USA 2013)   Alt Rock     3/5
Stile Dinosaur Jr, frastuoni alla Japandroids, canto alla Perry Farrell per un esordio potente come pochi senza troppe novità.
Daughter – If You Leave   (Uk 2013)   Art Pop   3,5/5
Pop leggiadro e delizioso ma senza grandi idee
Plantman – Whispering Trees   (USA 2012)   Alt Pop   3,5/5
Un album pieno di cuore e anima e tanta altra roba, forse troppa. Momenti di perfezione sonora si alternano a pause poco ispirate e alla lunga, quindici pezzi possono anche stancare.

Riccardo Merolli
The Cure – Disintegration   (Uk 1989)   New Wave, Dark, Post Rock   5/5
L’opera prima della New Wave moderna, un disco da ascoltare almeno cento volte nella vita. Grandissimo.

Alessandro Maiani
Dave Mattews Band – Under The Table And Dreaming    (USA 1994)    Rock   4,5/5
 Questo album continua a sorprendermi: quasi vent’anni che non si sentono né nella sonorità né tantomeno nel songwriting. Da ascoltare in viaggio, in auto, in treno o anche passeggiando.

Marco Lavagno
American Hi-Fi – S/t    (USA 2001)    Punk Rock    3/5
Sapore incredibilmente americano. Facile sveltina tra il punk più collegiale e il pop da classifica, non manca l’hard rock spudoratamente radiofonico (Def Leppard, Cheap Trick). Non di certo memorabile, ma buon compagno di viaggio nell’autoradio.
Glasvegas – S/t    (SCO 2008)    Alt Rock    4/5
Uno splendido gioco di luci e ombre. Sagome che si muovono lente e lontane. Visivo e poetico.

Marialuisa Ferraro
Liars – They Drew us All in a Trench And Stuck a Monumer on Top    (USA 2002)   Rock   3,5/5
Rock con un accenno della commistione elettro-dance che caratterizzerà i lavori successivi della band. Un sound potente, in cui grida e distorsioni sono ammorbidito da ondeggiamenti funky.
Mono – Manifestation Ep   (JAP 2011)   Strumentale   4,5/5
Musica strumentale e d’atmosfera, in cui è predominante l’influsso delle avanguardie classiche novecentesche, del cool jazz, e dello studio compositivo per le colonne sonore cinematografiche. Da scoprire.

Diana Marinelli
Os Argonautas – Navegar è Preciso    (ITA 2012)   Cantautorato-Acustico    4/5
Una sonorità raffinata, quella del quintetto barese, tra musiche d’autore che spaziano tra influenze brasiliano-portoghesi. Suoni magici che raccontano un viaggio e se la vita è come il mare l’importante non è vivere ma navigare.

Ulderico Liberatore
Jon Spencer Blues Explosion – Orange EP    (USA 1994)    Punk Blues    4,5/5
Tra riff blues e grezze distorsioni, una chitarra da 12$ per uno dei dischi più esplosivi e originali dei ’90.

Lorenzo Cetrangolo
All Saints – Saints & Sinners    (UK 1999)    Pop    3,5/5
“Pure Shores” va conosciuta. “Black coffee” suona bene. “Surrender”, “All Hooked Up” (“I know that you want a piece of my ass”) e “Ha Ha” raccolgono tutto l’R’n’B che le Spice hanno lasciato indietro. Produce Orbit, già dietro a “13” dei Blur.
Richard Cheese – Lounge Against The Machine    (USA 2000)    Swing, Blues, Lounge    3/5
Una carrellata di hit rivisitate in chiave swing/blues (con canzoni di Radiohead, Nine Inch Nails, Beastie Boys, Offspring, Limp Bizkit, RHCP…). Un sereno divertissement.
Scala & Kolacny Brothers – Scala & Kolacny Brothers    (USA 2011)    Pop, Corale    1/5
La formula: prendere canzoni di successo (metallica, Oasis, Depeche Mode, Kings Of Leon, Nirvana…), insegnarle ad un coro, suonarle con l’accompagnamento di un pianoforte (e archi, all’occorrenza). La domanda: perché?

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Sono tutti Dj! (?)

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Se non sapete chi è Sasha Grey probabilmente siete o troppo giovani (non è già più in attività la novella suorina) o donne. Nel secondo caso siete donne che non hanno a che fare con cultori del genere come la sottoscritta: Sasha Grey, per rendervi l’idea, è del 1988 e a 17 anni ha vinto due Adult Video News Award. Mica cazzi. Cioè, in realtà sì, senza dubbio. E manco pochi.
Visto che la settimana è iniziata proprio con la notizia del Dj set dell’ex pornostar, e considerato soprattutto che ve la siete letta più dell’annuncio della data ravennate dei Beach Fossil, maialini, ci avete dato spunto per parlare di un fenomeno dilagante e impietoso come la peste manzoniana: il Dj set improvvisato un po’ da chiunque. Modelli, attori e aborti dei reality vari appestavano le discoteche più o meno commerciali già dalla fine degli anni ’90, con una crescita esponenziale in corrispondenza della fine delle trasmissioni televisive e delle aperture estive dei locali. E okay. Quanto meno non facevano null’altro che apparire, girare per il locale, firmare autografi e, se ben pagati, improvvisare uno strip o sparare due cagate nel microfono per poi levarsi dalle palle. Qui invece stiamo parlando di gente che si mette alla consolle, inforca le cuffie, seleziona brani, operando, cioè, una vera e propria scelta artistica. Il tutto senza averne la benché minima competenza, anzi: l’essere perfettamente estranei al mondo musicale sembra essere l’unica prerogativa per poter accedere a questo nuovo tipo di intrattenimento volto solo all’arrotondamento di qualche già milionario stipendio. Come sempre, la moda viene importata dall’estero dove già si sono fatti notare Paris Hilton, Will Smith, Heidi Klum, la modella Agyness Deyn, Elijah Wood e Jade Jagger, che, insomma, a parte essere figlia d’arte, dovrebbe fare la designer di gioielli, non certo la musicista. Da noi non sono rari i tronisti che si cimentano a fare i selector di dubbio gusto e dubbie capacità. La Grey, poi, ha un antecedente illustre visto che Eva Henger ha già militato come Dj a Sanremo e Vercelli. Dilaga oltretutto un certo dilettantismo anche tra la gente comune: quante persone conoscete che il fine settimana fanno il resident Dj in qualche piccolo locale della vostra città, magari solo con un pc e Windows Media Player impostato su playlist fatte a casa, con mp3 scaricati dal web e neanche remixati? Io un sacco. Il fenomeno non mi sembra così marginale e neanche così innocente, soprattutto se teniamo conto che in ambito musicale il Dj già gode di una bassissima considerazione da parte dei colleghi musicisti, di quelli che indossano gli strumenti e per un live di un’ora e mezza perdono almeno quattro ore per allestire e fare il soundcheck, magari dopo aver macinato chilometri per arrivare in un locale scrauso dove se va bene ti danno un piatto di pasta e un rimborso spese. Sottolineare che cani e porci, modelle, tronisti e attori, dilettanti allo sbaraglio che manco alla Corrida di Corrado, possano fare i Dj, non restituisce certo dignità al ruolo.

A questo punto non rimane che farsi due domande sull’esibizione della Grey – a parte quelle sul suo abbigliamento: 1. il proverbiale “Su le mani” verrà pronunciato? E, se sì, come incitazione al ballo o come rimprovero agli astanti onanisti? 2. La metterà la ormai celeberrima colonna sonora di 2Girls1cup?
Ai posteri la sentenza, intanto preparatevi a correre inseguiti dai Dj amatoriali come la Brownstein e Armisen in Portlandia, la serie Tv Americana più cazzona e irriverente che si potesse concepire, di cui trovate uno spezzone qui:

 

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“Diamanti Vintage” Marlene Kuntz – Catartica

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Fu il salto di qualità dell’underground italiano, un fulmine nella lunga notte esasperata dell’indie, il punto di fusione massima tra grazia e strafottenza elettrica, e pensare che i Marlene Kuntz nessuno se li filava, un classico mescolone di frizzi alla Sonic Youth e nervosi lazzi Einsturzende Neubauten buoni ma fuori tempo, e Catartica fu accolto da debutto come tanti lungo gli anni Novanta, ma fu una mina ad esplosione ritardata, e quando saltò in aria fu – e rimane –  testo rock per tutte le formazioni imbizzarrite che vennero dietro.
Prodotto dal Consorzio Produttori Indipendenti e con la benedizione di Maroccolo e Giovanni Lindo Ferretti, il disco della band di Cuneo fece impazzire i cultori del nuovo rock, della violenza dolce che la formazione modificò e plasmò in una tracklist che è tutt’ora “sacra scrittura”; chitarre al fulmicotone, liriche amarissime, una ritmica a schiaffo/carezza e quella voce serafica e gonfia nel contempo che Godano domava come in un rapporto sessuale, furono queste le alchimie soniche che il quartetto si trascinava dietro, a “spingere” una strepitosa eloquenza distorta con sempre un sole malato a fare da lampadario sopra.
Un disco dove non si butta via nulla, ogni brano – dei quattordici programmati – è sempre più bello di quello che viene prima, una forza di penna e fioretto che taglia e ricuce, e quegli anni Novanta nostrani ne rimasero sconvolti e dannatamente affascinati tanto che definirono il registrato la continuità filologica della parte muscolosa del respiro d’amore; un qualcosa di mistico si muove ovunque, pressioni di maestà e passione sanguigna si ritrovano tra il tellurico di “Festa Mesta”, “Sonica”, nel galleggiamento metafisico “Nuotando Nell’Aria”, “Lieve”, “Gioia (Che mi do)”, nei flussi deliranti di “Mala Mela”, “Non ti Scorgo Più” come nella disillusione umana “Merry  X-Mas”. I Marlene colpiscono a dovere emozioni e profondità recondite, lasciano già al primo vagito discografico il disegno graffiato di un modo di fare rock che fece vittime e ferite nei cuori.

Mai esordio fu  più “grande”, Catartica anche in questi frangenti, è la bocca storta e l’autunno che ognuno vorrebbe rivivere a loop.

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Pills Astea Zortzi (consigli per gli ascolti)

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“Tutti abbiamo udito la donnetta che dice: “oh, è terribile quel che fanno questi giovani a se stessi, secondo me la droga è una cosa tremenda.” poi tu la guardi, la donna che parla in questo modo: è senza occhi, senza denti, senza cervello, senz’anima, senza culo, né bocca, né calore umano, né spirito, niente, solo un bastone, e ti chiedi come avran fatto a ridurla in quello stato i tè con i pasticcini e la chiesa.”  C.B.

Silvio Don Pizzica
Simone Agostini – Green   (Ita 2008)   Guitar Solo   4/5
Un disco strumentale che piacerà anche a chi ama la musica rock. Non vi annoierà perché dentro troverete tanti stili diversi, incastonati con cura in un solo lungo filo d’erba. Dal Folk al Pop, dal Country alla World Music.
Arbouretum –Coming Out The Fog   (Usa 2013)   Stoner, Psych Rock   3/5
Coming Out Of The Fog è una buonissima risposta a chi aveva dato gli Arbouretum finiti dopo “The Gathering”, ma è ancora troppo poco.

Max Sannella
The Charlatans – The Autumn Demos   (UK 1969)   Pop-wave   3/5
La maturità e gli accenti pop contrapposti a nuovi spiriti acid house e Stone Roses, Happy Mondays.
The Chemical Brothers – Loops Of Fury   (UK 1996)   Elettro-dance    5/5
L’apertura verso nuove frontiere elettroniche, visioni e stimoli verso la psichedelica selvaggia.
Vic Chesnutt – Little   (USA 1989)   Cantautorato    4/5
L’esordio significativo di un songwriter che lascerà tracce  indelebili tra le pagine bianche dell’American Torch Thing.

Lorenzo Cetrangolo
Daniele Luttazzi – Money For Dope   (Ita 2005)  Pop, Jazz    4/5
Luttazzi si conferma genio con questo disco “satirico” in senso lato, costruito con maestria, suonato splendidamente.
Linkin Park – Living things   (Usa 2012)   Electro,Rock   2/5
Da fan posso dire che mi hanno molto deluso. Trasformarsi (A thousand suns) è sacrosanto, appiattirsi è da vigliacchi.
Warpaint – The Fool   (Usa 2010)  Alternative Rock, Dream Pop   3,5/5
Atmosfere scure, dense, umide. Un rock psichico e femminile per la girl-band losangelina.

Marco Lavagno
Stereophonics – Graffiti on The Train   (Gal, 2013)  Pop Rock   3,5/5
Disco ben apparecchiato: meno riff e più ballate dilatate. Quando la band cerca nuove soluzioni (a volte stridenti) la voce di Kelly rimette tutto in carreggiata e si dimostra ancora una volta una delle migliori ugole della canzone popolare inglese.
Statuto – E’ Tornato Garibaldi   (Italia, 1993)  Ska   4/5
Disco che purtroppo presenta tematiche incredibilmente attuali a venti anni di distanza. Ma com’erano belle e sane queste canzoni di protesta? Farcite di calore solare, humor e arricchite da una spregiudicata voglia di ballare.

Marialuisa Ferraro
Pearl Jam – Vs    (Usa 1993)   Grunge 5/5
Per me in assoluto l’album perfetto. Un mix di cattiveria, velocità e dolcezza, il tutto registrato con quella patina calorosa dal sapore ’90s difficile da ritrovare nei dischi perfettini di oggi.
Mambassa – Mi Manca Chiunque   (Ita 2002)   Pop Rock    4/5
Una band rimasta nel cuore, una carrellata di storie d’invenzione ma attuali e concrete, arrangiamenti eleganti di un alternative nostrano di grande qualità.

Francesco Ficurilli
Fluxus – Pura Lana Vergine    (Ita 1998)   Noise Rock, Hardcore Punk    5/5
Non ce n’è per nessuno, Franz Goria e soci tirano fuori il coniglio dal cilindro e stop. Fra immagini crude e scenari pasoliniani una mazzata che sfonda gli scudi di plexiglas.
Faith no More – Angel Dust (Usa 1992)   Alternative Metal, Funk Metal   4/5
Ovunque e comunque le idee di Mike Patton pesano come macigni. Soprattutto nelle orecchie di chi le ascolta.

Diana Marinelli
Apocalyptica – Cult   (Fin 2000)   Symphonic Meta,  Rock Strumentale   4/5
Quattro violoncellisti (belli da vedere e da sentire) che attraverso la tecnica classica ripropongono un repertorio assolutamente metal. Interessanti tutti gli album, specialmente i live.
Shago – Domani Sarà    (Ita 2012)  Pop- Rock  3,5/5
Sette piacevoli brani proposti dal giovane cantate pugliese Roberto Valenza, in arte Shago, la cui voce ricorda Alex Baroni.
 

Vittorio Massa
Labradors – Growing Back   (Ita 2013)   Power Pop, Indie  3,5/5
Super energico. Super Power Pop. Un disco che uscendo ha anticipato l’estate in Marzo.
Il Teatro degli Orrori – Dell’Impero Delle Tenebre   (Ita 2007)   Post Rock, Noise Rock  5/5
In Italia non c’era bisogno d’altro che un bel calcio nel culo alla scena alternativa che ancora si trascinava dietro gli anni 90. Disco di debutto della rock band numero uno del momento.
Fabrizio De Andrè – Anime Salve   (Ita 1996)   Musica d’Autore   6/5
Ironico come un disco il cui tema centrale è quello della solitudine abbia bisogno di esser scritto a due mani. (con Ivano Fossati per chi non conoscesse tutto di questo capolavoro letterario e musicale)

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L’Industria Musicale Internazionale in Numeri.

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Visto che ormai siamo rimasti vivi anche dopo la profezia Maya, non è male guardarsi alle spalle e capire che cosa sia successo nel 2012 all’interno del mondo musicale in crisi. Insomma parliamo di numeri, vendite e nomi.
Non possiamo dunque non ricordare Adele, che non contenta del suo successo planetario con l’album 21 (8.3 milioni di copie vendute nel 2012 e 18.1 nel 2011) fa fuori anche nel 2013 la concorrenza vincendo il premio come Best Original Song ai Golden Globes con “Skyfall”. Scendendo di classe ed età, non si può non ricordare il fenomeno Carly Rae Jepsen con la sua fastidiosa “Call Me Maybe”, che piazzandosi al primo posto dei singoli più venduti del 2012 (12.5 milioni di copie) ci ha distrutto le orecchie per un bel po’ di mesi, olimpiadi comprese. Per fortuna che nelle classifiche c’è spazio anche per le canzoni non proprio pop, e infatti, sorprendendo anche i più scettici, “Somebody That I Used to Know” di Kimbra & Gotye raggiunge un meritatissimo secondo posto con 11.8 milioni di copie vendute. A concludere il podio e confermare il rigetto per la musica di una certa raffinatezza, ci pensa il coreano PSY con “Gangnam Style”, che nel 2012 ha venduto “solo” (si fa per dire) 9.7 milioni di copie del suo estenuante tormentone musicale.
Per dare un po’ di senso a questi numeri, il report annuale della Federazione Internazionale dell’Industria Fonograafica (IFPI) fotografa il 2012 come un anno in salita, stimando un guadagno per l’industria musicale di 5.6 bilioni di dollari, pari al 9% in più rispetto al 2011(5.2 bilioni) e sottolineando come le vendite digitali ormai abbiano preso il sopravvento, raggiungendo più del 50% delle vendite totali in Norvegia, Svezia e U.S.A.

Per concludere dunque, sembra che l’industria musicale stia pian piano riuscendo a far fronte alla pirateria (era ora che si svegliassero!), ma che la gente disposta a pagare per utilizzare formati musicali digitali, sia prevalentemente interessata a fenomeni musicali frivoli e poco impegnati. Basti pensare a Taylor Swift e ai One Direction, oppure ai singoli sopra citati “Gangnam Style” e “Call Me Maybe” e ciò non mi sorprende. Quello che però dovrebbe far riflettere, è che i singoli più venduti siano anche quelli che si rivolgono al target d’audience più critico per la pirateria: i giovanissimi teenager. Sono loro infatti i soggetti più all’avanguardia nell’utilizzo delle nuove tecnologie (smartphone, tablet, app, …), ma anche quelli che più abbracciano la filosofia del “download facile”. Se la linea promozionale dell’industria musicale in questo 2013 seguirà la retta via verso l’innovazione, distaccandosi ancor più dai media tradizionali e dal concetto di “proprietà privata”, per abbracciare invece il concetto di “proprietà collettiva” di internet e dei suoi servizi, credo proprio che combatterà ad armi pari la battaglia contro la pirateria.
Staremo dunque a vedere cosa succederà, e io mi auguro vivamente che i nuovi servizi di streaming come Spotify o il vecchio Last.fm riescano finalmente ad essere un buon compromesso tra le esigenze di artisti e consumatori, diventando un modo alternativo per non rubare, ma nemmeno regalare.

Fonte: Digital Music Report 2013 by IFPI

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“Diamanti Vintage” 24 Grana – Loop

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La Napoli delle grandi sorprese, serbatoio inesauribile di vecchie e nuovissime esigenze espressive, in questo caso un pezzo della Bristol muffin e caliginosa che viene fuori dai vicoli partenopei che aprono gli occhi su se stessi e su nuove direttrici soniche; i 24 Grana sono una delle più straordinarie nuove proposte underground che questa città geniale conia tra umori rarefatti, denuncia, ritmi trasognanti e tutta quella psichedelica urbana, anni novanta in cerca di altro e che trovano in questa formazione una certa risposta alle nuove ondate che arrivano dall’Inghilterra e da altre prospettive.
Loop”, l’album d’esordio, è lo sfogo libero di una quartetto che ama la posse e il dub, vive al centro focale di un fermento culturale – quello degli anni novanta – ed innesta nella sua musica istinti tribali e sonorità Giamaicane, un frullato lento ed inesorabile che ipnotizza e suggestiona al pari di un giro mantrico che se ne frega della staticità; Francesco Di Bella chitarra e voce, Renato Minale batteria, Armando Cotugno basso e Giuseppe Fontanella chitarra, mettono in circolo un suono a spirale, tradizione e sperimentazione viaggiano fondendosi e vanno ad implementare una sonorizzazione “drogata”, una moltitudine di “stati galleggianti” decisamente mirabolanti, genuini nella loro carica psicotropa ad oltranza. Cantato in napoletano, l’album è un piccolo capolavoro di nervi, tensioni e dolcezze fumiganti, un’elettronica che infilza emozioni ed un crescente pathos che spinge chiunque a dondolare il proprio corpo con esso.
Un movimento continuo, il reggae saltallimpo “Introdub”, le sintomatologie indo-balcaniche “Pixel”, le nebbie stratificate “Patrie galera” e le scandagliate in levare che portano “Lu cardillo” a chiudere l’ascolto dell’album, ma poi ti ricordi della magia a cerchio della titletrack e ricominci daccapo questo gioco inviolabile dei 24 Grana rimanendoci sotto, impossibilitato a riprenderti da li a poco.
Capolavoro  oltre le usure del tempo

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Pills Həftə yeddi (consigli per gli ascolti)

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L’unico rimedio contro il mal di testa, di denti, di stomaco, di fegato, contro l’impotenza, contro la paranoia, la depressione, l’ipertensione, l’influenza, la scabbia, lo scolo, le piattole, la cacarella e le emorroidi sono le nostre PILLS!!!

Silvio Don Pizzica
Radiohead – Radiohead: The Best Of   (Uk 2008)   Alt Rock   4/5
Una raccolta può essere un’occasione o semplicemente un insieme delle canzoni più amate di una band. Questa del 2008 rientra nel secondo caso.
AGF –Source Voice   (Ger 2013)   Experimental   2,5/5
Il nono disco di AGF non aggiunge nulla alla sua follia elettronica e sperimentale. Non è musica per gli amanti della melodia ma questo lavoro ha poco da dare anche ai più audaci.

Max Sannella
Cibo Matto – VIVA! L.A. Woman   (Usa 1995)   Acid Jazz   4/5
Il disco del duo giapponese che ha sconvolto la Big Apple invertendone i flussi sanguigni.
Clock  Dva – Thirst   (Uk 1981)   Industrial  5/5
Dalle ceneri combuste del punk,  dalla Sheffield operaia  un’esplosione di sana ossessione.
Elvis Costello – Live at El Mocambo   (Uk 1978)  Pop   5/5
Con il rock anni ’50 in cuore e il punk come massa di  neuroni testicolari, un disco ed un artista che è oro puro.

Lorenzo Cetrangolo
P.O.D. – Satellite   (USA 2001)  Crossover, Nu Metal   3,5/5
Reggae, rap, metal, il tutto condito da uno spiritualismo tra rastafarianesimo e cristianità. E poi, chi non si ricorda la batteria di Youth Of The Nation? Da provare.
Modena City Ramblers – Dopo il Lungo Inverno   (ITA 2006)   Patchanka, Combat Folk   2/5
Primo disco senza lo storico cantante Stefano “Cisco” Bellotti. Senza verve, spento, stantio. Se proprio volete rovinarvi il ricordo di una band un tempo eccezionale.
The Music – The Music   (UK 2002)   Alternative Rock   4/5
Sottovalutatissimi. Disco strambo, gonfio, energico. Da ascoltare nelle giuste occasioni, e voi sapete quali (ça va sans dire…).

Marco Lavagno
Biffy Clyro – Only Revolutions   (Sco 2009)   Rock   3,5/5
La nuova superband che mancava alla Gran Bretagna? Forse. Certo che ad un così patinato e potente non possiamo rimanere indifferenti. Aspettiamo conferme dal nuovo album in arrivo.
Backyard Babies – Stokholm Syndrome   (Svezia 2003)   Punk Rock   4.5/5
Oscurato forse da una sempliciotta ma intensa canzone sull’amicizia in cui sulla barca sale gente come Joey Ramone, Danko Jones e Nina Persson, questo album mantiene il suo sporco perché: veloce, festaiolo, facile e tanto punk-rock. Per scaldare a schiaffi il vento gelido di Stoccolma.

Marialuisa Ferraro
Elliott Smith – New Moon (USA 2007)  Rock   4/5
Acustico e meditativo. Occhio alle liriche profonde, impegnate e impegnative.
Red Stars Theory – Life in a Bubble Can Be Beautiful   (USA 1999)   Post Rock   5/5
Veramente una grande scoperta. Un rock alternativo quasi interamente strumentale che non si vezzeggia di ornamenti inutili e artifici, ma va dritto al sodo con grande delicatezza e cura degli arrangiamenti.

Ulderico Liberatore
Skiantos – Inascoltable EP   (Ita 1977)   Rock demenziale   1/5
Il trash che dilaga!!!

Riccardo Merolli
Punkreas – Paranoia e Potere   (Ita 1995)   Punk Rock   3/5
Un disco scemetto ma essenziale, un tempo ero giovane, un tempo credevo di essere punk.

Francesco Ficurilli
Motorpshyco – Trust Us   (Nor 1988)   Rock psichedelico, Alternative Rock    4/5
Coltello a doppia lama norvegese: con una ti taglia la faccia, con l’altra la ricuce. Doppio lp sconsigliato agli amanti delle stronzate.
Atari Teenage Riot – Delete yourself!   (Ger 1995)   Digital Hardcore    4,5/5
Direttamente da Berlino la cacofonia più bella dello scorso millennio. Da ascoltare con occhiali da sole alla Alec Empire.

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SIAE. Il fronte dei diritti d’autore. Chi ci guadagna?

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Era stato annunciato come lo statuto che rilanciasse la Società italiana autori ed editori, che regola i diritti d’autore nel nostro paese, approvato il 9 novembre 2012 con un commissario straordinario, promosso  dai vari Ministeri dei Beni Culturali e dell’Economia con l’incarico di dover risanare la società commissariata. Doveva essere il rilanciodel diritto d’autore e invece questo decreto finisce per spostare ancora di più l’ago della bilancia dalla parte dei “big della musica” a discapito di tutti gli autori associati. Insomma doveva essere la svolta e invece, come spesso accade in Italia, si è fatto un ulteriore passo nel nulla.
Il cuore dello statuto e nell‘Articolo 11, comma 2: «ogni associato ha diritto di esprimere nelle deliberazioni assembleari almeno un voto e poi un voto per ogni euro (eventualmente arrotondato per difetto) di diritti d’autore percepiti nella predetta qualità di Associato a seguito di erogazioni della società nel corso dell’esercizio precedente». Avete capito bene. Chi guadagna di più con i diritti ha più potere in assemblea. Ciò fa dell’arte una mera merce di scambio. Il più bravo è chi guadagna di più e decide per tutti gli altri. E gli altri associati sono demandati e obbligati per le leggi italiane a finanziare questa macchina.

La domanda sorge spontanea. Chi sono gli autori più ricchi? Quali gli editori che guadagnano di più?

Ci ha pensato il Corriere della Sera in un articolo di approfondimento. Leggendolo ne esce fuori che il più ricco di tutti è un certo Guardì, Michele Guardì. Chi?! Il regista di Uno mattina e Domenica In. Si, avete capito bene, il regista di Domenica In e qualche altro fortunato programma televisivo. Lui insieme ai più famosi Vasco e il Liga nazionale si spartiscono oltre che il potere di decidere sull’assemblea della società, ciliegina sulla torta, anche la maggior parte della ridistribuzione degli utili dell’ente (40 mln anno). Per intenderci il sig. Guardì percepisce, solo di utili, quasi 2 mln di euro, seguito dagli altri due con 1,6 mln. Attenzione, stiamo parlando solo di ridistribuzione degli utili a cui vanno aggiunti i proventi dei diritti che ovviamente, visti i nomi, saranno altissimi.Tutto ciò potevamo immaginarcelo e questa vuole essere una conferma. Conferma del fatto che degli oltre 83mila associati (di cui 80mila autori) solo una piccolissima parte vede, a fine anno, i soldi dei proventi. Tutto questo, ovviamente, va a discapito dei nostri giovani rockambuliani, determinati e indipendenti artisti che sono obbligati al bollo SIAE per stampare e vendere i propri dischi ad un pubblico più ampio della loro cerchia di amici. Si, siete obbligati. Non lo sapevate, leggete qua:
 “Ai sensi dell’art. 171 ter della legge 633/41 (ovvero la legge sul diritto d’autore), chiunque, a fini di lucro, detiene per la vendita o la distribuzione, pone in commercio, vende, noleggia, cede a qualsiasi titolo, proietta in pubblico, trasmette a mezzo di radio o televisione con qualsiasi procedimento, supporti contenenti fonogrammi o videogrammi di opere musicali, cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini in movimento, per i quali è obbligatoria l’apposizione del contrassegno (comunemente detto “bollino”) da parte della SIAE e lo fa utilizzando supporti privi di tale contrassegno o dotati di contrassegno contraffatto o alterato, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 2.582,00 a 15.493,00 Euro se il fatto è commesso per uso non personale.”
Visto quello che è venuto alla luce alcune associazioni come ARCI e AUDIOCOOP hanno tentato la strada del ricorso al Tar, raggruppando artisti e etichette indipendenti, ma ovviamente, notizia di qualche giorno fa, è stato respinto.Qui l’approfondimento. La sintesi è questa. Tu che hai una band da scantinato, tutti i giorni a lavoro per sopravvivere, che i tuoi soldi li investi in strumenti, il tuo tempo in musica e dopo tanti sforzi fai un EP e lo stampi, alla fine ci devi mettere il bollino SIAE su, i cui ricavi per la maggior parte vanno ai tizio di Domenica In che campa così dagli anni ’80 insieme ai grandi della musica leggera italiana.E si. Siamo in Italia, dove si guarda l’arte come ad una forma di merce da supermercato. Dove il merito passa per le tasse pagate. Dove contano le parentele e a chi sei affiliato. Dove se non sei nessuno sei costretto a pagare per finanziare altri come nel caso della SIAE.

Intanto a breve, il 1° marzo, ci saranno le elezioni del Consiglio di Sorveglianza. Come abbiamo visto sono i grandi della musica e dell’editoria Italiana a detenere un peso maggiore in sede di voto facendo strane alleanze per arrivare poi a spartirsi la fetta finale. Poi va aggiunto che i 80mila associati di basso profilo, che volendo potrebbero cercare di contrastare questo statuto criminale, non andranno a votare come ci fa notare il Fatto Quotidiano, perché chi è disposto a prendere un treno per Roma e andare a votare quando sa che a fine anno non gli andrà nulla in tasca, anzi dovrà pagare l’inscrizione,in più dovrà pagarsi il biglietto del treno?!?! Ecco, queste sono le ingiustizie, le disuguaglianze del nostro sistema di difesa del diritto d’autore. In cui quello che traspare è solo la difesa dei diritti di chi già ha una carriera affermata, in un tempo anche remoto, che continua a mangiare, anche non producendo nulla, nella stessa mangiatoia. La situazione è triste e deprimente ma per chi avesse voglia di provare strade alternative potrebbe intraprendere la strada delle Creative Commons che non sono la stessa cosa della SIAE (alcuni diritti riservati) ma permette di aggirare l’ostacolo SIAE ed essere tutelati ugualmente. Ovviamente questo tipo di licenze non sono utili per la distribuzione su supporti ottici (CD) ma offrono un alternativa per proteggere la propria musica propagata su internet che oggi è lo strumento più utilizzato per la diffusione dei brani/album musicali.

Alcuni link utili per l’utilizzo delle Creative Commons:

http://www.creativecommons.it/autori-musicisti

http://www.creativecommons.it/ccitfiles/Skillab_2011_06_30_CC_ShareYourKnowledge_Travostino.pdf

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“Diamanti Vintage” Alice Cooper – Hey Stoopid

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Non si sapeva quasi più che fine avesse fatto il suo circus en travesti e i suoi incubi in cellophane  eppure l’album Trash di appena due anni prima aveva riscosso un tremendo successo e lo aveva rimesso, ricollocato, sulle vette alte dell’Olimpo dei Grandguignol d’eccellenza, infatti, oramai a speranze zero, manco a dirlo Alice Cooper ricompare tronfio e con un bel disco, “Hey Stoopid” ennesimo capolavoro della sua arte “mostruosa” e trash che molto a dato nel rock d’ogni tempo.
Il suo è un mondo elettrico di paura, sangue, sesso e rock incandescente, hard-rock, metal e street-glam che si innestano e s’incrociano, chitarrismi impazziti e ballate da accendino acceso da sempre fanno parte della scena dell’artista di Detroit e che hanno scatenato nel tempo a venire la fantasia di tanti altri che ne hanno assimilato, se non copiato, mosse ed intenti (tra tutti Marylin Manson). Nel disco – molto più ammorbidito dei grandi successi passati – è un compendio di immediatezze, hook e giochi sonori, un venire incontro alle nuove esigenze che il pubblico rock vuole sentire, non più sussegui, stupri e violenze declamate, ma un Cooper più riflessivo, un artista che vive una seconda giovinezza e  che gode di una produzione altolocata. Con lui in questa avventura un parterre paradisiaco di chitarre, Slash, Stef  Burns, Vinnie Moore, Steve Vai, Joe Satriani e alle voci  Rob Halford, Dave Mustaine e Sebastian Bach, uno spettacolo nello spettacolo e che innalza il disco a livelli stratosferici se consideriamo che al basso troviamo anche un mitico Nikki Sixx dei Motley Crue.

Ballate, melodie amplificate, rock’n’roll schizzante e rinascita artistica per il mitico Vincent Damon Furnier, l’Alice Cooper mondiale, questo Hey Stoopid – che negli States è stato un flop clamoroso – nel resto del globo ha venduto milioni di copie, ma ogni profeta non è mai riconosciuto in terra propria cita un vecchio detto, e Cooper guarda dritto a trasmettere la sua goliardica energia, il suo show truculento e memorabile; tra i brani i più graffianti il fuoco incrociato di “Feed my Frankestein”, la dolce power ballad “Love’s  a loaded gun”, la tripletta scottante “Little by little”, “Snakebit” e “Dirty dream” e tutto un insieme di sensazioni notturne che se non ti fanno tremare, perlomeno ti fanno guardare costantemente alle spalle.
Spalancate i vostri orecchi a  questo album e a  questo “mostro”  leggenda vivente.

http://www.youtube.com/watch?v=6vBx-1r4xYY&feature=youtu.be

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Pills շաբաթ վեց (consigli per gli ascolti)

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Ecco le nostre pillole fatte di musica multicolore. ATTENZIONE! Gli effetti della musica contenuta nelle pastiglie cominciano a svilupparsi appieno dopo circa trenta minuti e possono perdurare fino a 6-10 ore (ma per qualcuno anche fino alla morte). Se la prima assunzione avviene prevalentemente per curiosità e psicologia di gruppo, il ripetersi dell’esperienza avviene con la scoperta di effetti soggettivi che vengono ricercati perché gratificanti e compensatori di disagi personali inconsci dovuti alla musica di merda che trasmettono in Tv o per radio. Le nostre Pills danno loquacità, euforia, apertura mentale, intimità con gli altri, senso di felicità, spensieratezza, calo delle inibizioni sessuali e potenziamento dell’autoanalisi.

Silvio Don Pizzica
Bathory – Blood Fire Death   (Sve 1988)   Black/Viking Metal   4,5/5
Probabilmente l’unico nella storia della musica ad ver inventato due generi musicali. Quest’album è esattamente al centro tra la nascita del Black Metal e quella del Viking
Iceage – You’re Nothing   (Dan 2013)   Post/Art Punk   3,5/5
Il disco della maturità per la band danese che urla schegge di Punk come dipingesse il firmamento in fiamme.
Jk Flesh/Prurient – Worship Is the Cleansing of the Imagination    (Uk/USA 2012)   Industrial Metal   3/5
Due tra i più visionari esponenti del genere fondono la loro arte per regalarci emozioni nere come la morte. Il risultato è un’altalena tra gli incubi del subconscio e la banale realtà.

Max Sannella
Area  –  Crac!  (Ita 1975)  Rock-prog  5/5
Il  contrattacco dell’International  POPular Group per antonomasia al rock della vuotezza.
Vinicio  Capossela – Modì  (Ita 1991)  Cantautorato  4/5
Musica, teatro e parole in un fulminante gioco di rifrazioni  stilistiche pirotecniche.
Giorgio Gaber – Snoopy contro il barone Rosso (Ita 1967) Cantautorato  5/5
Il Signor G in una delle sue opere più taglienti e salaci per un animo dai bollori nascosti.

Lorenzo Cetrangolo
Musica per bambini – Dio Contro Diavolo   (ITA 2008)   Elettronica
4,5/5

Filastrocche e delirio in un concept sui sette peccati capitali. Geniale.
The Verve – Urban Hymns   (UK 1997)  AlternativeRock   4,5/5
Anni novanta. Regno Unito. La valanga brit, qui con archi e Richard Ashcroft. Un bel momento.
Dutch Uncles – Cadenza   (UK 2011)  Indie Rock   3,5/5
Storture ritmiche, follie strumentali, falsetti come se piovesse. Da provare.

Marco Lavagno
AC/DC – Powerage   (Australia 1978)  Hard Rock   4,5/5
Forse l’album più sottovalutato dell’era Bon Scott. Meno ricco di hit per puzzolenti metallari, ma comunque sporco di quel blues ben conservato nelle botti di whiskey. Una scarica di corrente che attraversa tutta la colonna vertebrale.
Negrita – L’uomo sogna di volare   (Ita 2005)  Pop/Rock   4/5
Tra America Latina e la nostra terra, con la mente che viaggia senza confini. La voce di Pau e le chitarre di Drigo e Cesare preparano un amalgama forte di speranza, libertà e unione.

Marialuisa Ferraro
Neil Diamond – 12 Songs   (USA 2005)   Folk Rock   4,5/5
Caldo, country e chitarristico. Un viaggio tra l’individuo e l’amore, in una serie di brani trattati come veri e propri racconti.

Ida Diana Marinelli
The True Endless – A Climb To Eternity   (ITA 2004)   Black Metal   1/5
Un lavoro che potrebbe piacere forse solo ai cultori del metal o a chi considera suono anche il rumore della lavatrice in funzione. Ma Astragon è uscito dal gruppo per caso?
A Come Andromeda – Occhio Comanda Colori   (ITA 2012)  Indie/Noise Rock   4/5
Alla scoperta di un altro gruppo pugliese e del loro lavoro dal sound contemporaneo, elaborato e denso di significati.

Ulderico Liberatore
The Cramps – Songs the Lord Taught Us   (USA 1980)  Garage Punk/Psychobilly   4,5/5
Primo e imperdibile album di una band che ha fatto degli eccessi la propria bandiera. Rielaborazione punk rock del rockabilly delle origini.
Lux Interior dichiarò ad una prima intervista: “Vogliamo che i ragazzi americani tornino a ballare” il rock sottolineato!

Riccardo Merolli
Nick Drake – Bryter Layter   (Uk 1970)   Folk   5/5
Il secondo disco, uno dei dischi migliori di sempre. Entra e non esce più.

Vittorio Massa
Paletti – Ergo Sum   (ITA 2013)  Pop   4,5/5
Immediato e coinvolgente. Canzoni da cantare sotto la doccia ma allo stesso tempo raffinate negli arrangiamenti.
Diaframma – Niente di Serio   (ITA 2012)  Rock Alternativo, New Wave   3/5
Di certo non il disco meglio riuscito di Fiumani. Alcune canzoni suonano stantie. Ciononostante anche in questo disco si trovano alcune perle degne del nome della band con sonorità da vecchia scuola ma attualissime.
Morgan – Canzoni dell’appartamento   (ITA 2003)  Pop rock   4,5/5
Dalla canzone d’autore italiana al pop più attuale. Testi minimali e arrangiamenti finemente curati. Una chicca dell’autore.

Vincenzo Scillia
Ghostrider – The Return Of The Ghost   (ITA 2010)   Thrash   4/5
Una band storica dell’ Thrash italiano. Avevano tecnica, audacia, potenza, aggressività e melodia. “The Return Of The Ghost” segnava il ritorno (che poi è andato nuovamente sfumato) di un grande gruppo che purtroppo, come un fantasma, è andato a dileguarsi.
Entombed – Wolverine Blues   (SVE 1993)   Death   4/5
Erano gli Entombed che portarono una vera ventata di freschezza con “Wolverine Blues”. Riuscirono in un intento eccezionale: miscelare il Death Metal con il Blues ed il Southern.
Almamegretta – Sanacore   (ITA 1995)   Dub, Reggea   4/5
Gli Almamegretta per chi non li conoscesse non sono proprio quelli di questo anno, di questo Sanremo. Anni addietro la loro originalità ed il loro stile era ineguagliabile e i loro testi di una profondità indescrivibile. “Sanacore” insieme ad “Animamigrante” è il disco che più la rappresenta. Il vantaggio di “Sanacore” è l’ atmosfera.

Alessandro Maiani
A-Ha – Analogue    (Nor 2005)   Pop-Rock   4/5
Era dagli anni’80 che non ascoltavo un “nuovo” album di questa band scandinava. Avevo sentito che qualcosa di nuovo e di apprezzabile avevano fatto rimanendo nell’ombra, almeno in Italia. Confermo. Pregevole album che ha poco a che vedere con il loro vecchio stile.

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“Diamanti Vintage” Soundgarden Louder – Than Love

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Certamente i Soundgarden di Chris Cornell hanno risentito molto delle influenze prima claustrofobiche dei Black Sabbath e poi delle convulsioni elaborate dei Led Zeppelin, lo si avverte in ogni interstizio delle loro composizioni, tra i riff granitici e la giugulare perennemente ingrossata nell’atto dell’urlo rock, e questo “sacrificale vezzo” non passa inosservato e “Louder Than Love” è il disco-passaporto che sdogana la band di Seattle dai circoli alternativi per includerla ed annoverarla  nell’impero delle major.
E siamo solo al secondo disco per questa formazione seminale che, dall’interno di una nutrita compagine grunge, si distingue tra tutte per la sfrontatezza impenetrabile e per le sfuriate doommate che diverranno un loro indelebile marchio negli anni a venire; Chris Cornell alla voce, Kim Thayil chitarra, Hiro Yammamoto basso e Matt Cameron alla batteria sono un muro di suono dai colori neri, pieno di sensazioni notturne e maledizioni da interpretare, ma anche un feeling con una certa melodia che i nostri – nel loro passato recente – hanno sacrificato più volte sull’altare della velocità.
Il disco coniuga il disappunto del grunge con incisivi virtuosismi specie ne giri ricamati dal basso e da una chitarra formidabile, che giostra elettricità in maniera magistrale, profonda e mai vana, ottime le sparate filo-metal che infrangono “Get on the snake”, “Gun”, “Full on Kevin’s mum” inno questa allo speed-rock incontaminato e lo street-rock che fa capolino nella tramatura di “Big Dumb sex”; frammisto e sferzato questo lavoro discografico è un manifesto estremo di personalità e scoperte che “marchiano” in surplus la formazione americana, basta lasciarsi percorrere il sottopelle dai blues-doom mefistofelici di “Power trip” e “Uncovered” per essere complici di incursioni su terreni minati, dove un qualsiasi dio delle tenebre potrebbe fermarvi e chiedervi conto della  vostra incolumità.
Seguiranno ulteriori album di carato, intanto sprofondiamo nell’inferno iniziale della maledizione grunge.

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