Interviste

Africa Unite

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Con grandissimo onore, ospitiamo sulle pagine di Rockambula una storica band Reggae italiana. Sono gli Africa Unite con Bunna e Madaski, ovvero i fondatori e membri principali.  Con immenso piacere siamo riusciti a scambiare qualche parola con queste due icone. Tra qualche chicca passata, l’uscita del nuovo disco intitolato Il Punto di Partenza e uno sguardo sulla realtà di oggi, siamo riusciti nella realizzazione di un’interessante intervista tutta da gustare.

Ciao ragazzi e benvenuti su Rockambula, è un grande onore per noi ospitarvi. Cominciamo l’ intervista dicendo un po’ come sono cambiati gli Africa Unite dal 1981 ad oggi?

MADASKI:  Direi che non siamo più tanto ”ragazzi” (ride), ma ci piace sentircelo dire. Nell’albero genealogico degli Africa ci sono talmente tanti rami.  Io e Bunna siamo i sopravvissuti, ne siamo estremamente felici.

BUNNA: Gli Africa Unite sono sicuramente cambiati da quegli anni in cui si cominciò questo viaggio fino ad oggi. Innanzitutto quando cominciammo avevamo una grossa dose di ingenuità, l’ingenuità di un gruppo che si innamora di un genere e cerca di capire come imparare a riprodurlo suonando. Tutto è cominciato senza un preciso progetto, suonavamo perché ci divertiva e anche perché era l’unico modo per promozionarci. Negli anni abbiamo capito che cosa volevamo e quali scelte sarebbero state più importante da fare affinché gli Africa potessero provare ad avere un loro carattere musicale ed essere riconoscibili. Oggi, siamo contenti di essere ancora qui, dopo tutto questo tempo, a lavorare sul progetto con lo stesso entusiasmo che ci ha fatto muovere i primi passi.

Sempre in questo arco di tempo come è cambiata la vostra scena musicale e come il mercato, considerando che avete vissuto sia l’epoca delle musicassette, che dei dischi fino agli mp3 di oggigiorno?

MADASKI:  Il mercato è cambiato tantissimo, passando attraverso i vari supporti e i vari formati, fino quasi all’annullamento odierno. È cambiato molto l’atteggiamento delle persone, fino a pochi anni fa c’era più ricerca e fidelizzazione, la musica non mainstream era cercata e amata come cosa particolare. Ora si trova tutto a portata di mano e, se questa cosa ha risvolti positivi, in parte, dall’altra viene meno proprio quella voglia del possedere il prodotto musicale che, un tempo, era rappresentato dal disco, o vinile o cd.

BUNNA: Agli inizi, il pubblico che vedevamo ai concerti era un pubblico molto connotato. Il pubblico del Reggae, di allora, condivideva tutta una serie di elementi estetici e non solo che lo accomunavano. Per fortuna negli anni il pubblico che viene ai nostri concerti è un pubblico assolutamente eterogeneo, un pubblico che è solamente accomunato dalla passione per la musica e per l’atmosfera che solo ai live si può respirare. Questo sicuramente anche perché gli Africa sono sempre partiti dal Reggae come ispirazione originaria ma hanno molto spesso cercato delle soluzioni musicali che sconfinavano dal genere stesso. Abbiamo sempre avuto un approccio sicuramente trasversale. La scena musicale è sicuramente cresciuta sia dal punto di vista di chi la musica la fa che da quello di chi la musica l’ascolta. Ci sono state negli anni, molte situazioni gruppi, festival, trasmissioni radiofoniche dedicate, che hanno propagandato la musica Reggae e la sua ideologia ed hanno inevitabilmente fatto crescere il pubblico. La nostra generazione ha vissuto poi i vari passaggi dalla cassetta al vinile, al cd ed infine agli mp3. Con questi cambiamenti, penso, sia inevitabilmente cambiato anche l’approccio alla musica ed agli artisti che la producono. Quando compravamo un vinile lo facevamo perché adoravamo quel gruppo, perché eravamo curiosi di capire un po’ di più su i musicisti, c’era molta affezione. Questa cosa, col passare del tempo, mi sembra stia venendo meno gradualmente. Le nuove generazioni si ritrovano con lettori mp3 imballati di brani che il più delle volte non ascoltano neppure, sono sempre alla ricerca della cosa più nuova che c’è come se questa fosse la cosa più importante. Ormai siamo arrivati al punto in cui, per assurdo, anche il download è superato. Perché andare ad occupare una parte dell’hard disc con dei file, quando è ormai tutto disponibile on demand? Ormai la musica è come l’acqua, che abbiamo a casa, quando la vuoi apri il rubinetto quando non ne vuoi più lo chiudi.

“Il Punto di Partenza” è il titolo del vostro nuovo disco. È un lavoro davvero personale e introspettivo. È una sorta di rivincita o un modo per affermare una volta e per tutte la propria posizione?

MADASKI: Certo, ma affermare la propria posizione dovrebbe essere una cosa normale e quotidiana per chi è musicalmente sincero e ispirato, anche se a volte non è così purtroppo, ma sono contento non sia il nostro caso.

BUNNA: Il Punto di Partenza è un disco nel quale gli Africa prendono posizioni e distanze su e da tutta una serie di cose. Un disco che, come sempre, cerca di essere rappresentativo di quello che siamo e coerente con quello che siamo sempre stati. Un disco che segna un nuovo punto da cui ripartire, con un’attitudine che sia attuale rispetto ai tempi che stiamo vivendo ma che nel suo interno vuole usare la musica per provare a dire delle cose, fornire degli spunti di riflessione sulla realtà che viviamo ogni giorno.

Adoro “L’Attacco al Tasto”, una canzone che ha totalmente rapito il sottoscritto. Ma cosa può essere un attacco al tasto, cioè, che tipo di esperienza o avvenimento vi ha portato a scrivere questa canzone e a considerare la questione proprio come un punto di partenza?

MADASKI: L’attacco al tasto è il primo esercizio di approccio al pianoforte, la base della tecnica pianistica, con la quale si determina la posizione della mano sulla tastiera. In questo testo ho fatto un parallelismo tra la vita e lo studio dello strumento che ha influenzato tutta la mia carriera musicale.

BUNNA: Madaski con questo testo ha voluto raccontare, la sua personale esperienza di approccio alla musica e nello specifico allo studio del pianoforte, usando questa esperienza per tracciare un parallelo rispetto alla difficoltà di fronte alle quali spesso ci troviamo nell’affrontare la vita. Sottolineando l’importanza della determinazione, costanza e del lavoro per ottenere dei buoni risultati, in qualunque ambito.

Sempre riguardo la canzone “L’Attacco al Tasto” successivamente ne è stata realizzata una versione con gli Architorti. Come è nata questa collaborazione e perché vi siete applicati sulla rivisitazione di questa traccia?

MADASKI:  Marco Robino, leader degli Architorti  ha scelto il brano, evidentemente ispirato dal contenuto e ne ha creato una versione per archi e pianoforte, io la trovo stupenda.

BUNNA: La nostra collaborazione con gli Architorti non è una novità. Abbiamo, anni addietro, condiviso un progetto “Corde in Levare” nel quale il maestro Marco Robino (fondatore dell’ensemble) ha riscritto tutta una serie di brani del nostro repertorio per quintetto e per orchestra. Il risultato è stato un tour di parecchie date in cui Madaski dirigeva l’orchestra ed io cantavo i brani degli Africa su tessiture orchestrali di archi. Un’esperienza difficile ma suggestiva. Quelle emozioni ci hanno fatto ripensare a quanto potesse essere bello chiedere agli Architorti di rifare un lavoro di riscrittura simile a quello, che avevano fatto anni addietro, per un brano nuovo. Così il maestro Robino coadiuvato da Marco Benz Gentile , nostro attuale chitarrista, già membro di Architorti, ha provveduto alla riscrittura del brano “L’Attacco al Tasto”.

Parlando delle altre collaborazioni, nell’album avete come ospiti Raphael e i More No Limiz. Come è nato l’approccio con i due artisti?

MADASKI:  Sono amici da molto tempo, ho prodotto alcuni dei loro dischi, diciamo che sono dei personaggi che abitualmente frequentano il mio studio e che, sia io, sia Bunna stimiamo molto.

BUNNA: Le collaborazioni che facciamo nei nostri dischi derivano sempre da un’amicizia e dalla stima che nutriamo per certi artisti. Anche questa volta è andata così. Raphael pensiamo sia un grande talento della nuova scena reggae italiana, More No Limiz è un giovane e bravo cantante con il quale ci è capitato di condividere il palco più di una volta e quindi ci siamo resi conto, anche nel suo caso,  della particolarità della sua voce e delle sue tessiture melodiche. Quindi se possiamo far conoscere nuovi talenti al nostro pubblico lo facciamo molto volentieri.

Per quanto riguarda il tour cosa ci dite? Dove suonerete nei prossimi giorni? Una data a Napoli è prevista?

MADASKI: Molto difficile suonare a Napoli. È da molto che manchiamo, a noi farebbe molto piacere ma, spesso, non siamo noi a determinare l’ubicazione delle date, ma i promoter locali a chiamarci.

BUNNA: Abbiamo finora fatto una decina di concerti e ne abbiamo ancora un bel po’, fino alla fine settembre. Il calendario è ancora aperto e siamo convinti, per come sta andando, che si aggiungeranno ancora parecchie cose. Napoli, per ora, non è prevista ma ci piacerebbe molto ripassare di lì a suonare. Se succederà, lo saprete! Tenete d’occhio il nostro sito: www.africaunite.com e se ancora non l’avete fatto scaricatevi il disco, è gratis!!!!

In trent’ anni vi sarà capitato di tutto: qualche idea vi sarà maturata, altre ancora saranno mutate e qualche obbiettivo sarà cambiato ma attualmente gli Africa Unite a cosa aspirano?

MADASKI:  A fare ciò che più ci piace, con molta onestà. Suonare e continuare ad esprimere le nostre idee, indipendentemente dal genere, cercare di essere originali e fortemente connotati, insomma ci piace essere Africa Unite.

BUNNA: Gli Africa aspirano a suonare il più possibile perché quella è la dimensione che più ci rappresenta, che più ci diverte. Speriamo che il pubblico continui a frequentare i nostri concerti e che il ricambio generazionale che c’è sempre stato continui ad esserci.
Bisogna sempre ricordarsi che un gruppo deve tutto al suo pubblico perché è grazie a lui che si possono continuare a fare i concerti. Il giorno in cui non puoi più contare sul supporto e sulla presenza dei tuoi fan, puoi appendere la chitarra al chiodo.

Prima di concludere vi piacerebbe condividere con i nostri lettori un bel ricordo che hanno gli Africa Unite di un episodio che è accaduto nell’ arco della carriera?

MADASKI: Sono negato per queste cose!!!!!

BUNNA: Suonare in Giamaica è sicuramente stata, per me, un’esperienza indimenticabile.
Nel 1991, andare a suonare il Reggae dove questa musica è nata è stata per noi, gruppo italiano, una cosa che sicuramente non dimenticheremo mai. Ci sarebbero moltissimi altri episodi, magari meno esotici, ma non meno emozionanti da raccontare, ma ci vorrebbero troppe parole. Lasciamo che parli la musica!!!!!

Bene ragazzi l’ intervista si chiude qui, concludete come meglio vi pare.

MADASKI: Avere la possibilità di esprimersi attraverso la musica è una cosa stupenda ma sempre più difficile, occorre riflettere bene su questo concetto perché è alla base della nostra attività. Non tutti nascono musicisti e la tecnica non serve poi a così tanto, anche se è indispensabile per muoversi in questo ambiente. E’ sempre necessario avere ben chiaro cosa dire prima di salire su un palco. Bisogna essere curiosi.

BUNNA: La musica può far ballare, riflettere, viaggiare la si può sentire su un giradischi, in un’autoradio, un lettore mp3, ma la magia che si può respirare ad un concerto è una cosa unica. Quell’ alchimia che si innesca tra chi suona e chi ascolta non si può riprodurre in altro modo se non facendone parte. 1Luv!!!

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Stearica

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Il 18 luglio, subito dopo la loro performance per A Night Like This Festival, abbiamo intervistato Davide e Francesco, batterista e chitarrista degli Stearica, band di Torino che ha da poco pubblicato il suo ultimo album, Fertile. Buona lettura.

M. Innanzitutto buonasera. Avete appena suonato, qualche considerazione a caldo su questo live?
D. Eh, c’era la pioggia, è stato divertente (ride). Abbiamo tirato corto per suonare mezz’ora. Siccome abbiamo pezzi molto lunghi dobbiamo tenerci parecchio. Però è stato un bel live.

M. Vedo che portate la maglietta di Fertile, il vostro ultimo album, parliamone un po’. Cos’è questa fertilità, cosa eravate pronti a seminare?
F. Diciamo che il periodo in cui abbiamo composto il disco era un periodo molto “fertile”. Probabilmente sta continuando ad esserlo, anche se son cambiate tante cose da tre anni a questa parte. Lo era perché era un periodo in cui stavamo suonando al Primavera Sound, a Barcellona, e ci siamo trovati proprio nel mezzo delle manifestazioni del movimento degli Indignados che ha poi avuto un certo riverbero nel nord Africa e nel Medio Oriente, in quei movimenti che se ricordi hanno preso il nome di Primavera Araba, C’erano delle grandi speranze in quel momento, dell’energia e ci ha colpiti.

M. Voi fate purtroppo parte di quella schiera di musicisti che all’estero riescono a suonare tantissimo, e sono anche molto conosciuti…
F. Ma in Italia no, diciamolo! (Ridono).

M. Ecco appunto, in Italia no. Cos’ha l’Italia che non va? Cosa c’è in Italia che non permette il diffondersi della vostra musica?
F. In realtà non lo sappiamo. Quest’anno stiamo provando a suonare di più e già arrivare a dei festival come questo ed il Siren (Vasto Siren Festival n.d.r.) per noi è un piccolo traguardo, che raggiungiamo dopo 18 anni che suoniamo. Abbiamo cominciato prestissimo a suonare all’estero, perché è sempre stato più facile. Mandavamo il materiale in Italia e lo mandavamo all’estero: fuori ci chiamavano, qua no.
D. Ed è ancora così. Stanno per uscire le date dell’ennesimo Tour Europeo, ed in Italia niente. Continua ad essere esattamente come prima.
F. Apriamo un’inchiesta con i lettori di Rockambula: com’è possibile che in Italia non si riesca proprio a suonare? Dobbiamo forse cambiare deodorante? (Ridono).

M. Voi vi siete fatti un’idea del perché in Italia non riuscite a suonare?
F. Le idee ce le abbiamo ma sono cattive e non le possiamo dire.

M. Ma Rockambula è una webzine senza peli sulla lingua… (Ridono)
F. Guarda in realtà non lo sappiamo davvero. La cosa che ci dicono sempre è “ spaccate, siete fighissimi e bla bla bla…” ma quando arriva quel momento in cui se lì con i pugni stretti e continui dicendo “E quindi?” in realtà poi non succede mai niente. Quindi dobbiamo sempre farci un po’ di chilometri per suonare. E soprattutto non possiamo mangiare il cibo italiano.
D. La cosa bella di quando suoni in Italia è che comunque mangi sempre bene.

M. Portarsi dei sughi da casa? (Ridono)
F. Qualche volta abbiamo fatto anche quello.

M. E di Torino invece cosa mi dite? Com’è stato tornare a suonare nella vostra città?
D. Abbiamo presentato Fertile allo Spazio 211, ed è stato molto molto bello.

M. Come l’avete ritrovata, musicalmente parlando?
D. La serata degli Stearica allo Spazio è una cosa, la città di Torino musicalmente parlando è un’altra cosa. Io sono abbastanza deluso di quello che ha fatto Torino negli ultimi 2-3 anni. C’è stato un periodo in cui sembrava potesse diventare una città del calibro di Berlino o Londra, l’attitudine era verso quel tipo di realtà. Artisticamente parlando c’è un gruppo di gente che suona, ma alla fine non si quaglia. Ovviamente parliamo sempre del nostro ambito e settore musicale.
F. Nonostante abbiano aperto anche diversi locali, che poi però nel frattempo hanno anche chiuso.
D. Ecco, a me sta sul cazzo che c’è stato proprio un momento, circa 4-5 anni fa, in cui vedevo uno sviluppo di situazioni e di festival, di cose belle che succedevano. Poi ad un certo punto improvvisamente si è fermato tutto quello che sembrava stesse nascendo.

M. Voi avete avuto modo di vivere la scena della Torino Punk Hardcore?
D. I nostri primi live, quando avevamo sedici anni, li abbiamo fatti insieme a gruppi Punk Hardcore, pur non suonando Punk Hardcore. Eravamo in quel giro lì.
F. Ecco vedi, quella lì ad esempio è stata una cosa pazzesca. Quel periodo lì che ovviamente per noi è una delle poche scene che riconosciamo come valide, c’era una apertura mentale ed una voglia di aiutarsi, anche tra i gruppi. Ricordo sempre quando suonavamo alla Delta House e ci dicevano che facevamo musica da viaggio, da trip. E ci suonavamo con facilità, avevano piacere ad invitarci. Quando abbiamo cominciato a suonare noi, 18 anni fa, c’era un’attitudine, c’era molta forza, energia. Adesso la sensazione che ho è che si tende a curare tutta una serie di cose. Già da quattro anni a questa parte i Social hanno cominciato a dettare tutte le regole.
D. Devi categoricamente essere un gruppo da Social.
F. C’è questa storia che bisogna avere quel tipo di facciata, quel bisogno di far vedere che vai a cagare e ti fai il selfie sul cesso. E non lo fa solo Arisa, lo fanno anche i signori dell’Indie. Non ho la sensazione che si voglia creare qualcosa tra gruppi, poche volte succede.
D. Sembra ci siano dei canoni preconfezionati che devi per forza seguire.
F. Forse è questo uno di motivi per cui abbiamo sempre suonato poco in Italia. Forse non abbiamo coltivato un certo tipo di immagine, un certo tipo di contatti. Però ti ripeto, non è una cosa che ci interessa, non ci appartiene.

M. E per quanto riguarda il discorso dell’attitudine di cui parlavi prima…
F. Io credo che se suoniamo in un certo modo è perché siamo nati e vissuti in un certo periodo. Quando ci chiedono i nostri riferimenti, musicalmente è difficile dirlo, anche perché abbiamo sempre suonato cose diverse da quello che ascoltavamo. Più che dei riferimenti musicali, noi abbiamo proprio avuto dei riferimenti umani, è questa la differenza grossa, ed è stata una roba che ci ha fatto dare veramente una svolta ai tempi, e che oggi ci fa un po’ soffrire, perché ci sentiamo un po’ fuori da questo tipo di mondo.

M. Cosa vi portate oggi dietro di quegli anni, di quel periodo che avete vissuto. Come lo riproponete oggi?
D. Con quell’attitudine che vedi sul palco.
F. Quando suoniamo vogliamo spaccare il culo, ma nel frattempo proviamo profonda tristezza nel vedere che dall’altra parte del palco non è più così.

M. E dall’altra parte, all’estero, cosa c’è che qui manca?
D. C’è più curiosità, meritocrazia, cultura musicale, ascolto. Che poi se ti piace la musica è quello che dovresti fare. All’estero c’è chi ascolta la musica e va ad ascoltare le band che non conosce. Se gli piacciono si gasa, e poi magari compra anche i dischi.

M. Bene, siamo giunti al termine, io interrompo l’intervista e vi ringrazio. È stato molto bello parlare con voi.
F. La cosa è reciproca.
D. Ciao, alla prossima

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Rebeldevil

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I Rebeldevil sono un gruppo formato da icone del Metal tricolore: Dario “Kappa” Cappanera, GL Perrotti, Ale Demonoid e Paolucci. Esperti musicisti che ne hanno viste di tutti i colori tra successi e insuccessi. Abbiamo l’onore e il piacere di scambiare due chiacchiere con Dario “Kappa” Cappanera. Si è giunti a parlare del nuovo disco del gruppo, The Holder the Bull, the Harder the Horn, fino a scovare qualche piccola chicca. Non resta che gustarsi l’ intervista.

Ciao Dario e benvenuto su Rockambula. Cominciamo a dire come sono nati i Rebeldevil. Come è avvenuto l’incontro tra questi quattro big del Metal italiano?

KAPPA: Nel 2007 mi ritrovai con una manciata di brani finiti, che dovevano finire nel secondo ipotetico album per una reunion dei Cappanera (la band di Materializin Dream, Lucretia Records) ma la cosa non funzionò. Fu allora che una sera in giro per locali con Ale Demonoid si parlava del fatto che mi sarebbe dispiaciuto non utilizzare quel materiale, e di chi avrebbe potuto fare al caso mio per cantarli. Demonoid allora menzionò Gl Perotti, con cui ero già amico dal 1993. Provai a chiamare Gianluca, gli mandai il cd con dodici pezzi  e lui che tra l’altro veniva da un periodo parecchio triste, avendo appunto perso la madre da poco, si entusiasmò alla cosa, anzi fu per lui un esorcizzare i suoi mali; si buttò anima e corpo sui quei brani e poi scese giù a Livorno a farci ascoltare cosa aveva fatto. Provammo e qualche settimana dopo eravamo in studio al Larione di Firenze per la produzione di un demo, poco dopo l’album e uscimmo nel 2008 con Molten Metal Productions U.K, un marchio inglese gestito pero’ da un nostro amico di Firenze.

“The Holder the Bull, the Harder the Horn” è effettivamente il secondo disco dei Rebeldevil. Perché non ci spiegate di cosa tratta e a quali tematiche vi siete inspirati?

KAPPA: Beh gia’ dal titolo ci proponiamo di affrontare il fatto che anche per noi sono passati ormai venti anni, in giro tra palchi, dischi, glorie e fallimenti. Il mondo intorno a noi è cambiato radicalmente in peggio, la musica e’ ormai un completo deserto creativo e pur avendo un eta’ media sui quaranta, quarantacinque anni ci sentiamo già dei veterani.  In questo senso volevamo dimostrare che appunto “più vecchio è il toro, più duro e’ il corno”; senza esperienza e chilometri alle spalle non si crea niente di concreto o di qualità. Questo e’ il Rock n’ Roll, anni e anni passati tra sudore, lacrime, notti insonni, chilometri macinati, palchi, vittorie e glorie da una parte e fallimenti e delusioni dall’altra.

Come si è svolto il lavoro di ognuno di voi; cioè quale è stato il  contributo di ogni membro?

KAPPA: In questo senso, io purtroppo o per fortuna ho un mio modo di lavorare; nel senso che quando scrivo, scrivo di getto e finisco la canzone, in senso armonico e di stesura; su alcuni brani ho anche scritto testo e melodia vocale, (“Angel Crossed My Way”, “The Older the Bull the Harder the Horn”, e “Crucifyin You”) . Quando il brano è steso, lo passo a Demonoid che arrangia con me le parti di batterie, stessa cosa per Paolucci al basso. Il pezzo finito poi va a Gl che finisce linee melodiche e testi. Per questo album è stato ancora una volta così, ma abbiamo fatto tutto in studio insieme in quindici giorni complessivi, dalla scrittura, alla stesura, arrangiamento e tutto il resto;  tutto di getto, buono alla prima, senza menate, alla vecchia maniera. 1.2.3.4 Rock n’ Roll.

Il disco è un autoprodotto. Siete in cerca di un’etichetta o continuerete per questa strada? Ma soprattutto c’è qualcuna che vi ha contattato?  

KAPPA: Abbiamo fatto girare il demo dell album a due o tre etichette indipendenti italiane, ma non e’ interessato nessuno; abbiamo così optato per un’autoproduzione totale con la sola uscita in digitale, veloce e indolore, tutto fatto in casa.

Parlando appunto di futuro, i Rebeldevil sono un progetto che avrà una concreta costanza? Insomma il gruppo continuerà ad esserci?

KAPPA: Beh noi vorremmo, ma sta diventando sempre più difficile poter tenere in vita una band del nostro livello senza finanziamenti da parte di terzi (leggasi case discografiche). Quindi non so, per questo anno siamo usciti, abbiamo fatto un grande album di canzoni che ci ha dato molta soddisfazione personale, abbiamo organizzato una manciata di concerti, che stiamo ancora facendo in giro, se pur non molti. Prendiamo quel che viene e cerchiamo di divertirci, poi si vedrà.

Che differenze ci sono tra “The Holder the Bull, the Harder the Horn” ed il vostro primo disco, “Against You”, pubblicato nel 2008?

KAPPA:  Beh Against You era un album più Metal, se vogliamo, inteso come “metal moderno”, molto aggressivo e incazzato, sempre con un retrogusto Blues ma pur sempre Metal; quest’ ultimo e secondo album è arricchito da brani più Rock e Blues, ed altri molto più Hair Metal anni 80. C’e’ decisamente un Flavour Heavy anni 80 in alcuni brani ed il resto più Southern Hard Blues, credo.

Avete in progetto di girare un nuovo video?

KAPPA: Siamo riusciti a malapena a far uscire “Rebel Youth” con i nostri ridotti budget autofinanziati; volevamo farne un secondo per “Remember” ma i budget scarseggiano. Insomma qua questo Metal non paga più, e diventa appunto difficile investire da noi in nuovi progetti, abbiamo famiglie, responsabilità ed una vita pure noi.

Questo nuovo disco come è stato accolto dal pubblico e come dalla critica? 

KAPPA: In questo non sbagliamo mai, la critica recensisce i nostri album sempre come Dischi dell’ Anno, come qualcosa che non si sente dai tempi che furono:  grandi elogi, grandissime recensioni e questo ci fa molto piacere. Allo stesso tempo però ci fa pure girare i coglioni: la consapevolezza di essere così bravi a fare il nostro lavoro ma senza raccoglierne i frutti meritati ci ha davvero rotto il cazzo.

Bene Dario, l’ intervista si chiude qui. Concludi come meglio ti pare…  

KAPPA: Beh innanzi tutto grazie a tutti voi per questa chiacchierata, siamo sempre grati e riconoscenti a chi ci supporta; se potete venite ai nostri show, non vi deluderanno. Un’ora con noi equivale ad un’ora passata ad ascoltare grande musica suonata impeccabilmente e con molta passione. Se invece non vi va, andatevene affanculo e continuate a scrivere le vostre stronzate su Facebook !!!!

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Anthony Laszlo (video intervista)

Written by Interviste

Il nostro collaboratore Lorenzo Faustini qui nelle vesti del suo alter ego cantautorale La Scimmia ha realizzato questa bella intervista ad una delle band più promettenti del panorama nazionale, Anthony Laszlo.

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Dr. Quentin & Friends

Written by Interviste

Dr. Quentin & Friends è un progetto aperto che ruota attorno alla figura carismatica di Quinto Fabio Pallottini. Lo abbiamo incontrato subito dopo il live Aspettando il Primo Maggio per parlare di presente e futuro della sua musica.

Partendo dal farti i complimenti per la recente vittoria alla finale abruzzese di Arezzo Wave e il mio in bocca al lupo per la prossima apertura a Marlene Kuntz e Lo Stato Sociale, ti chiedo subito, perchè hai vinto tu?

Quentin ha vinto per l’energia della sua esibizione e la capacità di colpire la gente e la giuria.

Di recente hai deciso di rinnovare completamente la formazione, i tuoi “friends”. Cosa ti ha portato a questa scelta?

Il motivo principale è che uno dei membri non si sentiva più parte del progetto. Un amico che ha suonato con me per anni ha scelto di non continuare ma il progetto non si fermerà mai. Solo lui ha scelta di prendere una strada diversa e gli auguro tutto il bene del mondo.

Vieni dal Punk, hai intrapreso strade Folk per poi puntare dritto sul Reggae. In realtà, la tua musica sembra essere qualcosa che va oltre le definizioni. Tu come la descriveresti? Come nasce la tua musica?

Semplicemente Paghetti Reggae; musica jamaicana suonata da italiani. Nello specifico Reggae contaminato da Rock, Punk e tanto altro. Un “metallaro” potrebbe chiamarlo Nu Reggae.

Molti credono che la forza della tua musica stia tutta nel tuo carisma. C’è qualcosa di più che finisce per colpire chi ti ascolta?

Non è la prima volta che me lo sento dire. In effetti, specie durante i live, il mio carattere è la prima cosa che ti rapisce e che aiuta a creare un certo legame col pubblico. Tuttavia riesco a colpire anche attraverso i brani, fatti di piccole storie di vita capaci di spingere all’immedesimazione al trasporto nonostante l’uso della lingua inglese.

Pensi che si possa emergere in Italia anche senza scendere a compromessi con i gusti, spesso discutibili, del pubblico?

(Ride ndr) Non ho minimamente idea di come si faccia ad emergere in Italia. Il successo vero sembrano raggiungerlo solo quelle merde dei reality che sfruttando quella merda di televisione. Io faccio solo quello che voglio fare, cercando di stare in pace con me stesso. La musica mi fa sentire vivo e l’ascoltatore italiano medio è semplicemente mediocre.

Qual è la più grande soddisfazione che hai avuto dalla tua, ancora breve, vita da musicista? E la più grande delusione?

Nelle poche occasioni in cui ho suonato con i grandi, la soddisfazione vera è stata sentirsi dire dal cantante dei Giuda che i miei sono grandi pezzi. La delusione… nessuna.

Hai da poco pubblicato un Ep. Cosa hai in programma per il futuro?

Il mio percorso è iniziato in maniera concreta due anni orsono. Devo andare avanti, pubblicando un album con inediti, cercando di esprimere tutte le mie idee e la mia musica.

Pensi che ci siano ancora veri talenti in Italia? Hai qualche nome da suggerirci?

Sinceramente non sono molto interessato alla musica italiana. Mi gasa quella strafica di Levante.

Le tue liriche sono prevalentemente in inglese. Un limite per il mercato italiano ma spesso una necessità espressiva. Credi che sia questa la scelta giusta? E perchè?

In realtà credo non sia poi cosi’ importante la lingua o il significato delle parole. La melodia conta davvero. Capisco che in Italia sia un limite non riuscire a farsi capire ma chi è davvero colpito da una melodia troverà il tempo di capire anche le parole. Quello che dobbiamo trasmettere sono soprattutto emozioni e a questo basta la musica.

Cosa vorresti trasmettere nello specifico? Credi di essere riuscito, fino ad oggi, nel tuo intento?

Voglio che gli altri provino esattamente le stesse emozioni che io provo nel momento in cui compongo una canzone.

Dammi il nome di un artista Indie italiano che credi abbia più successo di quello che si merita…

Lo Stato Sociale (ride ndr)

Nel tuo ultimo lavoro in studio sembra emergere la voglia di dare più risalto all’aspetto vocale (cosa che rende il sound più “Pop”) piuttosto che alla musica, mentre nei live le ritmiche gonfiano il tutto di una forza e un dinamismo maggiore. Hai la necessità di capire ancora la tua strada o è stata una precisa scelta fatta a tavolino?

Il sound è in continua evoluzione. Più suono e più riesco a farmi un’idea di quello che posso creare. Non avete ancora ascoltato nulla e quello che deve venire sarà qualcosa di unico, vedrete. Il sound che ho in testa non è esattamente quello che avete ascoltato.

Dove credi di poter arrivare, mettendo da parte i sogni e le illusioni e provando a ragionare con freddezza?

Sky is the limit

Quale credi che sia la cosa più importante nel fare musica? La capacità di essere innovativi, la tecnica, la coerenza, l’anima, la capacità di cogliere i desideri della gente o cos’altro?

Passion. La passione

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Mom Blaster

Written by Interviste

Nascono nel 2010 e iniziano sin da subito a scrivere propri brani e proporli live abbinati ad alcune cover, affascinati dal reggae ma con il dna di rocker, miscelano il sound jamaicano con il rock pop europeo, generando uno stile che loro amano definire rock in levare. Diamo un ben venuto nelle pagine di Rockambula ai Mom Blaster.

Ciao ragazzi, raccontate chi sono i Mom Blaster ai lettori di Rockambula.
Siamo quattro ragazzi di Lanciano (Chieti), abbiamo messo su la band nel 2010, ci piaceva l’idea di suonare un rock bello ritmato con tanto reggae e dub, per definirlo in due parole l’abbiamo chiamato “rock in levare”. Nel 2013 abbiamo firmato per l’etichetta Ridens Records e abbiamo pubblicato il nostro primo disco We Can Do It!, nove tracce cantate in inglese molto contaminate, forse troppo per alcuni, ma noi siamo fatti così, ogni membro della band proviene da esperienze musicali diverse, non poteva uscire un lavoro “monostilistico” musicalmente parlando. Abbiamo suonato il disco in giro per l’Italia e pare che sia piaciuto e questo ci ha dato la forza di andare avanti e di provare però ad evolverci (secondo il nostro punto di vista), passando al cantato in italiano e ad un sound con più elettronica.

”Ciò che è Giusto” è il primo singolo estratto dal vostro nuovo album la cui uscita è prevista in autunno. Come è nato questo pezzo e qual’è il messaggio che volete mandare a chi vi ascolta?
Per noi questo brano è un manifesto politico, contro ogni tipo di prepotenza e sopruso di cui siamo in quest’epoca spettatori ogni giorno. Pensiamo al sistema economico che continua a mietere vittime, al sistema malsano della nostra politica, agli estremismi religiosi, ai politicanti razzisti e così via. Ciò che giusto per noi sarebbe fermarsi e riflettere, chiedersi dove stiamo andando e se è questo il mondo che vogliamo. Il videoclip su Youtube aiuta ancora meglio a capire il messaggio che vogliamo dare con questo singolo.

Questo vostro lavoro rappresenta, come da voi detto, un cambio di direzione rispetto al precedente album We Can Do It. Perchè?
Dopo due anni di attività intensa, ci sentiamo più maturi e abbiamo anche le idee più chiare su ciò che vogliamo dire e cosa vogliamo suonare. Con l’ingresso di Marco Cotellessa nella band, abbiamo dato un taglio con molta più elettronica dato che a lui piace molto farla, anche se è un chitarrista, è appassionato di Deadmau5 e Skrillex, ed essendo rockettari da sempre, ci siamo spostati verso il rock, dando meno peso al reggae, anche se dei richiami nei brani ci sono, soprattutto dub. Importante è anche il passaggio ai testi in italiano, questo perché abbiamo visto suonando in giro che i messaggi in inglese fanno fatica ad arrivare, su We Can Do It! ci sono testi bellissimi ma purtroppo durante i live vedevamo la gente più presa a ballare che ad ascoltare, con questo disco vorremmo che le cose si invertissero.

Quali sono gli artisti da cui vi fate maggiormente ispirare?
Sono tantissimi, diciamo che chi ascolta questo singolo sente molto tra Subsonica, 99 Posse, Almamegretta, Casino Royale e Africa Unite. Ce ne sarebbero altri, ma questi grandi nomi bastano per far capire la direzione.

Ci volete dare qualche anticipazione riguardo il prossimo album e cosa non mancherà sicuramente nella musica dei Mom Blaster?
Sicuramente sarà un disco che piacerà ad una fetta larga di ascoltatori, questo perché ci sarà un mix tra la bellissima voce di Monica che in italiano è ancora più calda e profonda, e la musica che spazierà dalla ballata indie pop al drum&bass, il tutto unito da un filo conduttore tipico mom blaster: il rock in levare. I testi racconteranno storie, anche abbastanza dure, fatti di vita di quest’epoca buia. Ci auguriamo che piaccia e che sia una proposta interessante “e diversa” nel panorama della musica indipendente italiana.

La vostra collaborazione con la Ridens Records continua già dall’uscita del precedente lavoro, cosa porta una band a voler avere un contratto discografico?
L’etichetta ci aiuta ad essere più stabili e a rimanere concentrati sul lavoro da farsi, che è veramente tanto. E’ un supporto che ogni gruppo dovrebbe avere anche come mezzo di confronto con persone che non sono dentro la band e che ti danno differenti punti di vista su ciò che può essere la produzione ma anche la promozione e la comunicazione del disco, non è roba da poco.

Vi lasciamo le ultime righe, libere, per qualsiasi messaggio vogliate mandare…
Più che un messaggio un consiglio: ogni tanto spegnete il cellulare, recatevi in un posto tranquillo, isolato e ricco di natura, mettevi le cuffie, chiudete gli occhi e fate partire la musica che più preferite, pensate a voi e chi amate, alle cose belle che vi sono capitate e che vi potranno capitare, dimenticate lo schifo che ogni giorno vi circonda, sarà un’ottima terapia. Provare per credere, parola di Mom Blaster!

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Smoke The Bees

Written by Interviste

Tra le pagine di Rockambula accogliamo i piemontesi Smoke The Bees che ci portano all’interno del loro debutto musicale del loro Garrincha. Un viaggio musicale che fonde diverse espressioni e influenze della scena alternative in una contaminata armonia di forte identità rock.

Ciao ragazzi, presentate i Smoke The Bees ai lettori di Rockambula a partire dalla curiosa scelta del nome.
Smoke The Bees è un progetto musicale alternative rock fondato a Torino da Lorenzo Rando nel 2011. Smoke The Bees si traduce con “affumicare le api”, un processo dell’apicoltura in cui l’apicoltore getta del fumo nell’alveare. Questo fumo confonde le api, mescolando gli odori e prevenendo la produzione del feromone che informa le api del pericolo causato da una persona esterna che si introduce nell’alveare. Qui si gioca la dicotomia tipicamente modernista di conformismo di massa vs alienazione individuale. Le api, infatti, smarrendosi, lasciano che la vita si prenda gioco di loro, proprio come noi. La nostra musica nasce da una naturale propensione a miscelare diverse espressioni della scena alternative in una contaminata armonia.
La line-up attuale è:
• Lorenzo Rando (chitarra, voce)
• Maze (basso)
• Samir Hadade (batteria)

Il vostro lavoro Garrincha si presenta abbastanza eterogeneo musicalmente. Dato che sono “solo” sei pezzi vi va di dirci una parola o anche un aggettivo per descriverli tutti?
I sei brani di Garrincha sono quasi una sfida al classico formato da EP, essendo a tutti gli effetti più vicini a un album. La sfida si sviluppa in modi e umori diversi nel corso del viaggio musicale che il disco propone; dai tempi dispari dell’orecchiabile “Yonder” al singolo radio-friendly “Garrincha”, il viaggio continua ambiziosamente verso una “Wrong” tutta orientata al groove di basso e batteria. “Chief Seattle”, figura storica di un passato infelice della colonizzazione nord-americana, e “The Mule”, un’antica favola di Esopo, sono un apprezzato cambio di passo che sfocia poi nell’atmosfera scura e sinistra del finale “Murder Song”.

Esiste un filo rosso che unisce i vari brani?
La creazione di Garrincha EP è stata naturale e organica così come la relazione dei suoi musicisti. È un lavoro arrivato come una necessità di lasciare un “segno” musicalmente e artisticamente in una forma che non fosse quella eterea e sfuggente di un gruppo emergente.

Il nome Garrincha è un tributo all’omonimo calciatore brasiliano che dopo tanto successo avuto nel mondo del calcio per il titolo di miglior dribblatore decide di condurre una vita di eccessi per poi farla finita. Come mai vi siete ispirati a questo personaggio?
Seguiamo il calcio, anche se non ci consideriamo particolarmente ossessionati. Insomma, se dobbiamo scegliere se suonare o vedere una partita suoniamo, per capirci. Abbiamo scelto questo pezzo per far conoscere la storia di questo affascinante personaggio che spesso passa in sordina ai più in favore di nomi più blasonati. Rientra nelle scelte poetiche dei testi che spesso approfondiscono storie di persone, luoghi e situazioni curiose e singolari.

L’intento è quello di riuscire a riproporre fedelmente quello che si sente su disco nei live, secondo voi qual è il segreto per raggiungere questo stato di equilibrio?
Gli strumenti suonati sono esclusivamente chitarra elettrica, basso e batteria, con l’obiettivo di rendere il disco il più vicino possibile alle performance live. Garrincha EP mostra, secondo noi, scelte musicali eclettiche pur mantenendo una coesione artistica e musicale del tutto, che conferisce un sound distinto e piacevole. È una netta dichiarazione di intenti da parte nostra che fungerà senz’altro da promessa a nuove idee musicali che nel breve termine daranno vita al nostro primo album originale.

Progetti futuri, c’è in mente l’uscita di un nuovo videoclip o già lavorate al nuovo album?
Stiamo valutando la possibilità di realizzare un nuovo videoclip. Il feedback dei nostri fan è fondamentale per noi,. Cogliamo quindi l’occasione per chiedere ai nuovi ascoltatori quale sarebbe il pezzo di cui vorrebbero vedere un prossimo video! Nel frattempo continuiamo come assiduità la fase compositiva. Buona parte del nuovo album è infatti già stata scritta. Siamo molto ottimisti in virtù di una crescente intesa musicale e maturità compositiva, e coglieremo i prossimi appuntamenti live per presentare ai nostri ascoltatori dei nuovi brani in anteprima.

Visto che ci siete, nel salutare, volete ricordare qualche appuntamento live in particolare?
Molto volentieri! I concerti in programma sono venerdì 12 giugno in occasione della Festa della Musica, in cui suoneremo un set acustico per le vie storiche del Quadrilatero Romano di Torino. Il giorno seguente, sabato 13 giugno, suoneremo presso il negozio Pepe Jeans in via Lagrange, strada commerciale nel centro di Torino. Il concerto sarà in una location insolita, in “vetrina” dello stesso negozio. Sarà un’occasione per presentare il disco e interagire con una nuova audience. Giorno 21 giugno suoneremo invece un doppio concerto in Francia, a Nizza nella piazza centrale della città in occasione della Fête de la Musique, che in Francia sentono tantissimo come opportunità di festa e condivisione. Concludiamo con un live set completo il 9 luglio al Caffè del Progresso, a Torino.

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Luca Lastilla

Written by Interviste

E’ reduce dall’uscita del nuovo singolo “L’Equazione Di Dirac” un omaggio a una delle formule matematiche più intriganti e discusse di tutti i tempi e, immancabilmente, all’amore. Parliamo dell’artista fiorentino Luca Lastilla, che nell’intervista di seguito ci racconta della sua musica e non solo.

Ciao Luca presenta il tuo progetto ai nostri lettori!
Ciao a tutti! Io scrivo canzoni da sempre con l’unico scopo di emozionare chi mi ascolta! In più credo che sia l’unico modo per me per comunicare!

E’ appena uscito il tuo singolo “L’Equazione di Dirac”, musicalmente parlando come è nato questo pezzo?
E’ una canzone unica nel suo genere … è liberamente ispirata ad una equazione fisica di Dirac  appunto, premio Nobel per la fisica nel 1933… riassumendo questa equazione dice che due sistemi che si “frequentano “ per un po’ di tempo e poi vengono separati in qualche modo continueranno l’uno ad influenzare l ‘altro; io ne ho fatto una canzone pensando al mio pubblico… siamo stati distanti per un po’ dall’ultimo mio lavoro eppure non ci siamo mai lasciati, hanno continuano ad influenzare la mia vita ed io spero di aver fatto lo stesso per loro con la mia musica. Questo singolo, sicuramente rock nell’anima (per questo vi invito a venire a sentirlo dal vivo!) alla fine è una sfida che dura meno di 3 minuti per arrivare direttamente al cuore di chi mi ascolta. Ora tocca a voi farmi sentire la forza che avete dentro, io ci ho messo tutto me stesso come sempre!

La tematica affrontata in questo tuo singolo è l’amore, perchè per te è importante parlare d’amore attraverso la musica?
Credo che l’amore sia l’unica salvezza che abbiamo per cambiare le sorti di questo mondo malato!

Qualche indiscrezione sul nuovo album? Di cosa ci parlerai e soprattutto, il sound che ci dovremo aspettare sarà sempre lo stesso del precedente Cercando del 2012?
Posso solo dire che ci sto lavorando duramente e che sarà anche questo molto particolare…

Qual è il segreto di un’artista per arrivare alle persone?
Sicuramente partecipare ai talent show! Polemica a parte … se resti te stesso a qualcuno arrivi! non piacerai a tutti ma almeno sei vero!

Come vedi la scena musicale italiana per un’artista come al tuo?
Parecchio triste ahime’! I motivi sono molteplici… ne cito uno dei tanti… in tempi di crisi come questo comprare un cd diventa superfluo e allora visto che non ci sono controlli me lo scarico illegalmente e sono a posto! Questo uccide la musica no?

Passiamo alla dimensione live, come si prepara Luca Lastilla per una sua serata e qual è la parte migliore di un tuo concerto?
Provando fino allo spasmo! Per quanto mi riguarda le parte migliori dei miei spettacoli sono due… le ore che precedono la serata dove si vivono emozioni indescrivibili dall’arrivo alla location fino al sound check e poi quando presento i miei grandi musicisti; ogni volta è per me una grandissima emozione; poi durante il live capita sempre che la gente si appassiona ad una canzone alla quale magari non avevo dato importanza nella stesura della scaletta e questa cosa poi rende imprevedibile ogni concerto! Ma comunque poi è in generale il confronto con il pubblico che mi affascina; alla fine dello spettacolo mi fermo sempre con i presenti per carpire a caldo le impressioni…e finora sono sempre state positive!

Lasciamo a te le ultime righe per salutare i nostri lettori.
Io vi saluto e ringrazio per questa “chiacchierata” e invito i lettori ad approfondire la conoscenza di questo piccolo “canta storie d’amore” perchè sono convinto che in fondo abbiamo tante cose in comune… abbattiamo le barriere della diffidenza! Io ci credo e tu? un abbraccio virtuale ma fortissimo a tutti!

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Cadaveria

Written by Interviste

L’oscura signora torna su Rockambula. E’ lei, Cadaveria, una vera e propria icona del Metal estremo tricolore. Con grande onore abbiamo il piacere di ospitarla ancora una volta sulle nostre pagine. Dovete solo gustarvi questa interessantissima intervista che nasconde delle chicche non indifferenti.

Ciao Cadaveria e bentornata su Rockambula. Direi di cominciare l’intervista parlando del sound di Silence, che pare non sia più eccessivamente aggressivo come gli inizi ma abbia trovato un certo equilibrio tra diversi elementi, quali riff, assoli ed atmosfere. Ma precisamente quale era la tua prima idea di comporre il disco e sei riuscita nell’ intento a parer tuo?
Non c’era un’idea precisa, o meglio non ce n’era solo una. Testi e musica sono stati concepiti separatamente. Fin da subito il mio intento è stato quello di rendere al meglio le atmosfere e i significato dei testi, così come l’idea di Dick Laurent, autore dei riff, era quella di tradurre in musica i suoi istinti e i suoi incubi. La volontà unanime era di migliorarci, di creare delle canzoni e non solo un susseguirsi di riff, di osare, senza tradire la nostra natura. L’equilibrio di cui parli è probabilmente il risultato di un lavoro accurato svolto sia in fase creativa che di produzione. Abbiamo cercato di miscelare al meglio testi e musica e abbiamo dedicato molta attenzione alla costruzione della struttura dei brani, creando in alcuni casi qualcosa di più ordinato ed orecchiabile con dei veri e propri ritornelli. La pre-produzione ci ha permesso di valutare fin da subito l’economia dei pezzi, che abbiamo man mano migliorato con tagli, aggiunte, cambi di tonalità, arrangiamenti, volti a dare forma ad un prodotto armonioso. In fase di registrazione abbiamo scelto un sound un po’ vintage, che fa suonare l’album fresco e schietto, e abbiamo curato moltissimo il mixaggio. In effetti siamo molto soddisfatti perché ogni strumento o sovra incisione è perfettamente percepibile e altrettanto ben amalgamata.

Quali sono le tematiche che tocchi nel disco e c’è qualche argomento a cui tieni particolarmente?
Per Silence ho pescato molto dalla mia memoria, dal presente e dal passato remoto. Protagonisti sono i miei sentimenti, i miei pensieri, riflessioni su temi quali l’esistenza, la morte, il destino beffardo, l’uso che facciamo del tempo in questa vita. Sono particolarmente legata al brano “Death Again”, che ho scritto in ricordo di un mio amico, morto improvvisamente due anni fa.

Paragonando The Shadow’s Madame con Silence: quali sono le principali differenze?
Ci sono tante differenze dovute principalmente al fatto che sono passati dodici anni tra il primo e il quinto album, e in questi anni siamo cresciuti come musicisti e come persone. Non mi guardo mai indietro, quindi per me è difficile fare un paragone dettagliato. Quello che ero allora non sono più, ma allo stesso tempo sono la stessa persona perché ho conservato i valori che avevo, che anzi sono diventati più forti. Allo stesso modo Silence è un’altra cosa da The Shadows’ Madame, però l’anima è la stessa. E’ come se con Far Away From Conformity, In Your Blood e Horror Metal avessimo sfogato in musica le varie declinazioni della creatura CADAVERIA. Con Silence abbiamo chiuso il cerchio, raggiunto un punto fermo che però è anche il punto di inizio per il futuro.

Ho trovato molto interessante anche l’artwork e la scelta dei colori. Perchè quel giullare? E di chi è la creazione?
Ho sempre vissuto la dimensione del circo e dei luna park con una certa apprensione, tristezza, nostalgia. Questi sapori si respirano nella grafica di Silence. Il giullare è colui che sa ma non rivela e invita al silenzio, alla meditazione e all’ascolto, è il destino che si prende gioco di noi cambiandoci le carte in tavola continuamente durante la vita. Ho sviluppato l’idea iniziale del giullare e del circo/luna park e ho chiesto a Christian Melfa, artista genovese che ho conosciuto attraverso internet e subito apprezzato, di realizzarla. Nonostante l’artwork sembri un disegno, in verità siamo partiti da una foto reale, comprando il costume, realizzando la maschera etc. E’ tutto molto inquietante e ci piace!

Delle fasi di registrazione e di missaggio cosa ci racconti? Dove, come e con chi si sono svolte?
Abbiamo suddiviso le registrazioni tra Piemonte, Liguria e Sardegna, che sono le regioni di appartenenza dei componenti della band. Questo ha permesso ad ognuno di noi di curare agevolmente le registrazioni del proprio strumento. Non abbiamo coinvolto nessun produttore esterno: da sempre ci facciamo i dischi da soli, grazie all’esperienza maturata negli anni e al fatto che abbiamo studi di nostra proprietà. Dick Laurent ed io abbiamo curato il missaggio, Killer Bob il mastering, insomma Silence è un album CADAVERIA al 100%.

Durante i tuoi tour avrai sicuramente avuto modo di conoscere qualche band emergente, c’è qualcuna che ti ha colpita in questo ultimo periodo?
Purtroppo quando suoni per ultimo ad un concerto sei in camerino a prepararti mentre gli altri suonano e non hai modo di apprezzare eventuali nuovi talenti. Anzi devo dirti che dal camerino suona sempre tutto un gran casino, quindi mi spiace non riesco a farti nessun nome.

Per la creazione di Silence sei stata anche influenzata da qualche tipo di sound o genere musicale che ultimamente hai ascoltato?
Silence e la musica dei CADAVERIA in generale abbraccia molti generi, perché diversi sono i gusti e il background musicale di noi cinque. Personalmente sono amante delle cose complicate e ben fatte (Tool per intenderci). Ultimamente mi sono avvicinata allo Stoner e da sempre amo il Doom.

Sei a lavoro per qualche video? Come vi state muovendo?
E’ in cantiere il video clip di “Strangled Idols”, ultimo brano in scaletta di Silence. Abbiamo già girato l’80% delle immagini, ma ultimamente ho avuto un ripensamento dovuto alla natura di alcune scene, che sono iconoclasticamente un po’ troppo forti e potrebbero crearci dei problemi. Vedremo di mitigarle con altro materiale ancora da girare in marzo, dopodiché passeremo al montaggio. Sta diventando una produzione un po’ lunga, ma del resto vogliamo riflettere bene sul da farsi e comunque in questi mesi tra interviste ed organizzazione di live siamo stati presi da altre cose e solo dopo il festival in Russia, che si terrà l’8 marzo, riusciremo a rimetterci mano.

Per quanto riguarda il tour cosa ci dici, dove suonerai nei prossimi giorni? Stai ricevendo anche qualche proposta per festival estivi?
Guarda i festival estivi sono blindatissimi, le line up vengono decise un anno prima e sinceramente mi sono rotta di bussare a porte che non si apriranno mai (a meno che non paghi!). Andiamo fortissimo in Messico e lì torneremo in aprile. Sempre in aprile faremo date in Italia a cominciare dal 10: toccheremo Brescia, Busto Arsizio, Genova e Torino. Altre arriveranno più avanti, spero anche in centro e sud Italia. Abbiamo stretto una partnership con la tedesca Agentum EAM per vedere di smuovere qualcosa anche nel resto d’Europa. Vediamo che succede.

Bene Cadaveria, l’ intervista si chiude qui. Concludi a tuo piacere…
Grazie Vincenzo per questo spazio dedicato ai CADAVERIA. Saluto tutti i lettori e li invito all’ascolto di Silence nonché a raggiungerci nei locali in cui suoneremo per godere un po’ di sano horror metal! Le date le trovate qui: http://www.cadaveria.com/web/tour/

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La Scimmia

Written by Interviste

Silvio “Don” Pizzica ha incontrato Lorenzo Faustini, la mente dietro al progetto capitolino La Scimmia. Alla scoperta di un modo di concepire il fare musica, autenticamente antico ma avanguardistico nel suo recupero della totale libertà espressiva.

Ciao Lorenzo. Tu sei voce e parole dietro al progetto Indie cantautorale La Scimmia. Nella realtà dei fatti la tua è una band, un progetto aperto o cos’altro?

È un continuo divenire. Cago canzoni come se fosse un bisogno fisiologico; chi mi sta vicino suona con me.

Perchè La Scimmia? Perchè questo nome? Cosa nasconde e cosa vorrebbe evocare?

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La Scimmia è una brace d’estate, carne con l’osso e vino rosso, chi più ne ha più ne dia; è un elogio alla terra e una bestemmia contro un Dio alieno spazzino.

Da quale esigenza nasce la tua voglia di fare musica? Cosa puoi aggiungere al panorama indipendente italiano?

Non voglio aggiungere nulla. Mi trovo a far musica ridotta all’osso, senza campionamenti e scopiazzatura. Sono quello che hai visto, mi sento di rischiare ma non mi va di mentire; mi piacerebbe che l’indi andasse verso l’essenziale senza cercare di scimmiottare la musica pop commerciale delle major. In questo mi sento di aggiungere qualcosa. Togliendo; forse.

Ho visto qualcosa difficile da inquadrare. Minimale come dici tu ma comunque pieno di sé. Come descriveresti la tua musica e un tuo spettacolo senza usare etichette?

Un buon connubio tra fumo e arrosto; ha il sapore delle canzoni suonicchiate dai nostri padri in vacanza in Grecia.

Bella definizione. Ascoltandoti mi è sembrato di notare una certa attenzione ai testi e ad un atteggiamento sarcastico e irriverente. Non credi però che in Italia si dia poca importanza alla musica, nella sua parte strumentale?

Si. Ascolto prettamente musica italiana quindi non saprei dirti. Chi ha curiosità vince sempre.

Torniamo al discorso su major e musica “commerciale”. Ormai le differenze stilistiche tra Indie Pop e musica leggera sono minime. Stanno cambiando i gusti del pubblico “alternativo” o il tutto è da ricercarsi in precise scelte di mercato volte a coprire diverse fette di fruitori con il minimo sforzo e con prodotti simili?

Maledizione spero di no. Ascolto musica che mi da emozione e quasi sicuramente rime semplici come cuore/amore non mi interessano; devo poter ascoltare Franco Califano come gli Antony Laszlo, ma la cosa fondamentale è che quello che hanno da dire non sia costruito per arrivare. La mia canzone nasce e muore in un ora, 4 sigarette, e mezzo vino. Nuda e cruda è l’esigenza di un momento, quasi uno spasmo non controllato dei muscoli; quindi non faccio distinzione tra commerciale e non commerciale se non è passione è solo merda.

Domanda difficile. O almeno ci provo. Perché qualcuno dovrebbe ascoltare La Scimmia?

La Scimmia è un esistenza romana in zona Divino Amore. È una storia raccontata al bar mentre si sfidano i vecchi a tresette. Si può ascoltare come no.

Torniamo alla musica italiana, tua vera passione. Qual è l’ultimo vero talento in musica spuntato nel nostro paese?

Gli Antony Laszlo etichettati Inri. Mi è piaciuto anche l’album Ecce Homo di Andrea Laszlo de Simone che fa parte del duo ma gli Antony Laszlo sono decisamente più fruibili. Iosonouncane è la scoperta dell’acqua calda ma con Die è in leggero calo. Il Capra (ex Gazebo Penguins); John de Leo con Grande Abarasse ha toccato vette cosmiche. Me ne piacciono tanti.

Parliamo della tua polemica con Borghese. Hai criticato con durezza un suo brano e a lui non sono piaciuti i tuoi toni. Pensi sia impossibile essere sinceri e senza ipocrisia tra “colleghi” o il problema sta solo nelle modalità della critica? Il limite tra “fascismo”, come l’ha chiamato lui, e libertà d’opinione è tutto nel rispetto e nella forma?

La libertà non è star sopra un albero, non è nemmeno il volo di un moscone che parla d’amore. La libertà è partecipazione. Non lo dico solo io; non conosco altri modi che l’estrema schiettezza e l’impulso. Non sarei La Scimmia

E allora ci provo. Dimmi un artista indipendente tuo connazionale che non riesci a tollerare?

La domanda è semplice. Non tollero nessuno al di fuori del Capra, Iosonouncane, Antony Laszlo, e John De Leo.

Torniamo a La Scimmia. Avete obiettivi precisi a breve e lungo termine? Cosa state preparando e dove credete di poter arrivare?

Non credo di realizzare mai un cd. Non ho bisogno di sentirmi raccolto. La Scimmia sarà sempre un continuo fruire. Un torrentello che si perde nel bosco. Magari andiamo a San Remo.

Ultima domanda secca. Più stupidi i Nobraino o il popolo degli hater a tutti i costi? o magari Roy Paci?

I Nobraino non erano malaccio e non so chi siano gli hater; intuisco odiatori. Roy Paci lo andai a sentire una dozzina di anni fa al Villaggio Globale a Testaccio. Non si esibi perchè non lo aggradava l’audio; così è stato. Non me ne vogliano i Nobraino e mi baci il culo Roy Paci

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?Alos

Written by Interviste

Per Rockambula è il disco del mese di Aprile, ed è decisamente carico di dolore, Matrice. Di quel dolore che si prova appena prima di sentire una nuova vita scorrere nelle vene. Abbiamo fatto qualche domanda ad ?Alos (Stefania Pedretti) in merito al suo ultimo lavoro. Buona lettura.

Ciao Stefania come stai?

Benissimo, sono appena tornata dal mio tour europeo che è stato bellissimo

Matrice è il tuo ultimo progetto da solista. Parlaci degli aspetti di questo disco per te fondamentali.

In Matrice ho voluto convogliare una serie di ricerche, sia sonore che filosofiche, che da alcuni anni sto curando. Diciamo che musicalmente ho voluto addentrarmi maggiormente nel lato oscuro e sanguigno della mia musica, aiutandomi in questo disco con suoni ancora più ricercati e distorti per la chitarra, introducendo l’elettronica e ampliando la gamma dei miei timbri vocali. Per il lato filosofico, Matrice ruota attorno al tema del doppio, del Chaos e di come in realtà tutto è connesso e fluido.

Il titolo dell’album evoca una nuova genesi. Va inteso dunque come un disco di rinascita?

Di rinascita non direi, il disco precedente di chiamava Era questo Matrice direi che è una pietra aggiuntiva in un percorso già intrapreso, che vuole andare avanti.

Un brano porta il titolo Luce/Tenebre. Cosa è per te la luce e cosa sono le tenebre?

Per me sono la stessa cosa, si crede che siano degli opposti e spesso in contrapposizione, ma per me sono interconnesse. Non vedo in una il bene e nell’altra il male; bene e male come anche buono e cattivo sono termini che trovo assurdi perché troppo soggettivi.

In Matrice collabori con Mai Mai Mai, Necro Deathmort e Giovanni Todisco. Quali altre collaborazioni ti piacerebbe affrontare in futuro?

Mi sto già guardando intorno per scoprire nuovi stimoli e trovare nuove collaborazioni, ma attualmente non saprei dirti dei nomi.

Spesso affronti sonorità “estreme”. Nel corso della tua carriera hai dovuto affrontare delle forme di pregiudizio nei confronti della tua musica?

Grazie per questa domanda, che non mi è mai stata posta. Purtroppo si, mi è capitato e continua a capitarmi, pregiudizi o incomprensioni di varie forme ed origini sia per quanto riguarda i miei dischi che i live. Riesco fortunatamente a non farmi intaccare da questa superficialità, trasformandola in uno stimolo per continuare a fare quel che faccio ed abbattere ogni pregiudizio.

Leggo dalla tua biografia che hai vissuto per un periodo a Berlino. Dal punto di vista musicale, quali sono le cose che Berlino ti ha dato, e che in Italia non avresti trovato mai?

Vivere in quella stupenda città è stata un esperienza di vita e di crescita personale e professionale. Ho potuto approfondire collaborazioni come ad esempio quella con i Nadja, di origini canadesi ma che vivono a Berlino, e registrare il mio disco Yomi nello studio degli Einstürzende Neubauten con il loro fonico. D’altra parte Berlino non mi ha dato qualcosa che non avrei trovato in Italia, non sono andata a Berlino alla ricerca di qualcosa che mi mancava, l’Italia mi ha dato e continua a darmi molto di più di Berlino.

Stessa domanda di sopra, al contrario. Musicalmente parlando, c’è qualcosa che un Paese straniero non potrebbe darti mai?

Non so risponderti a questa domanda, non sono incline ai confronti e contrapposizioni e Matrice ne è la prova. Io trovo il meglio da entrambe le parti, le mischio insieme e mi godo il risultato. Ora vivo in Italia, ho vissuto in varie parti d’Italia, ho vissuto all’estero, viaggio tantissimo e tutto questo mi arricchisce e mi aiuta nella creazione e realizzazione della mia musica e della mia vita.

Grazie mille Stefania, vorresti dire ancora qualcosa ai lettori di Rockambula? Spazio di libera espressione.

Non abbiate paura dell’oscuro, del Chaos, dell’inconscio e di tutte quelle realtà o forze che ci insegnano a vedere come qualcosa di malefico, sono anche esse parte del tutto e fanno parte di noi.

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Winona

Written by Interviste

Vi presentiamo i Winona, band carpigiana dalle influenze Alternative/Rock-Emo. Non preoccupatevi se dopo la lettura dell’intervista vi ritroverete con le farfalle nello stomaco; perchè il nuovo album dei Winona, Fulmine, è nato proprio per questo. Il full-lenght di debutto della band disponibile dal 14 marzo ha come intento quello di rilasciare un’energia improvvisa, un cambiamento rapido e irreversibile. Perciò, lasciatevi catturare da questa lettura con in sottofondo l’ascolto in streaming dell’intero album:

Ciao ragazzi benvenuti sulle pagine di Rockambula. Presentatevi ai nostri lettori che ancora non vi conoscono.
Ciao a tutti ragazzi e ragazze, noi siamo i Winona ma anche Mors alla chitarra e alla gola, Frank ai fustini del Dash e Marco al basso, nonostante sfiori i due metri. Siamo anche pessimi con le definizioni: il nostro sound mescola influenze di alt rock italiano, garage e emo di metà anni ’90. Suoniamo insieme da tanto (aprile 2009) ma siamo amici da ancora di più, essendoci conosciuti in piena esplosione puberale tra i banchi di scuola. Dopo un paio di anni in sala prove, abbiamo registrato e autoprodotto un ep, Letargo, che nonostante non sia stato promosso o pubblicizzato in alcun modo ci ha concesso, zitti zitti, di suonare con band come Tre Allegri Ragazzi Morti, Fast Animals and Slow Kids e tanti altri, oltre che a gironzolare qua e là per tutto il nord Italia.mNel 2014 abbiamo iniziato a lavorare, in co-produzione col producer e compositore Federico Truzzi al nostro primo full lenght, Fulmine, uscito per Seahorse Recordings il 16 marzo di quest’anno.

Come è andato il release party al Mattatoio del 14 marzo? O meglio come è stato portare sul palco il vostro lavoro?
Assolutamente una gran bella festa. E’ stato meraviglioso vedere riuniti nello stesso posto amici di vecchia data, conoscenze più recenti fatte sui palchi emiliani, tante persone incontrate durante questo lungo viaggio con i Winona, tutti a cantare con te i brani che già conoscono ed entusiasmarsi per quelli non ancora sentiti. Un grande senso di unità, di affetto, di calore: un modo per voltarsi indietro e ringraziare profondamente tutti quelli che ci hanno aiutato e sostenuto fino ad ora per trovare lo slancio, ora, di guardare avanti, di gettarsi nel mondo, o almeno speriamo. In tutti questi anni, il mattatoio è stato una culla per noi, sia come musicisti sia come persone: è dove andiamo a bere una birra, dove stiamo insieme, dove facciamo festa, ma è anche il posto che ci ha forgiato come ascoltatori. Il palco dove andavamo a sentire quella musica indipendente – ma indipendente sul serio, mica cazzi – che ha contribuito alla formazione della nostra coscienza di musicisti.mEssere parte di questo anche dall’altra parte è stato assolutamente magico.

Il singolo che apre le danze e che avete voluto presentare per primo è Lazzaro, come mai la scelta è ricaduta su questo pezzo?
Frank dice sempre che Lazzaro è il brano più rappresentativo dei Winona, e per alcuni versi non posso che dargli ragione. Di certo, è la miglior realizzazione del sound che cercavamo mentre muovevamo i primi passi in quello che sarebbe diventato Fulmine, quello che più si avvicina a quello che avevamo in mente quando abbiamo cominciato a lavorarci su: per questo lo abbiamo scelto, perché sarebbe stato secondo noi un ottimo biglietto da visita per le intenzioni dell’album. Poi il disco ha preso anche strade diverse, e di questo non posso che essere orgoglioso. Mi piace pensare che questo non sia il miglior brano del disco in senso assoluto, anzi ancora che non ci sia un miglior brano: vogliamo giocare con colori e atmosfere, portarti prima in un posto poi in un altro, farti fare un viaggio. E un bel viaggio è fatto anche di panorami diversi.

Ascoltando il vostro disco c’è un costante utilizzo di metafore, c’è un messaggio in particolare che volete mandare a chi vi ascolta o appunto questo linguaggio non esplicito è utilizzato appositamente per poter dare diverse interpretazioni del pezzo?
Credo che le cose coesistano nell’insieme dei testi: ci sono brani più espliciti, dove l’espressione diretta e la necessità di comunicare prevalgono su ogni cosa; certe canzoni proprio non possono lasciare spazio ad ambiguità o fraintendimenti, bisogna prendere una posizione e avere il coraggio di farlo chiaramente. In altri momenti, invece, privilegiamo immagini dall’interpretazione più ampia: a volte è un po’ di pudore a giustificare la scelta, a volte proprio il desiderio (segreto) di essere fraintesi, magari aprire una discussione su cosa cercavamo di dire. Mi rendo conto che questo contraddice le canzoni esplicite, ma credo anche che ci sia spazio per entrambe le tendenze: anche spingere gli ascoltatori a discutere sull’interpretazione è un modo per far riflettere, forse più efficace che imporre un punto di vista univoco.

Dalla vostra formazione allo stato attuale come sono maturati i Winona musicalmente? Avete seguito sempre la stessa linea?
Sì, nel senso che il nostro è stato un processo lineare, senza svolte brusche, ma in evoluzione costante e continua. Chi ha potuto ascoltare i brani di Letargo se ne sarà di sicuro accorto: il nostro sound è cresciuto nel tempo, si è inspessito, ha preso energia nel corso dei due anni in cui abbiamo portato in giro quei brani. Riguardando qualche video – o qualche registrazione in presa diretta – dei primi concerti di quel disco non ha niente a che vedere col modo in cui continuavamo a suonarli nel periodo in cui stavamo lavorando a Fulmine. Ogni volta che ci trovavamo a suonare si imponevano modifiche e correzioni, e quelle stesse poi incidevano anche sulla produzione dei brani che stavano scrivendo e registrando in quel periodo. Un bel circolo virtuoso.

Concludiamo lasciando a voi le ultime righe per salutare i nostri lettori e capire quali sono i vostri prossimi passi.
Di certo portare in giro questo disco il più possibile! Nonostante questo, il processo creativo non si ferma. Non è che puoi decidere quando scrivere musica e quando no, o perlomeno io proprio non ce la faccio. Mi siedo sul letto a studiare il mio strumento, ripasso qualche arpeggio e via, le dita partono per la loro. Ogni tanto mi dico: “Questa roba non è niente male”. Spero solo di riuscire a gestire questa doppia necessità … che altro aggiungere?! Ciao a tutti e speriamo di risentirci (e farci risentire) il più presto possibile.

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