Interviste

Siren

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The Row è il primo album in studio della rock band italiana Siren, pubblicato dalla Red Cat Records, registrato allo Studio Waves di Paolo Rossi (Pesaro) e prodotto, scritto, arrangiato e composto dal gruppo stesso. Attraverso queste righe è possibile conoscere un po’ di più l’essenza di questo lavoro ma consigliamo vivamente l’ascolto in quanto l’eterogeneità degli strumenti come anche delle tematiche è difficile da riuscire ad esprimere a parole. Buona lettura…

Ciao ragazzi, benvenuti su Rockambula.
Ciao a tutti.

Partiamo dagli inizi dei Siren, come è nato il vostro progetto?
L’idea è stata mia (Jack). Avevo collaborato a diversi progetti musicali con gli altri (sempre separatamente) già dal 2002 (in pratica dalle prime strimpellate..) ma solo nel 2012 è nata la band in questa formazione. Io e Samuel siamo praticamente cresciuti assieme mentre con Mark e Marcus ho frequentato le superiori quindi conoscevo bene tutti, sia personalmente che musicalmente. Sapevo che insieme sarebbe stata una “figata”. L’idea di mettere su questa squadra mi solleticava già da molto tempo e quando, a Settembre del 2012, rividi, dopo cinque anni, Sam e gli proposi di formarla, lui accettò. Contattai quindi Mark e Marcus che in quel momento erano impegnati in altri due importanti progetti. All’inizio furono, comprensibilmente, un po’ riluttanti ma riuscimmo comunque ad organizzare una prova nel gennaio 2013. Dopo un paio di incontri in sala cambiò tutto, le idee erano ben chiare: i primi brani proposti ci suonavano bene, fu amore a prima vista…

Gli obiettivi che vi siete posti sono stati raggiunti con il vostro album The Row?
E’ ovvio che trattandosi di un primo album, uscito da poco, ed essendo da appena un mese iniziata la collaborazione con il nostro ufficio stampa, è ancora difficile pretendere di vedere chissà quali risultati e tirare delle somme anche se i feedback finora sono stati estremamente positivi. Abbiamo grandi ambizioni e ci siamo posti un traguardo molto importante. Siamo molto soddisfatti del lavoro che abbiamo svolto in questo album, poiché siamo riusciti a creare esattamente ciò che volevamo.

Con il vostro album il messaggio che lanciate è quello di uscire ogni tanto dalla fila, di compiere il gesto “sbagliato” per questa società. Ricordate qualche episodio fuori dalle righe dei Siren?
No comment… Diciamo che usciamo un po’ troppo spesso dalla fila (risate).

Dal punto di vista musicale, quali sono gli artisti da cui vi fate maggiormente influenzare? Ce n’è uno che accomuna tutti i componenti?
Siamo quattro artisti differenti che arrivano da quattro diverse correnti del rock e adorano e ascoltano musica di qualunque genere. Ecco forse spiegato il motivo per cui è difficile, almeno secondo la critica, classificarci. Comunque ci sentiamo di citare gruppi come: Queens of the Stone Age, Foo Fighters e Muse, ma anche Nirvana, System of a Down e Rammstein i quali, anche se più distanti da noi a livello di sound, ci hanno musicalmente cresciuto.

Come nasce un pezzo dei Siren, prima i testi o la musica?
Non c’è un modo preciso in cui nascono i pezzi: si parte da un’idea, da un riff o da una linea vocale, che viene poi sviluppata da tutta la band. Samo “democratica” e come in ogni democrazia litighiamo molto. I testi, ad ogni modo, sono sempre l’ultima cosa che sviluppiamo di un brano.

L’idea d’inserire strumenti come il violoncello e tastiere è nata subito o avete pensato dopo di dare quel tocco in più?
Abbiamo sempre pensato di integrare strumenti non propriamente rock al nostro sound e, nello specifico, già dal concepimento iniziale di un pezzo ci rendiamo conto se questo si presta all’utilizzo di un violino piuttosto che di una tromba o di un synth. Anche tutti insieme ad esempio. Non ci piace limitarci solo perché secondo i canoni comuni nel nostro genere non dovrebbero esserci determinate sonorità; se una cosa ci sembra possa suonare, noi la proviamo, con dei simulatori, e se ci piace… è fatta!

Abbiamo concluso e lasciamo a voi le ultime righe magari anche per riferire ai nostri lettori i prossimi appuntamenti live della band. (se non sono presenti eventi live al momento della stesura delle risposte, scrivete quello che volete, contatti, dove è possibile acquistare l’album).
Per ora abbiamo quattro date fissate nel prossimo mese una a Teramo al “45 giri”, due nel fanese “FFF 2015” e “Happy Days Cafè” e un’altra a Cesena al “Vidia Club”. Per tutte le news potete trovarci su Facebook https://www.facebook.com/pages/SIREN/725372717482826, su Twitter come TheSirenRock, Instagram come SirenOfficial, sul nostro canale youtube https://www.youtube.com/channel/UCweAMWdJgRS1X5QaQvspfNg e ovviamente nel nostro sito www.siren.rocks. Per contattarci: siren.trb@gmail.com Ciao a tutti, è stato un vero piacere fare questa chiacchierata. Stay Rock!

 

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Moonerkey

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Con un anno di ritardo (parlando solamente del titolo) raccontiamo il futuro. Il concetto del continuo in un disco di bel Pop Rock italiano, l’esordio cantautorale che si fa conoscere con lo pseudonimo di Moonerkey. Equilibri sottili e quel senso liquido del tempo che passa… ed è necessario fermarsi in una fotografia. In rete il video del singolo di lancio dal titolo “La Pelle”. L’intervista per Rockambula:

Moonerkey. Iniziamo proprio da questo nome. Da dove prende origine?
Il nome letteralmente significa “la chiave di colui che vaga distrattamente, che guarda per aria”, insomma di una persona che si perde nei suoi pensieri, quale può essere una persona che compone musica. Per chiave si intende la chiave di lettura del mondo, lo sguardo sulle cose, la loro interpretazione.

Pop Rock, per dirla in breve, ma già dal primo ascolto c’è molto altro. Quanto e cosa hai rapito dall’Italia e cosa invece dal resto del mondo?
Dall’Italia ho tratto la rabbia, le delusioni, le speranze, le gioie della vita di tutti i giorni ed i ricordi. Dal resto del mondo la curiosità per i diversi approcci alla vita e certamente alla musica. In termini di riferimenti musicali per fare solo qualche nome, posso dire che in Italia sono un grande estimatore degli Afterhours ed in particolare della scrittura di Manuel Agnelli; inoltre mi sento certamente influenzato dalle suggestioni dei CSI. Fuori dell’Italia i Pearl Jam hanno un ruolo importante, così come la poesia urbana di Mark Lanegan o quella di Hugo Race.

Il primo singolo e video “La Pelle”. L’immaginario di una ballerina, il cambiare pelle, il rumore di fondo che sta cambiando. Come si legano assieme questi elementi?
La ballerina all’inizio ha gli occhi rigati di pianto e si spoglia dei vestiti di scena, abbandona la sua pelle, per conquistare una dimensione più propria, per appartenersi; alla fine del ballo infatti ha il volto pulito, sereno. E’ l’immagine di una rinascita, della straordinaria sensazione di avere ancora una volta energia e voglia di inseguire ciò che si vuole davvero. Ciò che tutti noi possiamo provare quando avvertiamo che nel profondo qualcosa si muove (il rumore di sottofondo che cambia) e decidiamo di non ignorarlo.

Mi ha colpito il brano “Il Tempo della Volgarità” dove mi è parso di scorgere una certa Italia anni ’60/‘70, almeno nella costruzione melodica. Sbaglio?
Sinceramente non l’ho scritto pensando a quelle atmosfere, almeno coscientemente. Ad ogni modo, la melodia fu scritta di getto, in una condizione di emozioni debordanti, dato che proprio in quei giorni si consumava la fine di una storia d’amore di cui parla il testo.

Bellissima l’ultima traccia “Chissà se Vedi Adesso”. Un brano minimalista, intimo e dolcissimo. Altra dimensione, altro spirito e altro cambio di scena. Ma dovendo scegliere, quale habitat sonoro ti rispecchia veramente?
Tutti quelli contenuti in 2014 mi rispecchiano perché, così come sono “vestite”, le canzoni riflettono le sfaccettature dei miei stati d’animo e dei miei gusti mutevoli per forme espressive ora più morbide ed intimiste, ora più dirette e più aggressive.

Il concetto del “Continuo”. Dalla copertina al filo conduttore di tutto il progetto. Mi piace. Viaggio come andare o come arrivare? Moonerkey verso dove sta andando?
In questo caso il viaggio è continuare ad andare, cioè proseguire verso una direzione avendo ben presente da dove si viene. Io sto andando anagraficamente verso la maturità ed artisticamente verso una nuova adolescenza.

2014. Un bel modo per iniziare il 2015. Quando sarà l’alba del 2016? Che continuo per questa musica ci sarà secondo te?
Credo di avere materiale, idee e valide collaborazioni per poter mettere in cantiere già il secondo disco, se non anche il terzo. Nei live ad esempio suoneremo anche brani inediti che faranno parte dei lavori futuri. Questo per dire che sento di avere molto da comunicare e condividere nei prossimi anni. Allo stesso tempo mi auguro che questa città riesca ad offrire alla musica originale spazi, non necessariamente materiali, qualificati.

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John De Leo

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John De Leo è un artista eclettico dalle eccelse doti vocali, personaggio di spicco della musica italiana e con un fedele seguito di fan; ha da poco pubblicato il suo nuovo lavoro, Il Grande Abarasse ed ha gentilmente accettato di rispondere ad alcune domande per voi lettori di Rockambula. “180 grammi” : Intervista a John De Leo.

Partiamo dal titolo del nuovo cd Il Grande Abarasse… Cosa significa?
Semplificando molto, secondo gli studiosi, la polivalenza semantica dell’espressione – oramai in disuso – potrebbe essere traducibile in molteplici sensi.* Riassumo qui di seguito quelli più accreditati e comprensibili per il linguaggio odierno, Abarasse può significare: un punto di rottura, possibile sinonimo di “corto circuito”; un’apocalissi; un pensiero deplorevole innescato da paura; una rinnovata forma di attaccamento alla vita causata da uno spavento; un evento che costringe le persone a relazionarsi fisicamente; un sinonimo di Caos; quando riferito all’andamento politico, pare alludere genericamente alle distorsioni del concetto di Democrazia; un’arcaica forma di saluto comparabile a “arrivederci”; con Abarasse, s’intendono anche le inimmaginabili conseguenze, o “brutture sociali”, causate da crisi culturale; una fine inaspettata per quanto prevedibile; sorta di dolce perdizione assoluta essenzialmente indotta da ozio; stadio di stasi ansiogena dovuto a tempo perduto; una esplosione, più che altro immaginata; Abarasse o “Abababa”, animale mitologico che inebetiva gli umani alla sola vista o semplicemente nell’udire il suo verso, specialmente i bambini. Probabilmente un antesignano di Peppa pig; una forma di simpatica antipatia; sensazione di sdegno rivolta a ciò che risulta sbagliato perché non corrispondente ai propri gusti; quella sorta di inettitudine e pochezza di sé che si rivale sul prossimo;
Accezioni: una forma di ringraziamento, per lo più contratta in “Grabas”; unita all’aggettivo qualificativo “Grande”, solitamente fa riferimento a un mago, a un qualcosa di magico, o a un dio antropomorfo. Informazioni tratte da L’Accademia dell’Abarasse ( www.puristidellabarasse.com ).

Raccontaci in poche parole di questo disco…
E’ il frutto di quattro anni di lavoro. La veste grafica è opera di Orecchio Acerbo, le illustrazioni dell’amico Andrea Serio, prodotto da Carosello Records. Vorrei aggiungere brevemente che è composto di 10 tracce.

La tua voce può a tutti gli effetti essere considerata uno strumento multiforme che si adatta a ogni stile e situazione. Posso azzardare un paragone con il grande e compianto Demetrio Stratos?
Sono lusingato e sorpreso: un paragone originale, grazie.

Di cosa parlano i testi delle tue canzoni? Hai mai fatto riferimenti autobiografici?
Ogni brano ha motivazioni a sé. Sicuramente ricorre in modo più o meno esplicito il tema del Consumismo. I riferimenti autobiografici sono quasi imprescindibili ma, come ho cercato di dire anche in altre occasioni, diffido di chi parla solo di sé, e l’altro da sé è interessante se non altro perché ignoto.

Io non ha senso… cosa vuol dire?
Le tue domande hanno scovato quello che per certi versi è il brano più autobiografico. Prima di tutto però, quell’Io va inteso in senso universale, il tuo Io, il nostro Io. Interrogandomi sui perché di questo brano, mi sono convinto che “Io” trova senso quando è parte: io individuo parte di una famiglia, parte di una società, parte del genere umano. Nella missione di ricapitolare sé stesso, il senso per me più soddisfacente di Io è nel Noi.

Quali differenze e quali affinità ci sono fra Il Grande Abarasse e Vago Svanendo?
Differenze: le copertine dei cd sono diverse. Affinità: per certi versi le copertine si somigliano. Scherzi a parte, non saprei, forse Vago Svanendo rispetto all’ultimo album è vagamente più intimista, da qui forse l’esigenza opposta di allargare la visione al microcosmo umano del condominio come nell’ultimo lavoro. Non che in Vago Svanendo sventolassi i fatti miei, ma forse in Il Grande Abarasse m’illudo di riuscire meglio nel distacco da me, cercando di ribadire e ribadirmi che ogni soggettiva è significativa quanto quella di un altro, e che ogni cosa che accade nel mondo ci riguarda tutti. Tra le affinità c’è la volontà di continuare a sperimentare sia dal punto di vista musicale sia letterario; forse in Vago Svanendo c’erano brani nettamente diversi tra loro mentre nell’ultimo album provo ad assemblare i tasselli differenti nell’ambizione di un risultato più omogeneo. C’è poi una sorta di continuità piuttosto esplicita: il nuovo lavoro discografico
inizia con il finale dello scorso.

Com’è nata la collaborazione con Uri Caine?
Nell’ottobre del 2011 condividemmo il palco del teatro Alighieri di Ravenna. Ero ospite nel progetto tributo a Nino Rota “Il Bidone” diretto da Gianluca Petrella. Caine al pianoforte si esibiva prima di noi, anche lui per reinterpretare l’ideatore delle colonne sonore dei film di Fellini. Ci fu una jam session finale. Nei camerini, ancora sull’onda adrenalinica dell’esibizione,ci siamo riproposti di fare qualcosa insieme. Ho pensato quindi di coinvolgerlo in “The Other Side of a Shadow”, un brano del nuovo album il cui testo è tratto da “Linea d’ombra” di J. Conrad. Uri ha consigliato di assemblare le takes registrate in un caotico “cut ‘n’ copy”: sulla narrazione di Conrad, nella quale si alzano correnti improvvise, mi è parsa una soluzione particolarmente calzante.

E quella con l’Orchestra dei Filarmonici del Comunale di Bologna?
Ho potuto lavorare con l’Orchestra dei Filarmonici del Teatro Comunale di Bologna grazie alla collaborazione di Stefano Brugnara e Arci. L’orchestra si insinua spesso tra i brani, soprattutto nelle tracce nascoste, nel Ghost Album: la parte forse più sperimentale. Per chi volesse, consiglio l’ascolto del Ghost Album in cuffia, poiché l’orchestra è stata registrata con l’ausilio di microfoni “Binaurali” che conferiscono un’ambientazione uditiva straniante in 3D.

Ti va di parlarci del “Ghost album”?
Volentieri. Da anni pensavo a un numero di tracce o a una durata tale da poter comporre un intero album nascosto. Che io sappia non è mai stato fatto. Quindi devo farlo, mi sono detto. Oramai ne è stata svelata l’esistenza ma per chi non lo sapesse compare dopo le 10 tracce dell’album ufficiale. In definitiva le sei tracce strumentali del Ghost Album, per la durata complessiva di circa mezzora, costituiscono idealmente una unica composizione. E’ stato un lavoro molto impegnativo al quale ho dato importanza pari all’album ufficiale. Il Grande Abarasse è un concept album idealmente ambientato in un condominio: la musica del Ghost é la parte più astratta, quasi filmica, nella quale si frappongono anche fields recording e sound design. L’intento era quello di sonorizzare una storia la cui sceneggiatura però dovrà costruirsi nell’immaginario dell’ascoltatore. Egli potrà decidere cosa stiano facendo o pensando i condomini. Vorrei ricordare che al Ghost Album hanno partecipato due geniali miei collaboratori storici come Dario Giovannini e Stefano Sasso.

Negli ultimi tempi hai frequentato la scena jazz italiana; come si differenzia da quella estera? Ci sono artisti che possono competere con i loro colleghi oltralpe?
In linea di massima nel resto dell’Europa come negli Stati Uniti, il Jazz (come molte altre musiche) è tendenzialmente più evoluto, quantomeno da un punto di vista tecnico esecutivo. Il fatto è che in Italia la professione del musicista, più in generale dell’artista, è particolarmente difficile, osteggiata da infinite burocrazie, mal considerata dall’economia, corrotta dalla cultura del profitto, e dall’ansia del profitto della Cultura. Sto banalizzando molto, il problema è globale ma in Italia è più brutto. In Italia ci sono ancora grandi artisti. Tra questi, molti sono fortunati figli di benestanti. Spesso ci sono poi grandi artisti alle spalle di qualche stella del mercato. Ce ne sono altri di cui sappiamo poco, altri ancora che non conosceremo mai e che dovranno presto dedicarsi a un lavoro sicuro. Se lo troveranno. I loro progetti quasi mai giungono al nostro orecchio, prima che si dissolvano; quando possiamo fruirne è grazie alla tenacia antistorica di qualche piccola associazione culturale illuminata e idealista che presto chiuderà i battenti. In ogni caso, oggi come oggi gli artisti italiani -intendo quelli veri, quelli che hanno davvero qualcosa da dire- per sopravvivere all’oppressione della cultura dell’utile -unita alla conseguente crisi economica- devono comunque ingegnarsi “all’italiana“ per poterci deliziare della loro poesia. Per rispondere alla domanda: si, in Italia ci sono alcuni jazzisti meritevoli a livello internazionale; la differenza sostanziale con gli stranieri è che il motore dei nostri non è l’ispirazione ma l’esasperazione.

Sul palco vi presentate in nove elementi. E’ possibile riprodurre quindi i suoni e le emozioni del cd nella dimensione live?
Quanto alle sonorità, è possibile riprodurle dal vivo. Come da sempre, gli arrangiamenti sono scritti in modo da poter essere riprodotti. E’ chiaro che per restituire la massa sonora di un’orchestra, con in più il nucleo elettrico, é stato necessario implicare parecchi musicisti. Sul Palco: una rappresentanza delle varie sezioni archi (Dimitri Sillato, Valeria Sturba, PaoloBaldani) e fiati (Beppe Scardino e Piero Bittolo Bon), una chitarra (Fabrizio Tarroni), un pianoforte (Silvia Valtieri) e l’effettistica (Franco Naddei), quest’ultima ottenuta sempre rigorosamente in tempo reale. Il cospicuo ensemble col quale mi esibisco attualmente si chiama JDL Grande Abarasse Orchestra.

Parlaci del tuo impegno in Lugo Contemporanea…
Lugocontemporanea è un’Associazione Culturale senza fini di lucro fondata da me, Nicola Franco Ranieri e Monia Mosconi. L’omonima Rassegna estiva, si tiene da dieci anni nel centro storico di Lugo di Romagna (RA) tra luglio e agosto. Fin dagli albori, la peculiarità di Lugocontemporanea è quella di assumere la Musica come punto d’osservazione attraverso il quale gettare un ampio sguardo in tutte le direzioni e gli ambiti artistici del contemporaneo. Durante la rassegna, prendono vita originali forme d’arte multidisciplinari che giustappongono musica e teatro, musica e gesto corporeo, musica e arti visive, musica e spazio (installazioni sonore). Dal 2005 a oggi la rassegna ha ospitato numerosi artisti emergenti accanto a nomi di rilevanza nazionale e internazionale, i quali hanno liberamente interpretato il tema di ogni edizione realizzando sempre produzioni inedite e inattese. Fra i tanti nomi ricordiamo: il trombettista Cuong Vu, il trombonista Gianluca Petrella, la compagnia teatrale Societas Raffaello Sanzio, il cantante Howie Gelb, il sassofonista Maurizio Giammarco, il video-scenografo Gianluigi Toccafondo, il video-animatore Simone Massi, il chitarrista e compositore Fred Frith, il performer Giorgio Rossi, lo scrittore Stefano Benni, il compositore fondatore del Movimento Fluxus Philip Corner, il ballerino Guillelm Alonso, il violoncellista e compositore Tristan Honsinger, il compositore Luigi Ceccarelli, il pianista Franco D’Andrea, il trombonista e compositore Giancarlo Schiaffini. Gli eventi tra Musica e Poesia sono organizzati in collaborazione con Caffè Letterario: nel corso degli anni hanno partecipato Lietta Manganelli, Carlo Lucarelli, Enrico Ghezzi, Mariangela Gualtieri. Alle mostre – sempre aperte al pubblico durante le giornate della rassegna e a ingresso gratuito – sono intervenuti alcuni esponenti delle più diverse discipline artistiche, dalla pittura alla scultura, dalla fotografia al mosaico, fino ai linguaggi dell’installazione contemporanea: Stefania Galegati Shines, Andrea Nurcis, Enrico Corte, Claudio Ballestracci, Piero Dosi, Gian Ruggero Manzoni, Mara Cerri, Altan, Tanino Liberatore Paolo Bacilieri, Lorenzo Mattotti, Elisa Caldana, Andrea Serio, Carlo Ambrosini, Andrea Salvatori, Emergency, Nicola Samorì. La rassegna da sempre si distingue per attenzione sociale ed etica negli intenti nonché nelle proposte artistiche; naturale quindi il sodalizio, con le associazioni Emergency e Greenpeace. Lugocontemporanea è organizzata da Ass. Culturale Lugocontemporanea, Fondazione
Teatro Rossini, con il patrocinio del Comune di Lugo, della Regione Emilia Romagna e di
Greenpeace Italia.

Progetti futuri?
Sono tanti gli impegni cui dovrò dedicarmi nei prossimi mesi. Uno su tutti, quello imminente: sto lavorando alla realizzazione di Il Grande Abarasse nella versione in vinile, una felice proposta di Carosello, la mia casa discografica. Nel vinile, molti dei brani che compaiono sul cd, sono in versioni alternative: leggermente più lunghi alcuni, altri più corti, altri ancora in un arrangiamento diverso, almeno una bonus track. 180 grammi.
Grazie Marco, e Abarasse a tutti, John.

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Ash Code

Written by Interviste

Le strade di Napoli vengono ricoperte da una fitta nebbia e mostrano le loro sfumature più cupe e nervose attraverso la seducente musica degli Ash Code. Qualche retroscena ed una chicca di tanto in tanto sono i principali elementi di questa intervista.

Ciao ragazzi e benvenuti su Rockambula. Direi di cominciare con il presentarvi al nostro pubblico.
Alessandro: Ciao a tutti, noi siamo gli Ash Code. Il progetto è nato a gennaio 2014 da una mia idea, volevo un nuovo progetto di musica elettronica, con forti radici nel sound degli anni 80 ma che proponesse un giusto mix tra vecchio e nuovo. Feci ascoltare alcuni demo che avevo composto a Claudia e lei mi diede dei consigli sulle linee di synth innanzitutto, ma anche sulla voce e sul testo. Mio fratello poi aggiunse dei riff di chitarra baritona fender VI, uno strumento che permette un suono ibrido, che si situa tra le frequenze alte del basso e quelle basse della chitarra. Così nacquero Dry Your Eyes e Unnecessary Songs. Caricammo i pezzi in rete e l’accoglienza fu da subito entusiasmante, decidemmo perciò di continuare.

Oblivion è il vostro nuovo album, ci dite come e dove si sono svolte le fasi di mixaggio e di registrazione?
Alessandro: tutte le canzoni nascono nel nostro piccolo home studio, dopo il boom iniziale con le 2 prime canzoni ci siamo chiusi dentro e abbiamo scritto di getto tutte le altre composizioni in maniera grezza, ci siamo poi trasferiti presso L’arte dei Rumori Studio per la ripresa delle voci e avvalendoci della produzione di Silvio Speranza.

Quali sono le fonti d ispirazione degli Ash Code?
Claudia: sicuramente i nostri punti di riferimento musicali, ma soprattutto i libri che leggiamo, i film che guardiamo e i posti che visitiamo. Le nostre composizioni sono basate sulle emozioni che le situazioni quotidiane ci trasmettono, noi tentiamo di trasformarle in musica.

Canzoni che mi hanno davvero incantato sono: “Waves With No Shore”, Empty Room”, la titletrack e “Dry Your Eyes”. La mia curiosità è questa: cosa pensavate nel momento in cui queste canzoni venivano scritte e composte musicalmente? Voglio dire, pensavate ad un paesaggio, ad un atmosfera o una situazione?
Claudia: ogni pezzo ha la sua storia. Waves With No Shores è stato scritto pensando al mare. Siamo molto legati al mare, ogni anno quando viene l’estate non vediamo l’ora di andarci, lo troviamo poetico e ci trasmette pace e tranquillità, lontano dallo stress quotidiano. Empty Room è stata scritta da Alessandro, aveva questi appunti da molto tempo, quando era ancora in giro con l’altra band, e durante un tour in cui io non c’ero mise giù questo pezzo. Per quanto riguarda le note le abbiamo scritte tutti e tre insieme un pomeriggio, all’inizio della primavera scorsa. Dry Your Eyes è stato un pezzo molto sofferto e ha avuto una lunga gestazione, il nucleo iniziale era completamente diverso, ci abbiamo lavorato tanto; facendone molte versioni, non eravamo nemmeno convintissimi del risultato finale, ma il pubblico ha deciso che era un grande pezzo, e alla fine ce ne siamo convinti anche noi. Oblivion è stata scritta ispirandoci alle Considerazioni Inattuali di Friederich Nietzsche, e al concetto di oblio che il filosofo illustra in queste pagine.

C’è qualche festival in cui vi piacerebbe partecipare? Perchè?
Adriano: Nella scena darkwave europea ci sono molti festival importanti; far parte della lineup significa avere una grande visibilità. Fortunatamente quest’anno faremo parte del Wave Gotik Treffen in Germania, Entremuralhas Festival in Portogallo, Return to the Batcave in Polonia e ci sono anche altri festival che non possiamo ancora annunciare per motivi contrattuali. Non abbiamo nessun contratto con booking agency in esclusiva e trovare gli inviti per questi festival nell’inbox è stato emozionante.

A cosa puntano gli Ash Code e come è stato accolto Oblivion dal pubblico e come dalla critica?
Alessandro: gli Ash Code puntano a fare buona musica e portarla in giro sperando che piaccia. Oblivion è stato accolto molto bene sia dal pubblico che dalla critica. Ai concerti le persone solitamente si divertono, o comunque restano molto soddisfatte e vengono sempre a complimentarsi con noi dopo il live. Anche le recensioni sono state ottime, da Post Punk.com, a Peek a boo, da Sonic Seducer a Rockit e Rockerilla, per citarne solo alcune. Un po’ in tutti i paesi siamo stati ben accolti e siamo molto contenti di questo, il gruppo esiste da poco e tutta questa attenzione non era una cosa scontata.

Siete a lavoro per qualche nuovo video?
Adriano: abbiamo varie idee, probabilmente ci sarà un ultimo videoclip estratto da Oblivion; ma non vi possiamo anticipare ancora niente.

Il disco è acquistato di più tramite internet oppure durante i vostri concerti?
Adriano: Attualmente direi che siamo 50 e 50, la prima release è quasi esaurita e stiamo lavorando ad una seconda con contenuti speciali da pubblicare a breve.

In base ai vostri show, c’è un pubblico napoletano che segue band del vostro genere?
Adriano: a Napoli c’è sempre stata una scena underground, soprattutto per quanto riguarda i cultori del genere Post Punk e Darkwave. Purtroppo negli anni le persone sono diminuite sempre di più, forse perché non c’è stato un ricambio generazionale, è rimasta in pratica solo la vecchia guardia, quando ci sono grandi concerti e riusciamo a riunirci tutti siamo circa un centinaio, non di più. Nonostante questo, la nostra città sta vivendo un momento molto produttivo dal punto di vista di fioritura di bands, oltre a noi ci sono i Geometric Vision, gli Hapax e i Dark Door a proporre questo genere in Italia e nel resto d’Europa.

Dove suonerete nei prossimi giorni?
Alessandro: Siamo prossimi alla partenza per la Germania, suoneremo a Colonia con le Winter Severity Index e Orchidee Noire e a Bielefeld con i Lebanon Hanover.

Bene ragazzi concludete come meglio vi pare…
Claudia: Ci piace concludere le interviste ringraziando tutti i nostri amici e sostenitori, tutte le persone che ci supportano, solo grazie a loro gli Ash Code esistono e continuano a fare musica.

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kuTso

Written by Interviste

I kuTso sono una delle band più particolari della scena musicale italiana, sono stati alla scorsa edizione del Festival di Sanremo, adorano esibirsi dal vivo e vorrebbero  la dittatura dei kuTso sulle genti italiche. Ecco una breve intervista per Rockambula.

Sorvolando sulla pronuncia del nome del gruppo e sulla diatriba che ne consegue, partiamo dalla fine. La partecipazione a Sanremo e il nuovo album. Il festival della canzone italiana, il trionfo del nazional-popolare può convivere con la musica dei kuTso?
Certo, nella misura in cui i kuTso hanno utilizzato il festival come una grande vetrina tramite cui divulgare a mari e monti il progetto così com’è, senza farsi fagocitare dall’ufficialità del contesto sanremese.

Essere arrivati in finale, lo ricordate anche sul vostro sito, è già una vittoria. Ma è proprio vero? Meglio vincere Sanremo o vendere dischi? O meglio ancora riempire locali e club in giro per l’Italia?
Meglio sempre riempire i locali tastando sul campo l’entità del consenso intorno alla band. Vincere il festival non era il nostro obiettivo, come non lo era arrivare in finale. Noi volevamo principalmente farci pubblicità e questo è avvenuto. Ora navighiamo a vista cercando di non perdere nessuna occasione e sfruttando al massimo la scia positiva che il festival ha portato.

Siete in “Perpetuo tour”, quanto conta la dimensione live per voi?
Il live è la vita vera della band. Noi siamo essenzialmente dei perfomer che esprimono al meglio se stessi durante le esibizioni dal vivo, utilizzando i propri brani come mezzo di comunicazione con il prossimo.

Un consiglio per chi vi ascolta per la prima volta in concerto?
Abbandonate qualsiasi pregiudizio e approcciate alla nostra musica con la mente sgombra dai suoni e dai cliché musicali che si è soliti ascoltare nel mondo indie come in quello mainstream. Noi siamo una cosa a parte.

Tre aggettivi per definirvi e tre per la vostra musica?
Sporchi
Brutti
Cattivi
Rocambolesca
Roboante
Funambolica

Con chi vorreste dividere un palco?
Con Jovanotti.
I vostri obiettivi per il futuro prossimo?
Arrivare ad avere almeno mille paganti ad ogni concerto in tutta Italia.

Il sogno da realizzare?
La dittatura dei kuTso sulle genti italiche.

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Gadjos

Written by Interviste

Incontriamo i Gadjos, sappiamo già di avere poco tempo perché i ragazzi sono alle prese con un nuovo album (Bordellandia) e con il lancio del primo singolo estratto dall’album (“Iride”). Più che di un nuovo album si tratta di un progetto molto grosso, complesso e particolare, parliamone direttamente con loro.

Ciao ragazzi, grazie per averci dedicato questo tempo, sappiamo che siete alle prese con qualcosa di molto importante, ma partiamo dall’inizio: chi sono i Gadjos?
I Gadjos sono 5 ragazzi normalissimi che si sono uniti con l’obiettivo di amare il più possibile la loro musica, di farla apprezzare alla gente e di far capire cosa sia il ROCK…nel senso sporco del termine…non usiamo questa parola per far moda…e di gruppi così ce ne sono troppi!

Non siete novellini del settore Rock, da dove siete partiti? Dove volete arrivare?
Siamo partiti un po’ come tutti…dalle sala-prove in polvere e in lamiera…con tanta energia positiva e voglia di mettere subito in chiaro le cose…che la musica inedita emergente debba ribaltare questa politica discografica, che rispecchia fedelmente quello che oggi è il nostro paese…è da folli pensare di poterci riuscire…ma ci eccita provarci!!!

Sappiamo che state lavorando sul vostro nuovo album, Bordellandia, ma sappiamo anche che non si tratta di un album classico, ci potete dare qualche informazione in più?
Si tratta di un lavoro complesso…un lavoro in atti, come in teatro: 4 album, 4 canzoni per disco, un totale di 16 inediti! Ora stiamo registrando “BORDELLANDIA ATTO I: IL PESO DELL’INCOSCIENZA”, sono 4 canzoni davvero cazzute e mature…figli di diversi stili musicali.

L’album verrà lanciato con un singolo, “Iride”, in questi giorni abbiamo visto un piccolo trailer del video, quali sono le date che dobbiamo tenere d’occhio per non perderci nessuna novità che riguardi i Gadjos?
Abbiamo qualche data in Puglia, però stiamo lavorando ad un evento live, e per scaramanzia non diciamo!!! Se andrà in porto saremo ben orgogliosi di comunicarvi tutto!!! E sarebbe una bellissima soddisfazione per una band emergente! Seguiteci sulla nostra pagina Facebook per tutte le novità! https://www.facebook.com/pages/GADJOS/105869616118973?fref=ts

Per i musicisti è molto importanti essere al centro della scena musicale, per quanto riguarda l’Italia tutto sembra che parta da Milano, una delle scene più attive per quanto riguarda i live e gli eventi. Voi venite dalla Puglia, è tutto più difficile o è solo diverso? Per voi Milano cosa rappresenta?
Da noi si fa una fatica assurda, forse oseremmo dire imbarazzante. Il boom delle tribute band sta lacerando ogni comunicazione tra gli emergenti e i locali che fanno musica, nel nostro piccolo si suona anche tanto ed è bello che la gente ti faccia complimenti suoi tuoi lavori…per fortuna siamo ottimisti per natura e si va avanti con determinazione, per il semplice motivo che ci divertiamo quello che suoniamo, vorremmo portare questa energia positiva anche a Milano, non ci siamo mai stati, ma non vogliamo essere nebbia di Piazza Duomo, ma un raggio solare che incuriosisca e faccia scatenare un po’ di rock’n’roll!!

Quali sono le difficoltà che una band incontra per arrivare ad avere un po’ di spazio e farsi conoscere? Servono di più i live o i social?
Oggi il miglior manager che possa darti un minimo di visibilità sei tu stesso, non siamo ossessivi dei social, i locali sono quelli che sono, un business ignorante, ma crediamo ciecamente nella potenza dei live, sui dischi siamo tutti bravi oggi, la differenza la fanno i palchi, noi veniamo dal sudore e dell’energia del rock, non ci piace suonare dal vivo con sequenze e aiutini, la trinità del “basso-batteria-chitarra” è vangelo per la nostra musica.

Cosa serve ai Gadjos per avere più possibilità di farsi apprezzare dal pubblico? Un’etichetta può essere la soluzione o è solo uno dei tanti step che servono ai musicisti?
Servono produttori esecutivi che debbano avere il coraggio di investire nuovamente tra gli emergenti, è una pura utopia, ma abbiamo il sentore che la debacle musicale italiana sia talmente devastante oggi, a tal punto da rivalutare la situazione, di sbirciare nei sotterranei e li ci siamo anche noi.

Gadjos e interviste: tanti gruppi che ho intervistato sono a disagio con un microfono sotto il naso o una telecamera puntata in faccia, voi come vivete questa situazione? Tortura necessaria o opportunità? O entrambe?
Ad oggi è sempre un piacere raccontarci, dovesse diventare una fortunata routine … non siamo dei santi, ci potrebbe risultare una gran rottura di scatole, ma ingoieremmo questo amaro calice volentieri!!!

Quando potremo finalmente vedervi dal vivo a Milano?
Speriamo presto!!! Anche a minuti!!!

Grazie mille per il tempo che vi abbiamo rubato, possiamo tornare presto a fare due chiacchiere con voi per sapere come procedono i lavori?
Molto volentieri!!!! un saluto a tutti e sempre sintonizzati nel nostro recinto, Iene!!!!Rock’n’Roll!!!!

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P.C.P. (Piano che Piove)

Written by Interviste

P.C.P. è un progetto di musica indipendente, fatto da musicisti che, più o meno, per cultura o per casino hanno passato una fetta consistente della propria vita suonando per le orecchie degli altri. Adesso è disponibile il loro album d’esordio In Viaggio con Alice, un album composto da 9 brani in stile canzone d’autore con alcune influenze jazz. Ci siamo fatti raccontare dai protagonisti qualche aneddoto sulla loro musica e questo loro debutto. Buona lettura…

Benvenuti sulle pagine di Rockambula, iniziamo col parlare un po’ di voi e su come si sono conosciuti i P.C.P.
Dopo una mezza vita a fare un bel mix di musica e casino nelle cover band rock, country e chi più ne ha più ne metta, alcuni di noi si sono trovati un po’ per conoscenze, un po’ per giri vari che si usano tra i musicisti, intorno a questo progetto acustico. La nostra non è la storia degli amici che si conoscono da una vita perchè la band esiste da pochi anni e il progetto del disco ha preso vita non più di un paio di anni fa. Abbiamo tutti da una specie di vita precedente, nella quale a un certo punto, curiosando qua e là cercavamo un’idea che ci piacesse. L’idea iniziale del progetto è stata di Ruggero (Marazzi, autore dei brani), gli altri sono arrivati per ricerche sui siti musicali, conoscenze, un po’ come tutti insomma.

Cosa c’è dietro il nome P.C.P. Piano che Piove, come mai la scelta di questo nome.
Sulla copertina del nostro CD si vede un chitarrista mancino all’opera. Quel signore si chiama Mauro Lauro (o Lauro Mauro, come volete..) e tutte le volte che saluta qualcuno al telefono dice “vai piano che piove”. Si tratta sicuramente di un voto fatto a qualche santa in un momento di difficoltà (ovviamente lui non lo ammetterà mai), sta di fatto che “.. piano che piove..” una volta, due, tre, alla fine è diventato una specie di elemento permanente, e siccome ci sembrava che PCP- pianochepiove suonasse bene e avesse anche una specie di valenza come tranquillante, come invito alla calma, abbiamo deciso di adottarlo anche come nome.

In Viaggio Con Alice è il vostro primo lavoro, raccontate ai nostri lettori come è nato questo vostro album e la scelta di voler incidere i pezzi prevalentemente in acustico.
C’erano un po’ di canzoni scritte nell’arco di qualche anno, qualcuna finita, qualcuna rimasta a metà. Dopo l’idea iniziale del progetto si è posta la questione di come andare avanti, e se la scelta fosse stata quella di fare le cose seriamente, dandoci un obiettivo di più ampio respiro rispetto alla suonatina occasionale, il passo logico successivo non poteva che essere quello di riprendere il materiale, metterlo a posto come si deve e inciderlo. Così è nato il disco. Registrare senza cercare suoni diversi da quelli che usiamo dal vivo è stata una scelta precisa: da una parte ci sembrava che in un contesto più essenziale uscisse meglio la scrittura e i suoni avessero più personalità, più anima, dall’altra non volevamo presentare un lavoro che poi avesse poca attinenza con ciò che avremmo proposto dal vivo.

C’è un filo conduttore che lega le nove tracce dell’album?
Almeno un paio: certamente l’idea del vissuto quotidiano e, all’interno di questa, l’idea del viaggio come momento di relazione con i luoghi e i pensieri della nostra vita. Nelle nostre canzoni non ci sono mai amori eterni o voli impossibili, la ricerca è piuttosto verso quella poesia realista dei maestri degli anni ’60 come Paoli o Endrigo, che rompeva con la canzone classica inaugurando la stagione dei grandi cantautori. Se ci è permesso il paragone un po’ blasfemo, ovviamente…

Qual è il pezzo che più vi rappresenta o quello a cui siete maggiormente affezionati.
Difficile…, diciamo che “In viaggio con Alice”, il brano che dà il titolo al CD, è sicuramente rappresentativo degli argomenti di cui dicevamo prima e che “le ore contate” esprime bene l’idea di un sound che ci piace molto. Ce n’è anche una che (indipendentemente dal fatto che piaccia o no) è sicuramente originale come argomento ed è “Il Cartografo”.

Qual è il vostro sogno nel cassetto e come pensate di realizzarlo.
Come tutti quelli che fanno canzoni e lavorano per dar loro vita, vorremmo che queste potessero andare oltre il limite delle relazioni, grandi o piccole, che noi saremmo in grado di intessere per loro lavorando da soli. Per realizzarlo stiamo lavorando con persone che ci aiutano a trovare un percorso…

Lasciate un saluto ai lettori di Rockambula.
Se qualcuno o qualcuna di voi ascoltando un brano dei PCP ha ritrovato qualcosa di sé vuol dire che siamo riusciti a superare la barriera delle nostre paturnie quotidiane, e questo lo consideriamo un risultato. Ciao!!

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Shame

Written by Interviste

Incontriamo i ragazzi in un momento di pausa dei loro vari progetti, ci accomodiamo nel “salotto delle interviste” e rompiamo il ghiaccio con qualche battuta. Avevo conosciuto gli Shame con la loro precedente line up, Andrea Paglione, Marco Riboldi e Veronica Basaglia, ma oggi, al posto di Veronica, trovo un “Mazingone”. Avevo già incontrato questo ragazzo, Claudio Ciaccia, durante una serata tributo ai Nirvana, incontro decisamente d’impatto e divertente, visto che mi ero dimenticata i tappi per le orecchie e qui stiamo parlando di un batterista che fa decisamente andare alla grande la sua amata.

Ciao ragazzi, grazie per aver deciso di fare due chiacchiere con noi! Partiamo subito da una vostra piccola presentazione, dateci qualche informazione sulla vostra nuova formazione!

Ciao a tutti! Ebbene sì, dopo 10 anni la formazione è cambiata. Quel Mazinga di Claudio è il nuovo percussore e il suo arrivo ha portato una “cosa enorme”! A parte gli scherzi siamo contenti che tre amici che condividono la gran parte del poco tempo libero insieme, possano condividere anche un progetto artistico che li accomuna molto. Forse è la prima volta che si forma per noi un trio davvero unito. La musica ora è per noi un sottofondo che accompagna le nostre future avventure.

Gli Shame fanno musica grunge, scelta decisamente coraggiosa e di nicchia a quanto pare. Eppure la sensazione è che il grunge non sia stato dimenticato anche se vive momenti di difficoltà come quasi tutta la musica indipendente. Cosa ne pensate voi che vivete da dentro questa situazione?

Etichettare la musica è sempre limitante. E’ indubbia la passione che abbiamo per quel genere musicale, che ci ha fatto crescere come la gran parte della nostra generazione. Dimenticato non direi proprio e lo dimostra soprattutto l’ultimo anno, che è stato ricco di tributi e manifestazioni che ricordavano proprio i personaggi e gli eventi che avevano caratterizzato quel periodo. Con l’arrivo di Claudio, per quanto ci riguarda, il nostro stile inevitabilmente sta prendendo nuove forme, che si discostano un po’ da quel sound anni 90. Stiamo cercando di sperimentare nuove forme di brani, tecnicamente un po’ più articolati e melodicamente più complessi… vedremo cosa ne uscirà fuori!

A febbraio 2014 è uscito il vostro disco “Entropia”, devo dire che è veramente bellissimo, 10 tracce che ci portano nel passato, a Seattle, nello stesso tempo è molto moderno e attuale. Come avete promosso il vostro lavoro? State facendo un tour? Che progetti avete?

Uno dei nostri grandi limiti è la nostra scarsa capacità di venderci. La promozione di Entropia ci ha fatto forse svegliare un po’ per la prima volta. Il fatto di aver trovato un’etichetta americana per la distribuzione, la Unable Records, sicuramente ci ha dato un po’ di visibilità e speriamo che insieme ai nostri promoters d’oltreoceano possano nascere collaborazioni ancora più grandi. Andrea e Claudio, suonate anche nei Poottana Play For Money, tribute band dedicata ai Nirvana.

Che differenza c’è tra avere una band con pezzi originali e una band che fa cover? Sappiamo che in linea generale i musicisti storcono il naso di fronte alle cover, ma il pubblico e i locali apprezzano particolarmente.

Beh, il nome direi che sia abbastanza eloquente. Il progetto è nato inizialmente per creare la possibilità di autofinanziare le spese dei nostri progetti individuali. Il progetto però è stato un volano di opportunità che ci ha portato anche a suonare al Layne Staley American Tribute di Seattle nel 2013. Esperienza indimenticabile. Poche settimane fa abbiamo avuto anche l’onore di suonare durante la manifestazione “PUNK TO THE PEOPLE” alla Fabbrica del Vapore a Milano, evento che ha riscosso davvero un gran bel seguito! Quindi che dire, ci divertiamo e continuiamo a farlo, finché durerà, senza pretese!

Gli Shame e i Poottana Play For Money fanno parte di una rete più grande, un gruppo che si occupa di promuovere e aiutare i musicisti di musica alternativa, indie e grunge. Parlateci del progetto e delle potenzialità.

Esatto, come noi molte altre band da ogni parte d’Italia e non solo, fanno parte di una grande “famiglia” nata per il supporto reciproco e per la passione per l’arte in senso lato: L’Alternative Grunge Crew. Invito tutti i lettori a dare uno sguardo al sito: http://www.alternative-grunge-crew.com e a supportare questa comunità di artisti che sta diventando davvero molto importante! Il 27 marzo siete tutti invitati ad un grande evento della Crew, il 5th Layne Staley Italian Tribute al 75 BEA, via Privata Tirso, 3, 20141 Milano.

Ho visto un’esibizione live degli Shame per beneficienza, devo dire che appena Andrea ha cominciato a cantare il pubblico si è fermato incredulo per via della sua voce. E ammetto che anche io la prima volta che ho ascoltato Entropia sono rimasta stupita, questo ragazzo ha una voce pazzesca, dal vivo fa ancora più impressione e tutto in senso positivo! Quando potremo vedervi dal vivo?

I complimenti lusingano, grazie! Per ora non stiamo cercando live dato che siamo in un periodo di creazione. Con il nuovo assetto stiamo lavorando alla creazione di un nuovo lavoro e c’è molto entusiasmo! Diciamo il dicibile… ma ecco, le prossime date abbiamo l’utopia che saranno lontane :-p . Per seguirci abbiamo una pagina Facebook : https://www.facebook.com/shametheband . Il nostro sito web è http://shameband.weebly.com/ dove troverete tutte le info e i link per “vederci” ed ascoltarci! Fateci un salto!

Grazie ancora del tempo che ci avete dedicato, possiamo rivederci presto così ci raccontate altre novità?

Assolutamente! Non vediamo l’ora che il cantiere in costruzione ora, diventi un luogo dove tutti voi potrete fare un viaggio insieme a noi…un po’ come Jim Morrison nel deserto…ahahah. Grazie mille è stato davvero un piacere! Vi vogliamo bene

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Rocky Horror (…e Pino Scotto)

Written by Interviste

In Italia sono in pochi a fare Crossover. Fra i più noti esponenti del genere ci sono sicuramente i Rocky Horror, band pugliese nata nel 2002 ed oggi composta da Giovanni “Justice” Placido (voce), Antonio “The Racio” Racioppa (chitarra), Francesco “Baron Frankenheimer” Rinaldi (basso) e Paolo Damato (batteria). Abbiamo parlato del nuovo disco Sciogli il Tempo in compagnia di Justice, m.c. della band, e con Pino Scotto, il più grande rocker italiano, che ha prestato la sua voce al gruppo in veste di ospite nell’album insieme a tanti altri volti noti del panorama musicale italiano. (Risponde a questa intervista Justice, m.c. della band, “in collaborazione” con Pino Scotto)

Rocky Horror a chi vi ispirate artisticamente?
J- Rage Against The Machine, 99 Posse, Casino Royale, Assalti Frontali e chi più ne ha più ne metta! (risate, ndr)

Il Crossover in Italia è ancora poco diffuso rispetto a paesi quali gli U.S.A., come mai? Perché avete scelto proprio questo genere fatto di contaminazioni e fusioni stilistiche e come si relaziona con la vostra regione, la Puglia, che musicalmente è più nota per ben altre sonorità?
J- In Italia se ti discosti dalla “canzone italiana” qualunque genere sembra “di nicchia”, anche se poi ha più estimatori di quanto si pensi. Noi fondamentalmente ci consideriamo un gruppo Rock, ma abbiamo scelto questa sua variante per poter miscelare vari stili e dimostrare inoltre che la Puglia è molto più variegata a livello musicale di quanto si creda.

Parliamo ora di Sciogli il Tempo (Protosound Records / Edel), il vostro nuovo album uscito da poco in tutti i negozi e piattaforme digitali, un lavoro alquanto ricco di collaborazioni?
J- Si, infatti oltre al nostro “bro” Pino Scotto, che ha partecipato nel singolo e video “Lo Spazio Che ti Spetta”, ci sono anche Ru Catania (Africa Unite), Luca (Los Fastidios), Simone Martorana (Folkabbestia), Nico Mudù (Suoni Mudù), Vince Carpentieri (ex Almamegretta), Mr. T-Bone (ex Africa Unite e Giuliano Palma & The Bluebeaters), Dj Argento, Dj Fede e tanti altri, anzi, colgo l’occasione per salutarli e ringraziarli tutti!
P- È un grande album, con bei testi, è stato bello collaborare coi miei fratelli Rocky Horror e ora siamo in tour tutti assieme a divertirci (“Sciogli il Tempo Tour” col side project Pino Scotto & Rocky Horror, ndr): sabato 28 Febbraio saremo al Bobby’S Live Bar di S. Giacomo degli Schiavoni (CB), mentre domenica 1 Marzo ci aspetta il Crazy Diamond di Massafra (TA)!

Pino vuoi dirci qualcosa sul tuo di disco, uscito qualche mese fa?
P- S’intitola Vuoti di Memoria, è uscito a maggio scorso, ed all’interno ci sono cover di Renato Rascel, Adriano Cementano e poi ci sono due inediti: uno in italiano, “La Resa Dei Conti (Kiss my Ass)” e l’altro in inglese.

Justice, quali differenze e quali affinità ci sono con Dritto in Faccia, il vostro precedente full-lenght?
J- Li accomuna l’attitudine, l’impegno e l’amore che abbiamo messo nel farli. Li differenzia però la qualità sonora ed anche la maturità compositiva.
Come mai la scelta di inserire nella tracklist la cover “Stop al Panico” degli Isola Posse All Stars? Vi sentite legati al fenomeno delle Posse anni ‘90 che vedeva in Italia gruppi come Onda Rossa Posse e, per l’appunto, Isola Posse All Stars?
J- Nel nostro sound il Rap è una componente fondamentale, ed in Italia questo genere ha preso piede proprio grazie al movimento delle Posse, ecco perché ci è sembrato doveroso rendere omaggio ad una crew che a nostro parere ha fatto la storia della scena underground italiana… ed in questo è stata utile la collaborazione di Vince Carpentieri (ex Almamegretta) alla chitarra.

Questi sono stati i giorni del festival di Sanremo… se ve lo chiedessero vi partecipereste?
J- Penso di sì, l’importante è proporre la propria musica senza compromessi e se questo viene rispettato immagino che ci si possa esibire “a cuor leggero” un po’ ovunque… e comunque in passato ci si sono esibiti anche i nostri amici Almamegretta, ecc. senza perdere di credibilità.


Dove vi immaginate fra dieci anni artisticamente parlando?
J- In studio a registrare almeno il nostro quinto album ed in tour con Pino!

Un saluto per i lettori di Rockambula.com…
P- Ciao, ciao a tutti!
J- Bella Rockambula, un saluto a tutti i vostri lettori!

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Peter Punk

Written by Interviste

I Peter Punk sono tornati da poco con un nuovo disco dopo una pausa di quasi dieci anni. Il Seme Della Follia è un disco di puro Punk (se volete saperne qualcosa di più trovate la recensione qui su Rockambula, talmente puro da sembrare quasi anacronistico, piacevolmente immaturo. Abbiamo dunque fatto due chiacchiere con la band per capire meglio come si legano insieme queste tre realtà: Punk-Italia-2015.

Ciao a tutti e benvenuti su Rockambula! Dopo un lungo stop, che effetto fa tornare a fare dischi, a rilasciare interviste, a macinare kilometri e fare del gran macello (ne fate ancora tanto e l’ho visto coi miei occhi)? Cosa avete fatto in questi anni? Quando vi siete mancati a vicenda e cosa vi ha spinto a riprendere?

Ciao!!!!E’ una sensazione bellissima!! Noi adoriamo suonare, quindi comporre, creare e soprattutto fare concerti! Ci fa molto piacere che hai notato che ad ogni concerto sputiamo ancora sangue e non ci risparmiamo. Per noi sarebbe impossibile star fermi e non dare il 100%. E dovresti vedere il dopo concerto, un delirio senza fine ahahahh. Abbiamo ricominciato a suonare con i Peter per non buttare nel cesso anni che sono stati tra i migliori della nostra vita, poi tieni presente che tre di noi han suonato , dopo i Peter , per anni nelle Cattive Abitudini. Alla fine abbiamo aggiunto “soltanto” il tassello mancante alla nostra follia.

So benissimo che la scena musicale odierna in Italia non è quella dei gloriosi anni 90. Quali sono i pregi e i difetti di allora e di oggi. Com’è cambiato il modo di fare live secondo voi? Quanto e come i social network influiscono sull’attività di una band come la vostra?

I pregi sono che il pubblico era maggiore e la gente più coesa in una scena. C’era più interesse e la gente sembrava divertirsi di più che oggi. C’era più iniziativa e più amore per la musica. L’unico difetto è che era tanto facile sparare sui gruppi che avevano più successo etichettandoli come dei venduti. Il nostro modo di fare live non è cambiato, come dicevamo prima diamo sempre tutto. In generale, anche ai concerti di gruppi più grossi, si tende ad osservare più che a partecipare. Noi crediamo ai social fino ad un certo punto. Servono per pubblicizzare i concerti soprattutto, però lo stare sul campo è il modo migliore per promuovere il gruppo.

Quali sono secondo voi i gruppi storici del Punk italiano che hanno scritto la nostra storia e quali quelli caduti nel dimenticatoio che avrebbero meritano maggior successo? Esiste ancora una “scena”?

La “scena” esiste sempre, è meno numerosa ma c’è sempre. Ci son davvero tanti gruppi storici che potremo citare, ma limitandoci al nostro tipo di punk è facile dire Punkreas, Derozer, Pornoriviste. Sono i gruppi emblema dei nostri anni. Tra i gruppi che meritavano un successo maggiore potremmo citare i primi Melt, i Paolino e i Senza Sicura. Grandissime band!

I ragazzi di oggi si affacciano alla musica con approcci a noi difficili da comprendere (anche io ho qualche annetto alla spalle) e un genere che indubbiamente genera entusiasmi è il Rap. Come vedere la sua esplosione nel nostro paese? E’ solo una moda o c’è qualcosa di più?

Purtroppo non siamo affatto informati sulla scena rap. Noi non seguiamo la televisione o altro. Forse nella grandi città questo fenomeno è più tangibile, ma qui di certo no. Non siamo dei vecchi dinosauri, ma riconosciamo di non seguire i trend del momento. Noi ascoltiamo sempre e solo punk rock, hard core e metal.

Arriviamo al disco Il Seme Della Follia. E’ sicuramente un disco con pochi cazzi e tanta botta, che contiene comunque pezzi diretti e molto orecchiabili. A mio avviso però non è cambiato molto nel vostro modo di fare musica. Non avete sentito il bisogno di far evolvere il vostro suono e i vostri testi?

Secondo noi invece sia musica che testi si sono evoluti. Non è un disco uguale ai precedenti anche se ovviamente segue il genere. Se per evolvere dobbiamo snaturarci allora mi sa che è dura che lo faremo mai. Il Seme della Follia suona esattamente come devono essere i Peter nel 2015.

In “Ombra Longa Day” parlate di una fiera di paese delle vostre parti, con tanto di dialettismi, quanto sono importanti le vostre origini geografiche nella vostra musica?

Più che una fiera era un proprio evento. Sempre collegandoci al titolo del nostro disco, potremmo definirla follia totale. Forse Oliviero Toscani ha pensato proprio a questa festa quando ha definito tutti i veneti degli ubriaconi ahhaha. Diciamo che il vino ci piace. Noi amiamo la nostra terra, ma come qualsiasi altra persona pensiamo. Come i ragazzi sardi ad esempio. Sono molto legati alla loro Sardegna e fanno bene. Siamo tutti italiani, ma il luogo dove si nasce e si cresce rimane sempre nel cuore. Ogni tanto mettiamo qualche parola tanto per cambiare e per rimarcare che siamo gente cresciuta campagna che rimarrà sempre semplice e schietta.

Ho notato che utilizzare la figura di Diprè nel video di “Trasher” è stata una scelta molto criticata. Come la giustificate e come è avvenuto il contatto con questo ormai popolarissimo personaggio del web?

L’idea di Diprè è nata da Stefano. Siamo tutti affascinati dai suoi personaggi e ci fanno parecchio ridere. Però non comprendiamo come gli stessi riescano a diventare cosi famosi da riempire i locali dove vanno e le band che si fanno il culo invece non riescono ad avvicinarsi al loro livello di popolarità. E’ questo il messaggio che vogliamo trasmettere con il nostro video. Sempre con la nostra solita ironia. Purtroppo molte persone non l’hanno capito, ma alla fine non possiamo farci niente a tal proposito. Lui comunque è stato subito disponibile e gentilissimo. Sa quel che vuole e ha una sua logica.

Cosa prevede il futuro di Peter Punk?

Prevediamo che faremo sempre quello che ci piace di più. Cioè suonare cercando di trasmettere qualcosa a chi ci ascolta. Quando non avremo più nulla da dire allora smetteremo

Grazie mille a tutti! Fate un bel saluto agli amici di Rockambula e in bocca al lupo!

Un saluto a tutti gli amici di Rockambula!!!!Ricordatevi di spargere sempre il seme della follia!!!

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Cristiano Romanelli (UMMO)

Written by Interviste

Avete voglia di qualcosa di veramente insolito a livello musicale italiano? Allora dovete assolutamente atterrare sul pianeta Ummo! Gli Ummo infatti propongono una ventata di novità mescolando vari generi che passano dalle vie del Metal a quelle del Pop passando attraverso autostrade sonore elettroniche in un nanosecondo. Ne abbiamo parlato con Cristiano Romanelli, voce, synth e pianoforte degli Ummo.

Come e quando sono nati gli Ummo?
Gli Ummo nascono dalla mia mente contorta, dalla voglia di evadere mentalmente, emotivamente e fisicamente da questa realtà priva di bellezza, passione ed erotismo. C’è troppa volgarità vestita di una fitta ignoranza… E grazie a tre amici intimi… folli e arroganti come me che hanno appoggiato l’idea sono nati gli Ummo. Anche se il termine esatto sarebbe “atterrati”! Erano anni che avevo in mente di fondare un gruppo che miscelasse vari generi musicali pur rimanendo in chiave pop!

Cosa si cela dietro questo nome?
Potrei risponderti semplicemente che è il nome del nostro pianeta di origine… ma dato che la risposta viene sempre presa o per ridicola o per una metafora di chissà quale filosofia di vita… meglio rispondere con una bugia ma che bugia proprio non è… e dire che UMMO è una leggenda aliena… di alieni atterrati anni fa sul pianeta Terra ! Tanto sono millenni che sono tra gli uomini! Tu non credi?

Come definireste la vostra musica?
Nostra! Maledetta arroganza… mi affascina troppo! Seriamente parlando credo che la definizione che molti ci hanno dato calzi a pennello: Heavy pop! Un mix di classica, rock contemporaneo con delle torbide venature metal, ma sempre incentrata sulla ricerca spasmodica della melodia! Quindi in realtà non saprei dirti a quale genere appartiene la nostra musica… l’importante è che sia bella musica! Almeno proviamo a farla!

A chi vi ispirate? In Italia ci sono pochi gruppi che propongono uno stile simile al vostro…
Infatti se proprio dobbiamo parlare di musica italiana… mi affascinano molto i mitici Decibel e lo stile compositivo di Morgan. Ovviamente le trovate geniali melodiche di Battisti. Ma preferiamo ispirarci a musicisti esteri come Muse, Metallica, Radiohead e Placebo. Le melodie vincenti e ultraterrene dei Beatles e dei Queen! Anche se l’elettronica negli Ummo regna sovrana…ma sempre cavalcando il rock!

Di cosa trattano i vostri testi?
Credo di aver scritto un album molto spirituale. Ho davvero sondato la mia anima e la sua perdizione. La tentazione mi affascina così come la redenzione. I temi sono vari… dalla morte sino alla rinascita, dallo smarrimento emotivo sino alla salvezza tramite l’amore assoluto, dall’esoterismo alla cruda e cinica realtà che sprofonda sempre di più nel vile scetticismo e nella ridicola superficialità. “Destino” ha avuto ben 8000 passaggi radiofonici che per una band non sono pochi…

Ora con Malinconia a cosa puntate?
Puntiamo a farne 8.001. Bugia…Finta modestia da intervista! In realtà ne vorremmo un milione! Puntiamo a raggiungere più anime possibili lavorando, lavorando e lavorando sempre di più! Testa bassa a suonare il più possibile, comporre ogni giorno, ma soprattutto continuare a credere in ciò che facciamo contro tutti e tutto! Desideriamo il grande pubblico e, perdona ancora l’arroganza, portare aria nuova nel panorama musicale italiano.

Parlateci del vostro primo full lenght…
Un album davvero fuori dagli schemi! Grazie ai nostri produttori della Protosound ci siamo chiusi in studio due mesi! Giornate e nottate davvero folli ed estenuanti in cui ognuno di noi si è spremuto per dare il massimo! Abbiamo cercato di curare ogni minima sfumatura per esprimere ogni emozione che avevamo nel cuore e nella mente. Un’esperienza unica… davvero spirituale! Eravamo in sintonia perfetta e continuavano ad uscire idee sempre nuove! Alla fine ci siamo dovuti fermare altrimenti saremmo usciti davvero pazzi… più del solito intendo! Non so cosa accadrà con questo album (stiamo già pensando al secondo), ma una cosa è certa: siamo stati noi stessi e quindi sinceri…siamo stati incazzati e innamorati… pieni di speranza e nel disco credo vengano fuori tutte queste emozioni! Sai.. ho scritto la mia prima canzone a 12 anni… 18 anni fa… ne ho scritte più di trecento… ma questo è il mio primo album ed è una sensazione indescrivibile! Vada come vada… qualcosa siamo riusciti a creare…a suscitare… ed è già una piccola vittoria!

Progetti futuri?
Suonare tantissimo…alla ricerca del grande palco! Sicuramente continueremo a fare casino con idee folli e incursioni probabilmente anche illegali in giro per lo stivale! La nostra navicella atterra un po’ dove vuole… noi non abbiamo colpa! La composizione continua senza freni e sicuramente oseremo sempre di più! Ma la cosa più importante credo sia la voglia di riuscire ad emozionare le persone che ci vengono ad ascoltare! Credo fermamente in ciò: la droga di un artista non è la sua arte, ma le anime che ne fanno parte! E quindi daremo e faremo di tutto per farle vibrare!

Un saluto per i lettori di Rockambula!
Join us! Siamo atterrati e pronti per trasmettervi il nostro credo: ricordatevi di osare sempre! Tutti noi dovremmo ricordarci più spesso di guardare le stelle e sognare… contro tutti coloro che vorrebbero bruciarci le ali e le speranze! Yeah!

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Daniele Celona

Written by Interviste

Daniele Celona è cantautore, compositore e produttore torinese, dalla decisa anima Rock. In occasione dell’uscita del suo nuovo lavoro Amantide Atlandite, abbiamo avuto l’opportunità di farci raccontare direttamente da lui di cosa si tratta.

Ciao Daniele, grazie per essere qui con Rockambula, il 3 febbraio esce il tuo nuovo lavoro Amantide Atlantide, anticipato dall’uscita del singolo “La Colpa”. Cosa ci racconti in questo nuovo lavoro e cosa ha ispirato la realizzazione degli undici brani che lo compongono?

Grazie a voi. Che dire. E’ un disco sul presente e le sue difficoltà. Un reportage, ma anche un invito a resistere, ad alzare la voce, a trovare una propria via allo “starci dentro”. Ogni nostro comportamento, ogni scelta, ha un riflesso sociale, politico direi. Studiare come ci poniamo davanti a un bivio o ad un ostacolo, mi ha sempre affascinato. Per questo i miei personaggi sono sempre lì, in bilico, sul solco di qualche cicatrice. Sono canzoni di antieroi, canzoni per chi si è perso, ma riesce ancora a sognare ad occhi aperti.

Se vogliamo definire il territorio in cui si muove la tua musica, si potrebbe parlare di Rock cantautorale, ti ritrovi in questa definizione o preferisci darcene una tua personale?

Nulla osta su questa definizione. In realtà il gioco delle scatole con su scritto genere e somiglianze mi lascia sempre un po’ perplesso. Credo che le carte vadano scoperte attraverso l’ascolto, o ancor meglio assistendo a un live o guardandone il filmato perché no. Per usare un termine boxistico, i nostri ring sono quelli. Uno ascoltatore che voglia capire chi ha di fronte, deve salirci.

Amantide Altlantide è il risultato di una formula compositiva particolare una ricerca tra metriche, parole e tecnicismi, come il falsetto e il parlato. Ci racconti come nasce di solito una tua canzone?

La ricerca, il “mestiere”, agiscono più che altro in arrangiamento. La parte precedente è abbastanza istintiva. Non decido a tavolino se usare il falsetto o altro registro. Cerco una linea di cantato e normalmente sono tonalità e mood del pezzo a portare quasi naturalmente verso un certo colore. Le parole del testo sanciranno poi se quel vestito è adatto o meno. Sono un autodidatta sia come chitarrista che come cantante, con un sacco difetti. Pertanto né io posso permettermi dei tecnicismi, né li ho chiesti alla band in fase di preproduzione. Nelle mie intenzioni le canzoni devono suonare fluide pur nella loro struttura articolata ed esser divertenti da eseguire dal vivo.

Rispetto al precedente Fiori e Demoni c’è molto spazio a momenti strumentali di forte impatto ed energia, c’è lo zampino dei Nadàr Solo, tuoi compagni e backing band nel precedente lavoro oppure ci sono altre band o ascolti particolari che hanno influenzato le tue scelte?

Credo che già nel disco precedente i pugni allo stomaco non mancassero. In ogni caso le variazioni tra silenzi e sfuriate sono essenzialmente una mia, quasi patologica, esigenza. Chiaro, dove ho chiesto ai ragazzi di dare di più dal punto di vista della “cartella” non si sono certo tirati indietro. Ho spremuto il povero Alessio in particolare, con scelte di batterie molto muscolari, e passaggi repentini ad atmosfere quasi jazz o comunque molto delicate. E’ stata una parte bella del lavoro, diversa da quella di Fiori e Demoni che avevo intagliato in buona percentuale al computer. Ammetto che in questo fase del lavoro da sala prove ho teso a diventare quasi insopportabile, ma i Nadàr, con cui abbiamo lavorato insieme per anni sapevano ormai come prendermi e come macinare le mie idee in parti strumentali.

Tu, Levante, i Nadàr Solo, provenite tutti dalla scena torinese, è un caso oppure Torino, e il Piemonte in generale, sta recuperando terreno come fucina di talenti musicali? Che cosa ha significato per te crescere musicalmente in questo contesto?

E’ una città che ha molto da dire, su più discipline, non solo quella musicale. C’è energia e fermento. Non credo comunque si debba parlare di gara tra scene cittadine italiane, come non dovrebbe esserci rivalità per progetti simili all’interno di una stessa città. Forse noi, e aggiungo ai nomi che hai citato anche Bianco, abbiamo dato solo un esempio più costruttivo da questo punto di vista, su una sinergia non esasperata, ma vera. Credo anche, sia apprezzabile la nostra scelta di togliersi dalle scatole il più possibile dall’ambito strettamente torinese per lasciar spazio ad altre energie fresche che hanno numeri e che scalpitano.

Qual è stato il momento più bello nella realizzazione di Amantide Atlantide? Ti andrebbe di condividerlo con noi?

Sai che non so cosa risponderti? E’ stata talmente una lotta, col tempo, con la mancanza di soldi, il tutto in uno degli anni più difficili della mia vita, che il dato saliente in realtà credo sia il fatto di aver portato questo disco a compimento. Ci si è messo di mezzo anche il furto a Roma del mio Mac con l’ editing di quattro pezzi e un quinto registrato con Bianco. Ritornando alla tua domanda, il momento bello, a ben vedere, è per me sempre quello della scrittura dei brani, del mosaico da completare. Lì sta il mio giardino segreto, agli altri spetta il quadro, l’ immagine photoshoppata. E’ una rappresentazione che costa fatica e spero posso essere amata comunque.

Grazie per averci raccontato qualcosa di te e del tuo nuovo lavoro. Abbiamo detto che tra poco esce l’album, immagino partirà anche un tour?Hai qualche anticipazione per noi?

Sì, inizieremo a Febbraio tra date promo negli stores e in radio, date con il set elettrico vero e proprio, e qualche apertura a Umberto Maria Giardini.

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