Live Report
Non Voglio che Clara 14/02/2015
Non Voglio che Clara @Blah Blah, Torino, 14/02/2015
14 febbraio 2015: la finale del Festival di Sanremo e la festa di San Valentino, lo stesso giorno. Forse non si è mai verificato un conflitto di interessi di tale portata nell’intera storia dell’umanità, di sabato sera poi. La decisione è dura, il dilemma è forte: rimanere col culo attaccato ad un divano rischiando la vita per eccesso di lercio televisivo, o rischiarla sulla sedia di un ristorante “très chic” per una rara forma di diabete da smancerie tra innamorati? Siccome non riusciamo proprio a prendere una decisione di fronte alle suddette allettanti proposte, e non siamo nemmeno troppo in vena di morire, ce ne andiamo al concerto dei Non Voglio che Clara. La formazione veneta propone stasera un concerto in chiave acustica, e si presenta sul palco munita di due tastiere ed un posto centrale destinato al musicista che impugnerà una chitarra. Dettaglio non da poco, questo, perché ogni membro della band cambierà spesso il proprio ruolo sul palco, fermo restando che la voce principale sarà sempre quella di Fabio De Min. Grandi assenti, dunque, la batteria e le percussioni in genere, cosa che contribuirà a creare un’atmosfera intima e raccolta; con l’aiuto di qualche birra quest’atmosfera che mira all’introspezione ci aiuterà ad assaporare meglio le liriche e ad adagiare i pensieri sulle linee armoniche. A smorzare un po’ i toni, evitandoci di inciampare in qualche trip mentale, ci pensa lo stesso Fabio, che introduce ogni brano con degli ironici aneddoti di vita vissuta veneta. L’intero pubblico sembra essere entrato appieno nel mood del concerto; durante “Le Mogli” noto che in molti accennano a un labiale evitando di invadere il campo con la propria voce. Gli unici soggetti fuori posto sono i due stronzi che ho accanto, i soli che continuano ad intrattenersi a vicenda con inutili chiacchierette sul fuorigioco di non so chi. I brani eseguiti sono tratti dall’intero repertorio discografico della band; si spazia dunque da Hotel Tivoli a L’Amore fin che Dura, senza tralasciare Dei Cani e l’omonimo album Non Voglio che Clara. Grande assente, per quel che mi riguarda, “La Mareggiata del ‘66” (bisognerà pur trovare una scusa per non perdersi un altro live dei Non Voglio che Clara, no?). Grandi musicisti sul palco e personaggi di gran simpatia e compagnia sotto il palco. La serata finisce tra belle risate, dimenticando chi siano San Valentino e Sanremo. Credo che nessuno ne abbia sentito la mancanza. Meglio così.
. Le foto ed il video per questo live report sono state gentilmente offerte da NienteFluorescente.
Cold Specks 6/02/2015
Cold Specks @ Spazio 211, Torino.
Cold Specks è la voce di Al Spx, cantautrice canadese di Montréal, che nella sua breve carriera vanta già collaborazioni importanti con artisti del calibro di Moby e Swans. Cold Specks è anche un estratto di versi dall’Ulisse di James Joyce, che Al decide usare come nome del proprio progetto (Born in all the dark wormy earth, cold specks of fire, evil, lights shining in the darkness). Cold Specks è in viaggio tra Europa e America per far ascoltare ad una parte di mondo il suo ultimo lavoro, Neuroplasticity; dopo la data al Magnolia di Milano, stasera si esibirà allo Spazio 211 di Torino. Alle 23.30 circa, vestita di un’eleganza semplice e minimalista, Cold Specks sale sul palco insieme ai suoi musicisti e già capiamo che quello che dovrebbe essere, dal nome, un “freddo puntino” è in realtà un incendio emotivo posizionato tra cuore e stomaco. La voce di Al ha radici nel Soul e si porta dietro la potenza ed il calore che lo contraddistinguono. Nell’esecuzione dei brani tocca note altissime per poi riscendere in picchiata, il tutto con grande naturalezza, mentre chitarre, batteria, sax e piano si intrecciano in melodie e battono colpi che esaltano la sua voce, ma mai diventano protagonisti assoluti. Poche volte la vedremo impugnare una chitarra, il suo strumento prediletto è la voce, e proprio con un assolo vocale da pelle d’oca chiuderà il concerto. La potenza della voce cantata contrasta con la sensualità e la dolcezza di quella parlata. Al introduce i pezzi con qualche breve racconto; ci fa sapere che è stata bene in Italia, che ama il Belpaese e ci confessa che oggi è il suo compleanno. Noi, il pubblico, non perdiamo occasione per intonare un “tanti auguri a te” terrificante che si perde al momento del “tanti auguri a…”; lei, che ha un sorriso gentile e probabilmente è anche di buon umore, ci dice anche grazie dopo quello scempio, senza nemmeno insultarci. Mette pace Cold Specks. Dentro, in ogni singola cellula, e fuori, nei silenzi di chi ascolta e non può fare a meno di pensare a quanta luce può sprigionare un freddo puntino nell’universo.
Biagio Accardi 30/01/2015
Biagio Accardi @ Cavallerizza Reale, Torino, 30/01/2015
La cornice del concerto di stasera è la Cavallerizza Reale di Torino, pezzo forte del patrimonio culturale della città, attualmente occupata per via del triste futuro che l’Amministrazione Comunale le ha preservato. Il protagonista della serata è Biagio Accardi, cantastorie originario di Tortora (CS), cittadina situata nel Parco Nazionale del Pollino, polmone verde tra Calabria e Basilicata. Lo spettacolo di Biagio si intitola Kairos, uno dei modi con cui i greci definivano il tempo, da intendersi non come tempo numerico (Kronos) ma come tempo propizio per agire, quello delle opportunità, quello dell’espressione “è arrivato il tempo”. Le canzoni di Biagio, appartenenti al genere Folk, richiamano la musica della tradizione popolare del Sud. Alcune di esse, le Strine calabresi, fanno proprio parte di questa tradizione, pur discostandosi da questa. Se la tradizione prevedeva infatti l’utilizzo della chitarra battente, Accardi si accompagna con chitarre amplificate, sassofono ed effetti registrati. Con questi strumenti, la sua voce e la sua simpatia porta avanti una la sua missione: rieducare alla lentezza, invitare alla riflessione sul modo di vivere frenetico, dedito al consumismo ed altamente contraddittorio (“buttiamo il cibo e contemporaneamente combattiamo la fame”). Si sposta solo in treno per i viaggi più lunghi, mentre per il tour estivo nelle piazze dei paesini che incontra lungo il percorso sul Pollino, viaggia a piedi in compagnia della sua asina Cometa Libera. Dopo una breve chiacchierata Biagio ha definito la serata un po’ sottotono. Avrà avuto i suoi buoni motivi per farlo, di sicuro l’accoglienza in città non è stata delle migliori visto il numero ridotto di partecipanti, ma per chi c’era le sue parole non sono state vane: basta riflettere un attimo per capire che ci sono milioni di modi di vivere in maniera più serena. Alle volte prendere in mano le redini della nostra esistenza sembra qualcosa di impossibile da fare, in realtà ogni momento è quello propizio per agire. Ogni momento è Kairos.
Fink @ Teatro Quirinetta, Roma 28/01/2015
Resoconto del live nell’intima sala nei sotterranei di Palazzo Sciarra.
Continue ReadingNotturno Americano 17/01/2015
Notturno Americano – 17 gennaio 2015 @ Blah Blah, Torino
“Ci sono notti che non accadono mai”. E poi per fortuna ci sono notti che accadono, eccome! Ci sono notti che trasudano emozione, così cariche di significato, che sembrano riscattare tutta la tristezza che a volte invade, inevitabilmente, la vita di ogni comune essere mortale. Il mediatore, colui che ha corso il rischio di pagare il riscatto per lasciare andar via le sensazioni sopra descritte, è stato in questo caso uno spettacolo che porta il nome di Notturno Americano, il reading che Emidio Clementi, storica voce dei Massimo Volume, porta in giro per l’Italia insieme a Corrado Nuccini ed Emanuele Reverberi dei Giardini di Mirò. La moneta utilizzata per pagare il riscatto è la prosa, unita alla poesia, unita alla musica. La luce è soffusa e sullo sfondo scorrono, proiettate, le tavole di Gianluca Costantini. I suoni di Emanuele Reverberi hanno ora la malinconia del violino, ora la potenza della tromba, mentre Corrado Nuccini crea atmosfere a suon di chitarra e synth. La voce narrante è invece quella di Emidio Clementi, che si cimenta nella lettura de “Il Primo Dio”, il racconto di un viaggio nell’America dei primi del ‘900 attraverso lo sguardo visionario dello scrittore Emanuel Carnevali, e “L’ultimo Dio”, il libro autobiografico dove ripercorre parte della propria vita e ne sottolinea gli aspetti comuni a quella di Carnevali. Notturno Americano è l’ulteriore tributo che Clementi dedica a Carnevali, scrittore e poeta che scopre grazie ad un cliente che una sera d’inverno gli mette in mano un libro dicendogli “Leggilo. Parla di uno come te”. Ma ormai credo non si tratta più di un “uno come te”. Si tratta piuttosto di un “uno come noi”. Perché mentre Clementi legge e declama le sue pagine, ognuno di noi si riscopre improvvisamente Carnevali, per uno o più aspetti: la partenza verso un luogo sconosciuto, il ricostruirsi una vita da zero, il lavoro che fa schifo ma nello stesso tempo hai il terrore di perdere. Per un’ora Clementi è Carnevali, noi siamo Clementi, noi diventiamo Carnevali. È la prima volta che assisto ad un’esibizione del leader dei Massimo Volume; c’è chi pensa che Clementi “sia preso bene” quella sera, ed in effetti sembra esserlo. Quando gli sei accanto per scambiare due chiacchiere, Emidio cerca il tuo sguardo, ti scava negli occhi e ci sprofonda dentro. Poi al saluto finale ti prende le braccia e non puoi fare a meno di pensare a quanta vita c’è disegnata su quei tatuaggi. Poi ti stringe le mani quasi volesse recitare con te una preghiera e infine ti bacia. È un rito che si ripete a dismisura, con chiunque abbia voglia di salutarlo. “ È il 1914 quando Carnevali scende dalla nave, prende la rincorsa, e spicca il volo. Accarezza il sogno, ma non riesce a stringere la presa”. È il 2015 quando Clementi sale sul palco, prendiamo la rincorsa, e ci fa spiccare il volo. Stringiamo forte la presa, e ci portiamo a casa un sogno.
Linda & The Greenman 15/01/2015
Birrificio Officine Ferroviarie, Torino
Linda & Greenman è il nuovo progetto musicale che l’ormai ex “perturbato” Gigi Giancursi ha avviato con Linda Messerklinger, artista multitasking (attrice, ballerina, coreografa, cantante, fotografa). Il neonato duetto piemontese si è esibito nel neonato Birrificio delle Officine Ferroviarie, che ospita nell’interrato una sala concerti di tutto rispetto. Il duo acustico si esibisce per quasi un’ora, avvalendosi della collaborazione di Dario Mimmo, polistrumentista che abbiamo visto esibirsi prevalentemente alla fisarmonica. Sono ancora pochi i pezzi di loro produzione, ma si sa, ogni nuovo progetto richiede del tempo, soprattutto in fase di decollo. I pezzi del concerto sono soprattutto cover (tra le tante: Sara Jaffe, “Annarella” dei CCCP, “Love Will Tear Us Apart”), interpretate dalla bellissima voce di Linda, mentre il Greenman si cimenta alla chitarra ed accompagna con la voce diversi brani. Il duo è affiatato, il pubblico sembra divertito, ed anche io sto bene, lo intuisco da sorriso che mi sento stampato in faccia. Unico momento di perplessità è stato durante l’ultimo pezzo, il loro primo singolo, “Una Stagione In Silenzio” (cantato con sorpresa prevalentemente da Gigi): roba “troppo già ascoltata”, troppe le somiglianze con Dente, troppi giochi di parole, troppi papapapapapà, che troppo ricordano quell’incipit faffaraffafafafa. È troppo presto comunque per esprimere giudizi in tal senso, si parla per il momento solo di sensazioni. Aspetteremo e vedremo cosa hanno da dirci e farci ascoltare, Linda & The Greenman. Per il momento, durante i loro live, sanno farci sorridere.
Nobraino 19/12/2014
Nobraino– 19 dicembre 2014 @ Hiroshima Mon Amour, Torino
Me lo ricordo bene il mio primo concerto dei Nobraino. È stato all’incirca due anni fa, sempre all’Hiroshima Mon Amour (in realtà mi trovavo lì per ascoltare Giorgio Canali & Rossofuoco): che spettacolo che fu! Che animali da palcoscenico e che frontman fantastico Lorenzo Kruger, capace di sostenere un concerto di quasi tre ore (non scherzo, tre ore!), con una carica tremenda, senza mai scendere un attimo di tono. Tornai a casa felice. Stessa location, diversa compagnia, pubblico aumentato notevolmente (com’è giusto che sia), e ben diverso lo spettacolo a cui ho assistito lo scorso 19 dicembre: quel frontman dalla voce d’abisso che tempo addietro mi aveva lasciato senza parole è apparso sottotono e “scazzato” (concedetemi il termine, rende benissimo l’idea) fin da subito. La band, impeccabile nell’esecuzione come sempre, quasi priva però di quella “verve” che tempo addietro mi aveva entusiasmata. Certo, i momenti di delirio non sono mancati: il salto sul pubblico, l’ormai famosissima performance del taglio di capelli a qualche volontario (a quanto pare è diventato un rituale dopo che Kruger l’ha eseguito su sé stesso al concerto del 1° Maggio nel 2012), il tour di Kruger sotto il palco; il tutto però è apparso assolutamente privo di naturalezza, quasi come dettato da un copione al quale non crede più nessuno. E se lo stesso artista non è convinto della sua performance, come può esserlo il pubblico? Tuttavia a fine concerto tutti sembravano abbastanza divertiti, ma almeno tre soggetti (io e chi era con me) hanno avuto la percezione che sono gli stessi Nobraino a non divertirsi più per ciò che fanno; inoltre gli stessi soggetti sopra citati hanno anche sperato che si trattasse di un caso isolato, di un evento paranormale, di una semplice giornata di merda per chi era su quel palco, perché pensare che possa essere ormai “quello” un concerto dei Nobraino, beh, metteva troppa tristezza.
Patti Smith 8/12/2014
NAPOLI, 8/12/2014
Emozioni a non finire, questa la prima cosa da dire a proposito del magnifico concerto della sacerdotessa del Punk Patti Smith. L’8 Dicembre è stata una giornata particolare per Napoli che ha vantato della presenza di una pietra miliare del Rock. E’ vero, Mrs. Smith pare abbia un debole per la splendida città, fa spesso visita ai rocker napoletani. Ad ogni modo, venendo al concerto, è doveroso rendere noto la variegata età degli spettatori: dall’adolescente alla dolce nonnina. Questo particolare marca, a parte la grandezza dell’artista, una sorta di fusione di epoche davanti alla musica: ho ancora l’immagine di un signore vestito con un gilet di jeans con tanto di toppe Punk, l’anfibio ed il cappellino alla Brian Johnson (AC/DC, Geordie). Patti Smith sale sul palco del Duel Beat intorno alle 22:00, ad accompagnarla durante questa splendida serata c’è una band composta dai suoi familiari: quello più in vista è sicuramente il figlio Jackson (dal noto carisma) con Jesse al piano e Tony Shanahan. Ad ogni suo show Patti Smith si contraddistingue per l’umiltà, per i suoi tributi e le sue dediche: “Dancing Barefoot” in ricordo di suo marito Fred “Sonic” Smith; “Beautiful Boy” è una canzone dei Beatles e con questa la nostra icona omaggia John Lennon. Con “Blue Christmas” invece ricorda il Re del Rock’n’Roll Elvis Presley, a cantare la magnifica canzone è stato proprio Tony. “This Is The Girl” è la canzone che Mrs. Smith ha composto ispirandosi ad Amy Winehouse. I tributi si concludono con “Perfect Day”, di Lou Reed che cantata da Patti Smith assume un colorito diverso, questa sua versione è veramente un cocktail di emozioni. Queste canzoni prima citate sono le dediche e i tributi che la mitica artista ha proposto, un segno di grande umiltà e modestia. Altre canzoni che hanno lasciato il segno sono: “Ghost Dance” che con la sua tinta folkloristica ha scaldato gli animi dei napoletani, “Dream Of Life” è un viaggio della mente, quella classica canzone che riesce a giocare con gli stati d’animo più disparati. Sulle note di “Pissing In A River” si vedevano file di persone che ondeggiavano, era un leggero movimento del corpo, era la canzone che ti rapiva. Il boato arriva con la sublime “Because The Night”: tutti a cantare, a scambiarsi un sorriso e a condividere l’uno con l’altra l’emozione di quel magico momento. La chiusura dello show spetta a “People Have The Power” che come al solito fa la sua grande figura anche in versione acustica. Il concerto è stato esaltante e Patti Smith, nonostante i suoi anni, ha dimostrato di essere l’energica artista di sempre. L’unica pecca della serata è stata il divieto di fare foto e video; non si è capito se è stata una scelta del locale o dell’ artista. Ma questo poco conta, l’importante è aver ascoltato un grande concerto, eseguito da una musicista leggendaria, e per Napoli tutto ciò non è affatto poco.
Beatrice Antolini 13/12/2014
Si è fatta attendere un po’, ma alla fine è arrivata, pronta a calcare il palco del Blah Blah di Torino. Beatrice Antolini ha una giacca stile Ministri ed i capelli biondi, diversi da quelli rossi della copertina di Vivid, e diversi anche da quelli neri che aveva ai tempi di “Confusion is Best”, la canzone con cui l’ho conosciuta. “È una psicopatica dei capelli” penso subito, “o una coraggiosa che non teme i cambiamenti”. Qualunque sia il modo in cui si voglia vedere la cosa, resta il fatto che questa patologia nei confronti dei capelli ce l’ho anche io, e Beatrice mi fa sentire meno sola al mondo. La one woman band si dimostra subito attenta nei confronti del pubblico, ci saluta calorosamente, in maniera grintosa, poi indossa le cuffie e con altrettanta grinta comincia a picchiare sulla batteria, lo strumento che andrà per la maggiore durante la serata, perché solo per alcuni pezzi si sposterà alle tastiere. I brani suonati sono tratti principalmente dal suo ultimo EP, Beatitude, uscito lo scorso 11 novembre per La Tempesta, e dal suo ultimo album, Vivid, del 2013. La posizione alla batteria dovrebbe già farmi intuire molto dell’evoluzione sonora di Beatrice, che avevo lasciato aggrappata all’elettronica. È il ritmo ora a fare da padrone, forte, ossessivo, a tratti tribale. E mentre lei picchia sulla batteria e incanta con la sua voce, in sottofondo una base fatta di suoni elettronici, chitarre, piano ecc. completa l’opera. Per un solo pezzo Angelo Epifani salirà sul palco ad accompagnarla con la chitarra, il resto della musica sarà tutto di Beatrice e di una miriade di suoni, che andranno ad abbracciare diversi generi musicali, dal Pop all’Electro wave, passando per il Rock e la musica psichedelica. ll concerto volge al termine, ed è un vero peccato. Beatrice per un’oretta ci ha rapiti, fatto scuotere il capo, battere velocemente i piedi, ballare. A fine concerto chiacchiera con tutti nell’area merchandising e dà un bacetto a chiunque si sia messo a parlare con lei o le abbia fatto un saluto (o abbia acquistato il disco, ovvio). Sul palco restano i tre cuori luminosi della scenografia, che non sono però tre cuoricini del cazzo, ma sono cuori con tanto di arterie e vene, grandi e luminosi. E penso che sia un po’ questa la Beatitude che canta Beatrice, una medicina preziosa per chi ha un grande cuore che batte e se ne sbatte di tutto ciò che non conta davvero; un cuore che si illumina al suono di quella magia che ci pulsa dentro, e che qualcuno prima di noi ha chiamato Musica.
Counting Crows (Milano 23/11/2014)
Il panorama dell’Alcatraz in questa nebbiosa domenica pomeriggio è colorato e pacifico. Dal grigiore del primo freddo incontrato fuori dalla porta a quell’aria calorosa ma riflessiva, dentro le mura del club milanese. Il pubblico accorso qui per la seconda data italiana dei Counting Crows è indubbiamente variopinto, ma anche relativamente adulto. Si, facciamocene una ragione, gli anni 90 sono ormai lontani, ad un quarto di secolo da noi. Coloro che erano piccini come me ormai dovrebbero accettare di essere maturi (almeno proviamoci) e i ragazzi di allora ormai (volenti o nolenti) hanno sfondato la spaventosa barriera dei 40 se non i terrificanti 50. Ma nonostante le rughe e le clamorose stempiature l’aria è gioviale, scanzonata, sognatrice, con quel filo di consapevolezza che rende più reale i sorrisi scovati tra le famigliole presenti. Lasciamo perdere la mia analisi sociologica da bar sport e concentriamoci sulla musica, che comunque a mio avviso si adatta alla perfezione al mood della serata, ma non si accontenta certo di farci da colonna sonora. E allora la band californiana sale sul palco sulle note dell’intro “Lean On Me” di Bill Withers e ci da subito una bella strigliata con una “Round Here” da 12 minuti. L’arpeggio è inconfondibile e il suono ci circonda a tratti accarezzandoci, a tratti pungendoci. Il sali/scendi dinamico ci porta dritti su una montagna russa con Adam Duritz che, in mezzo alla sua capigliatura sempre più Telespalla Bob, sprigiona un’eccelsa performance tra poesia e prosa, un frontman teatrale che però mostra la naturalezza con cui un bimbo ti racconta la sua giornata al parco giochi. Basta, il concerto potrebbe finire qui, in pochi minuti e io avrei già visto uno dei migliori live della mia vita. Ma le emozioni sono di casa questa sera e gli intrecci di chitarra Immergluck-Bryson-Vicrey lasciano senza fiato, con quelle radici che spuntano dai loro piedi ad ancorarli ben bene alla tradizione del rock americano. Dalle acustiche di “Cover Up The Sun” alle schitarrate molto Pearl Jam della tiratissima “1492”, introdotta da Duritz con un piccante raccontino delle alcune sue serate eccessive proprio in quel di Milano. Stasera c’è spazio pure per “Mr. Jones”, recitata e snaturata della sua vera essenza melodica, quasi a farci intendere che i tempi cambiano e anche questa canzone, simbolo degli anni 90, è mutata, scarnificata, ormai un vecchio quadro sbiadito, da mettere in mostra raramente in mezzo a tante nuove e più vive emozioni, come le splendide “Possibility Days” e “God Of Ocean Tides” tratte dal nuovo e intenso “Somewhere Under Wonderland”. Adam si destreggia goffo ma a sempre a suo agio nella sua semplicità, un leader che abbraccia il pubblico e fa sentire il suo calore con gli occhi e con le mani, oltre che con la sua incantevole voce, che pare migliorare di anno in anno e ci stende con una “Goodnight L.A.” piano e voce. Tutti i presenti canticchiano e dimostrano, anche in un pezzo minore, la loro passione sfrenata per questo cantante e per questa band, così sottovalutata ma sempre più in forma dopo tutti questi anni.
Nel set c’è anche spazio per cover ricercate (alcune recuperate dall’album “Underwater Sunshine”) come “Big Yellow Taxi” o “Like Teenage Gravity”, splendida in versione acustica e nel finale maturità (artistica e non) e gioventù si incontrano nell’eterna “Palisades Park” e poi nella memorabile “Rain King”. Distanti quasi 25 anni tra loro eppure così appiccicate e sincrone nell’ennesima espressione di potenza sonora sprigionata dalle note di questa mastodontica band. Dopo due ore, l’ultimo brano è “Holiday In Spain”, comandata dal pianoforte di Charlie Gillingham, vero trascinatore del groove e della dinamica della band di San Francisco. Il sipario si chiude con la base di “California Dreamin'” dei The Mamas & The Papas e Adam Duritz rimane davanti a noi profetizzando: “torneremo presto, questa estate”, lasciando così l’acquolina in bocca a noi fan che aspettavamo un loro concerto in Italia da ormai quindici anni. C’è da dire che l’attesa è stata spazzata via da una performance strabiliante, non solo un elogio alla loro ormai lunga carriera, ma un vera e propria lezione di comunicazione Pop, fatta di poche parole, nessun effetto scenico e di tanta e ottima musica. Musica che conosce bene i suoi limiti, emoziona per la sua leggerezza e fa sorridere quando ostenta profondità.