Live Report

Fast Animals and Slow Kids 15/11/2014

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Al solo pronunciare la parola “Alaska”, la mia immaginazione produce visioni che hanno a che fare con paesaggi glaciali ed ameni, terre brulle e vette alte, freddo, ghiaccio, ma anche silenzio e luoghi di quiete. L’Alaska dei Fast Animals and Slow Kids, nella sua versione live, è invece tutta un’altra storia. Sarà anche ghiaccio quello che esce dalle loro chitarre, ma è ghiaccio che scotta, e ben lo confermano i cuori incendiati che se la sono data di santa ragione sotto il palco scatenando il delirio. Merito di chitarre, batteria, percussioni aggiuntive, basso, e del frontman Aimone Romizi, instancabile campione di salto sul pubblico.

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Sono state due ore di mani e piedi in aria, di individui volanti, capitati sul palco per caso ed arrivati chissà da dove, improvvisatori di salto sul pubblico anche loro, mentre i FASK continuavano la loro performance, aggiungendo casino al casino e suonando, oltre ad  Alaska, alcuni pezzi tratti da  Hybris (“A Cosa ci Serve”, “Maria Antonietta”, “Troia”) e Cavalli (“Copernico”).

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A chiusura di tutto, sono queste le serate che danno risposta agli enormi quesiti che ci attanagliano nel corso della nostra esistenza. E la risposta è che non esiste una risposta. Le cose accadono e basta, il perché sono tutte cazzate. Le cose accadono e ci siamo noi, piccoli o grandi a seconda dei giorni, a doverle affrontare. A volte ne usciamo campioni, a volte ne usciamo presi a calci in culo. Tutto sta nel come affrontare tutto. E se dovesse capitarti l’assurda domanda: “qual è il senso di tutto”, stai tranquillo che non esiste un senso. Esistono però momenti, o giorni (a seconda della botta di culo che ti capita), in cui qualcosa dentro di te si muove, qualcosa ai limiti della rabbia e a confine con la gioia. Che sia odio o che sia amore chi se ne frega. Se qualcosa si muove vuol dire che sei vivo, e finché sei vivo sei sempre in tempo a cambiare musica. Nessuna esistenza è sprecata se hai ascoltato la musica giusta.

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Tony Hadley 17/07/2014

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Chi pensava di trovarsi davanti a un viaggio malinconico negli anni Ottanta si è dovuto ricredere dopo aver assistito ad oltre novanta minuti di puro spettacolo. Tony Hadley e la sua band hanno dato il meglio, senza sbagliare un solo colpo e la cosa era già evidente dal pomeriggio, dal soundcheck (aperto al pubblico essendosi svolto in piazza, la stessa del concerto serale ovviamente) , da quando hanno provato estratti da dieci canzoni di cui ben nove degli Spandau Ballet. L’aspettativa in città per l’evento era davvero tantissima, perché tutti i teatini erano consci di essere forse davanti al più grande esperimento di marketing territoriale da quando alla Civitella si esibì Patti Smith con la sua band nelle cui file svettava un certo Tom Verlaine alla chitarra. Un esperimento riuscito certamente a pieni voti visto che c’erano molte persone venute da fuori regione (Puglia e Marche prevalentemente) e qualcuna persino dall’estero (ho conosciuto due coppie russe che sono venute a Chieti solo ed esclusivamente per l’evento).

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L’auspicio è quindi che non sia stato un caso unico e che l’anno prossimo la Settimana Mozartiana porti (almeno) un altro grande artista dello stesso calibro. Tony Hadley ovviamente non ha più vent’anni come quando uscì il primo singolo degli Spandau Ballet, “To Cut a Long Story Short”, riproposto anche a Chieti dopo l’iniziale “Feeling Good” (inedita), ma la voce ha la stessa potenza di un tempo. Del resto c’era persino chi lo considerava il miglior cantante degli anni Ottanta, forse erroneamente, perché a mio parere c’erano Jim Kerr dei Simple Minds, Bono degli U2, Mike Peters degli Alarm, Stuart Adamson dei Big Country che in quegli stessi anni dimostravano al mondo intero di cosa erano capaci ma preferisco non andare oltre in questo discorso anche per non incappare nelle ire di qualche fan sfegatata. Il concerto prosegue con un grazie, grazie in perfetto italiano (del resto Tony ha sempre avuto un grande feeling col nostro paese) e con quella “Higly Strung” che conquistò la posizione numero quindici nel Regno Unito. “Somebody Told Me”dei Killers e “My Imagination” (estratte dal suo ultimo lavoro Live from Metropolis Studios) seguono a ruota ma solo per fare da introduzione a quella “I’ll Fly for You” che decretò il successo dei “rivali dei Duran Duran” in Italia.

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“Only When You Leave”, per chi lo ricorderà, era la canzone che apriva “Parade”, da molti considerato il capolavoro degli Spandau Ballet. “Take Back Everything” è invece un brano tuttora inedito ma di cui Tony ha già parlato in alcune interviste essendo uno dei pochi già ultimati in vista di un prossimo nuovo album in studio. “Round and Round” uscì al tempo anche  in una speciale edizione solo per noi italiani in vinile 12” che includeva cinque foto, un poster e due cartoline e risentirla live fa un certo effetto. Oggi tale disco ha un valore commerciale bassissimo ma nonostante ciò rimane uno degli oggetti più amato a livello mondiale dai collezionisti di musica degli anni Ottanta peril suo prezioso contenuto. Con “With or Without You” (A fantastic song, the best from U2) si giunge alla seconda metà del concerto, quella parte forse più affascinante che comincerà altri grandi classici quali “True”, “Through the Barricades” e “Lifeline”.

Tutti singoli di grande appeal nei confronti dei presenti che però sono consci che lo spettacolo si stia avvicinando alla fine. “Every Time” e “Somebody to Love” dei Queen mettono in risalto la voce di Tony, sempre al top, anche se il confronto con Freddie Mercury  non reggerebbe per nessuno. Lui rimarrà per tutti il più grande entertainer che il Rock abbia mai avuto e difficilmente potrà essere superato in futuro. Del resto lo stesso Hadley lo chiama one of the best best best singer ever, a lovely man, a good friend

La scaletta prosegue con una cover che spiazza un po’ tutti… “Rio” degli amici / rivali Duran Duran! Peccato solo che Simon Willescroft (attuale sassofonista del gruppo) non fosse presente sul palco per eseguire il classico assolo insieme al basso. Chiuderanno la serata “Gold” e la cover degli Stereophonics “Dakota” (che potrete ascoltare sempre sul Live from Metropolis Studios). Peccato per l’assenza di John Keeble, la sua presenza avrebbe dato quel qualcosa in più allo spettacolo, ma per fortuna è stato egregiamente sostituito da Simon Merry che tra l’altro era per la prima volta dietro le pelli con Tony Hadley & co!!! Per un giorno Chieti è stata un po’ la capitale della musica ma la Settimana Mozartiana è un evento che quest’anno offre anche tanti altri eventi di grande livello quali i concerti di Richard Galliano e Uri Caine per una sette giorni davvero intensa in cui vale la pena immergersi a pieno ritmo.

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Julie Slick & Marco Machera 13/09/2014

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Sabato 13 settembre 2014 è una data che i teatini non dimenticheranno molto facilmente. Mentre alcuni preferivano vedere i Matia Bazar a Chieti Scalo che si esibivano in piazza davanti a un pubblico di famiglie, molti musicisti locali e non, intenditori di musica e persino qualche semplice curioso ha optato per un evento che ha avuto dell’incredibile: il talento di Marco Machera si è unito a quello di Julie Slick, nota ai più per far parte dell’Adrian Belew Power Trio e dei Crimson ProjeKCt, in un concerto indimenticabile che si è tenuto al Cueva Brigante, locale affascinante presso cui si sono esibiti anche Anemamè, Andrea Castelfrenato, Claudette & The Farmer, La Bruja, Acoustic Ladyland e tanti altri.

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Per l’occasione al duo ha voluto aggiungersi anche un certo Tim Motzer (lo conoscete vero?), chitarrista dalle spiccate doti che non ha bisogno di presentazioni, che dalla terza canzone in poi non lascerà più la scena e che verso la metà del concerto si concederà persino un’improvvisazione personale tanto delicata quanto aggressiva e rumoristica. Del resto sedi anni di tour in tutto il mondo e con collaborazioni alle spalle con artisti del calibro di Ursula Rucker, David Sylvian, Burnt Friedman, Jaki Liebezeit, Kurt Rosenwinkel, JamaaladeenTacuma, Markus Reuter, DJ King Britt e con oltre sessanta album in cui è creditato, sappiamo ormai tutti di cosa è capace quando prende in mano una chitarra.

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A impreziosire ulteriormente l’evento sono state le proiezioni video a cura di Dehja Ti, un’artista a tutto tondo che crea nella vita di tutti i giorni applicazioni, film, campagne, spot pubblicitari e installazioni interattiveper marchi e clienti in tutto il mondo. Insomma un appuntamento imperdibile a cui ovviamente Rockambula non poteva mancare!

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Tra i brani suonati durante la serata spiccano certamente “Green”, che apre anche Fourth Dementia,  il disco appena pubblicato dalla coppia Slick / Machera e “Infinity # 1”, brano dall’incipit Ambient che ha ricordato molto le sonorità del più sperimentale Brian Eno, ma con un pizzico di virtuosismo in più che non guasta mai. La differenza con la versione del disco è nell’assenza della batteria ma, detto tra noi, l’esecuzione è stata talmente tanto perfetta che credo nessuno abbia avuto di che lamentarsi. “Esteem” ha sconfinato anche nel puro rumorismo alla Sonic Youth (per la gioia dei presenti), la velocissima “Krush” è stata molto più orchestrale e complessa all’ascolto; “Overcome”  invece ha fatto un largo uso di delay da parte del basso di Machera con un loop affascinante a cui si è aggiunta anche un’inedita coda. La vera sorpresa della serata comunque è stata“1986”, che si è fusa perfettamente alle proiezioni che correvano veloci sull’edificio retrostante. “Ci provo” ha goduto di un cantato affascinante da parte di Machera che ha spiegato anche il titolo della canzone dicendo che è dovuto a queste due parole che Julie dice ogni volta che parla in italiano. Di pregevole fattura anche “Skypark” dal repertorio solista di Julie Slick, che nel suo disco Terroir vedeva collaborazioni eccelse quali quelle di Mike Visser, David Torn (session man fra i più richiesti a livello mondiale) e Carl Bahner.

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Ha chiuso la serata “Dinosaur” (cover dei maestri del progressive King Crimson) eseguita a grande richiesta del pubblico per l’unico bis della serata. Sono seguiti foto ed autografi per tutti i presenti e subito dopo un brindisi finale con dell’ottimo vino locale sono tornato a casa soddisfatto e contento come non mai conscio di aver assistito a uno dei concerti più particolari della mia vita. Voglio, last but not least, far notare che il concerto si è svolto in maniera totalmente gratuita, grazie a una cordata di imprenditori locali che hanno voluto sponsorizzare l’evento credendo nel forte valore culturale che esso ha espresso e che gli artisti sono venuti qui al solo rimborso “spese vive” in segno di amicizia verso  Lucio Di Francesco, organizzatore della serata che ringrazio personalmente per la sua preziosa collaborazione insieme ai ragazzi della Cueva sempre molto attivi nella vita culturale della città di Chieti.

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Dream Theater 23/07/2014 Photo Report

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Swans 9/10/2014

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Era di certo uno degli eventi musicali più attesi il mini-tour degli Swans di Michael Gira e lo dimostra il sold-out al circolo degli artisti di Roma. A Torino il concerto si è tenuto al’Hiroshima Mon Amour, il 9 ottobre. Alle dieci e mezza, puntuale, comincia lo show. Gli Swans si palesano in tutta la loro grandezza con due ore e mezza di concerto interrotto solo da brevissime pause. Due ore e mezza di inquietudine e violenza emotiva, di fronte alle quali non tutti riescono a resistere; c’è chi sente la necessità di assumere dosi massicce di caffeina, chi si lascia tentare dall’annuncio di Michael Gira circa l’imminente fine del concerto e lascia prematuramente il campo di battaglia, senza sapere che il live sarebbe durato ancora una buona mezz’ora. Anche Cristiano Godano (o il suo sosia n.1, nel caso avessi preso un abbaglio) ad un certo punto si dissolve varcando l’uscita prima della fine.

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Un concerto che ha messo a dura prova in molti, tranne loro, gli Swans, che dopo più di due ore di ritmi serrati si sono schierati davanti al pubblico con una nonchalance degna di nota; hanno ringraziato, senza mostrare cenni di stanchezza o cedimento, con addosso addirittura la voglia di scherzare, quando Gira per la presentazione della band conferisce ad ognuno un nome italiano, di un musicista o del tutto anonimo, riservando per sé stesso quello di Cicciolina.

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Ma tralasciamo gli aspetti di contorno, e concentriamoci sulla musica di questi “Cigni” selvatici, più neri che bianchi, dai toni scuri e oscuri, autori di una musica ricca di tormento, capace di rimanere ferma, immobile, costante, ossessiva per un lungo periodo, per poi esplodere all’improvviso (si pensi che solo l’introduzione del concerto dura più di dieci minuti, prima che la band al completo si manifesti sul palco). E quando parlo di esplosioni, parlo di momenti in cui tutto si accentua e diventa estremo (penso soprattutto al ritmo incalzante della doppia batteria), pur mantenendo un inspiegabile equilibrio tra le parti. I momenti di deflagrazione sono anche quelli in cui Gira accenna una sorta di danza, con movimenti delle braccia che ricordano proprio quelli di un cigno.

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Un’esibizione che richiede una certa dose di preparazione psicologica e concentrazione per l’ascolto (gli occhi di Michael Gira ne sono l’emblema, restano chiusi per la maggior parte del tempo), alla quale in molti non erano preparati. Un concerto, però, non è certo un corso di preparazione all’ascolto; un concerto è il momento più vero e reale per addentrarsi nel mondo di un artista, per capire quanto sia autentico e vicino nella realtà all’idea che trasmette di sé, nonché la prova del nove per le nostre sensazioni ed emozioni che si evidenziano durante l’ascolto digitale. E dopo questo spettacolo non c’è più niente da fare, se non affermare che gli Swans sono stati sé stessi, dall’inizio alla fine.

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We Were Promised Jetpacks

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Band scozzese giovanissima, dal nome Indie che più Indie non si può e con due dischi all’attivo senza infamia e senza lode. Ora i cinque ragazzetti (che oltre ad essere terribilmente Indie presentano dei volti terribilmente anglosassoni) approdano nel piccolo Spazio 211 di Torino per presentare il loro terzo lavoro in studio, che pare finalmente dare arie meno radicate al comodo suolo del frenetico Alternative Rock britannico. Alcuni miei amici sostengono che i We Were Promised Jetpacks abbiamo un live set killer. E questo non è l’unico motivo che mi spinge a muovere il culo dal divano il giovedì sera, ma ci si mette anche Daniele Celona che prepara le danze in apertura del concerto. Il cantautore torinese rimane uno dei miei preferiti di questi tempi, anche con uno scarno set acustico da solo, ammalia i presenti con la sua poesia Rock. Dolcezza, timidezza e pennate violente sulla sua chitarra acustica riempiono l’aria di forti emozioni. E allora oltre a nuovi brani (che vedranno la luce a breve nel suo nuovo disco) sentiamo anche le bellissime perle “Millecolori” e “Acqua” che, anche senza la potenza delle valvole e dei colpi di batteria, dimostrano di essere pura perfezione cantautorale. E’ proprio vero che una bella canzone rimane tale anche quando è scorporata di tutti i suoi fasti e ornamenti. Alle 23 circa salgono sul palco i WWPJ (com’è Indie chiamarli così!), poche luci ma ben assestate e le atmosfere della opener del nuovo disco. “Safety In Numbers” parte sottile, con la voce di Adam Thompson che scandisce bene i beat. Le tre chitarre crescono e la puzza di umido e di sudore sale, pare arrivare diretta da un becero garage di Camden Town. I cinque suonano più inglesi che mai e hanno una pacca di rara intensità. Poche fighetterie insomma e colpi ben scanditi a colpire in faccia il centinaio di persone davanti a loro. A seguire ancora un brano nuovo. “Night Terror” si propone con tanto di violenza sul rullante e basso superdistorto e ci manda un po’ al di la dell’Oceano, echi di The Strokes e The Killers. Subito dopo arriva la sicurezza di “Quite Little Voices”, bruciata già al terzo pezzo, con quegli incastri ritmici così storti e poi un treno dritto che pare avere la losca intenzione di riesumare sua maestà Ian Curtis. Spazio 211 si scalda definitivamente, ma la band non fa una piega, continua imperterrita a macinare groove nervoso con “Roll Up Your Sleves” fino all’arrivo di un’altra nuova gemma. “Disconnetting” ha sapore Trip-Hop e la voce di Thompson e il rullante di Darren Lackie si sposano benissimo alla cupa danza. L’assolo di chitarra poi è un viaggio intergalattico, poche frenetiche note in spazia aperti, senza confini. Proprio vero che questo nuovo album “Unravelling” riserva succose novità, come la seguente “Moral Compass”, scura, gutturale e con un ritornello epico e teatrale. I coretti lievemente Coldplay, spezzati dal solito intrecciarsi di ritmiche schizofreniche in “Keeping Warm”, ci accompagnano verso la fine del set breve ma intenso, carico di adrenalina e di chitarre composte ma sudate. Non si può dire che questa band presenti delle hit stellari, ma ha dalla sua un meccanismo ben congegnato e soprattutto ben focalizzato sul risultato live che, inutile girarci attorno, è raggiunto in piena regola. Altra dimostrazione è la New Wave dei primissimi U2 tirata al Noise più incazzato in “It’s Thunder And it’s Lightnening”. L’ultimo brano è a sorpresa una novità, “Peace of Mind” ci abbandona cadenzata, per nulla scontata, processione elettrica verso una luce artificiale. Verso un suono che non è per nulla leggendario, e non vuole neppure esserlo. Ma arriva lo stesso forte e chiaro, come un fascio laser ben mirato sulla nostra testa. Pronto a sparare, ci lascia coi nervi tutti ben tesi.

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Simple Minds 27/07/2014

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Devo ammetterlo: questa era la quarta volta che vedevo dal vivo gli scozzesi Simple Minds, miei idoli di gioventù che non ho mai smesso di seguire durante la loro lunga carriera. Anni fa ho avuto anche la fortuna di essere nello staff del Soundlabs Festival che aveva l’onore di ospitarli a Roseto degli Abruzzi e grazie al mio amico Vincenzo Andrietti, direttore artistico nonché factotum della manifestazione, ho persino coronato il sogno di poterli avvicinare e di scambiarci anche qualche parola (un po’ in italiano e un po’ in inglese dato che sia Charlie Burchill sia Jim Kerr parlano e capiscono perfettamente la nostra lingua). Il 27 luglio invece mi è capitato, grazie a Rockambula, di assistere al loro concerto (con la stessa formazione di allora) all’Auditorium Parco della Musica, ormai tempio consacrato per tutti i più affermati artisti moderni. Il concerto, inutile dirlo, era totalmente sold out, fra il pubblico era possibile scorgere gente di tutte le età (c’erano persino dei sessantenni che conoscevano a memoria tutte le loro canzoni!) e faceva parte di una delle sette date italiane del The Greatest Hits Tour, logica conseguenza del disco celebrativo del gruppo Celebrate – The Greatest Hit.

(Il trono su cui sedeva Jim Kerr nelle pause)
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 Il live si è aperto con “Waterfront” e si vede subito Jim Kerr che si prostra in segno di rispetto davanti alla folla che lo incita battendo le mani a tempo durante tutta la canzone. Il cantante, che è apparso in forma smagliante ed invidiabile nonostante avesse da poco superato i 55 anni di età, ha salutato quindi i presenti prima di “Broken Glass Park” con un “Grazie mille! Come stai? Che piacere tornare per noi a Roma; sarà una bella sera; sera fresca;”. Quando è la volta di “Love Song” il basso di Ged Grimes si fa ancora più granitico ed un assolo iniziale di Charlie Burchill che verrà seguito da uno della corista Sarah Brown, nota per aver lavorato al fianco di artisti quali Pink Floyd. “Mandela Day” viene introdotta come una canzone per Mandela (“nowwesing a song for Mandela, Thank You!”) abbastanza fedele alla versione in studio con molti virtuosismi di Mel Gaynor alla batteria mentre per la successiva “Hunter & The Hunted” Kerr ricorda a tutti che era contenuta in quello che forse è l’album più conosciuto del gruppo, New Gold Dream (81-82-83-84). In “Promised You a Miracle” basso e chitarra si scambiano per poco di postazione, giusto il tempo di arrivare a “Glittering Prize” (durante la quale Jim si distende letteralmente sul palco mentre Andy Gillespie si concede anche lui un assolo di tastiere), a cui segue l’inedita “Imagination” in cui il cantante scozzese chiede: “Tutto a posto Roma? Everything Ok? Let me seeyourhands!”. “I Travel” invece era quel brano che apriva Empires and Dance che fallì a livello commerciale ma che rimase per sempre nel cuore di tutti i fans del gruppo. “Dolphins” è invece molto più pacata e forse serve per smorzare le atmosfere in vista del lungo strumentale “Theme For Great Cities”, durante il quale ovviamente Jim Kerr si gode un (seppur breve) meritato riposo lasciando la scena ai compagni, ma soprattutto a Sarah Brown che ha l’onore di cantare da sola “Dancing Barefoot”, brano di Patti Smith (ripresa in passato anche dagli U2) che venne pubblicato come singolo nel 2001 in occasione dell’album di cover “Neon Lights”. Inizia così quella che si potrebbe quasi definire la seconda parte del set durante la quale viene introdotta la band e c’è spazio anche per un breve dialogo col pubblico che riportiamo quasi interamente (o mettendo qualche parola): “Parte finale del concerto, Roma andiamo! Prima era un concerto per mia mamma, una bella mamma. Sono stanco, sono vecchio, ho fame, normale a Roma, sono contento, sono molto molto contento; grazie per questa bella serata! Sempre ricordiamo prima volta in Roma tanti tanti anni fa in Ostia al Palaeur quando c’è neve… Perché siamo sempre giovani no?”. E’ il tempo di un’altra cover, “Let the Day Begin” dei The Call, che fa da spartiacque a “Someone Somewhere in Summertime” durante la quale il pubblico si alza dai posti a sedere per stare più a contatto con la band.

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Il bello deve però ancora venire soprattutto se consideriamo che il brano successivo è “See The Lights” che però non ottiene lo stesso effetto di “Don’t You Forget About Me”. Jim Kerr se ne esce con un bonario “Ma che casino…” prima di richiedere il silenzio e di ringraziare “per questa bella serata” e salutare con un secco “Buonanotte!”. Ovviamente però non poteva mancare il bis, ed i Simple Minds risalgono sulle assi del palco per concedere l’inedita “Big Music” e si concedono un ruffiano “Non vogliamo tornare a casa, vogliamo suonare la musica giusto? Roma, tutti, Let me seeyourhands! E’ Incredibile”. Siamo agli sgoccioli ed ecco arrivare “New Gold Dream (81-82-83-84)”, incantevole come sempre, prima del secondo bis che includerà in sequenza: “Letit All Come Down”, “Alive and Kicking” e “SanctifyYourself”. Il concerto finisce con un sottofondo inaspettato, “Jean Genie” di David Bowie, che il leader dei Simple Minds si diverte anche a ballare, non prima di aver salutato le migliaia di persone presenti.

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Rockin’ Cura (Photo Report) 05-06/09/2014

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La quarta edizione del festival Rockin’ Cura a Cura di Vetralla (VT) dal 5 al 6 settembre ha visto come protagonisti del festival Il Movimento, Majakovich, The Cyborgs, per la serata del 5 settembre e Progetto Panico, Bamboo e The Zen Circus e Rockambula tra i media partner. Le foto sono a cura di Francesco Meloni. L’organizzazione del festival è curata dall’associazione ImaginAction Eventi.

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Afterhours 27/08/2014

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Il festival Contro, di Castagnole Lanze in provincia di Asti, marca, per i piemontesi, la fine dell’estate. E per me, con l’esibizione del 27 agosto degli Afterhours, chiude un cerchio iniziato tanti anni fa. Perché la band di Agnelli è stata la prima che ho visto dal vivo, in una di quelle occasioni assurde in cui sei ancora così piccola che tuo padre ti accompagna a vedere un concerto e sta fuori in auto a fumare per due ore, commentando fra sé quanto siano strani i tuoi amici. E sempre in piena adolescenza, il 27 agosto 2003 (chissà se gli organizzatori l’hanno scelta di proposito questa data anche per il 2014), ero a vederli per quella che era già almeno la terza volta della mia esistenza, esattamente a Castagnole, a urlare di volere una pelle splendida. Undici anni dopo, sulla soglia dei 30, posso dire che la mia pelle, nicotina e tutto, si difende alla grande. Ma su questo faremo bene a tornare tra una decina d’anni di sigarette, litrate di birra e vita varia. Gli Afterhours, in questo tour, suonano tutto Hai Paura del Buio, da cima a fondo con tanto di intro. Sono così filologici nella ripresa che sono persino vestiti come allora, con le loro camicie colorate dai colletti larghi e le giacche con un taglio di almeno una decade anteriore all’uscita del disco.

Ricordavo che la volta precedente, in piazza San Bartolomeo a Castagnole, Agnelli aveva censurato la bestemmia di “1.9.9.6.” per via della chiesa antistante. Nel 2014 ha vinto la filologia. Non crediate, nonostante l’adorazione brufolosa che avevo per la band, che io abbia passato gli ultimi dieci anni a farmi delle gran seghe mentali sui dischi degli Afterhours. Grazie a dio ho aperto i miei orizzonti e, se anche ho avuto modo di apprezzare alcune delle loro ultime fatiche, con I Milanesi Ammazzano il Sabato avevo smesso di seguirli. Ed ero veramente scettica sulle doti vocali di Agnelli che invece ci ha regalato esecuzioni di tutto rispetto e urla strazianti alla vecchia maniera su “Male di Miele”, “Lasciami Leccare l’Adrenalina” e su “Rapace”. Belle anche “Dea” e “Simbiosi”, intense come allora “Pelle” e “Voglio una Pelle Splendida”. C’è di che sentirsi vecchi a urlare la strofa di “Sui Giovani d’Oggi ci Scatarro Su” saltando come un’idiota e pensando che non cambia mai un cazzo, in fondo, in questa società. Finiscono il disco. Bravi bravi.

E ma che vuoi da gente che comunque suona da più di vent’anni. Escono di nuovo, si sono cambiati: tutti vestiti di nero, tranne quell’eclettico di Roberto Dell’Era che si è conciato in maniera del tutto improbabile, in un mix bianco ghiaccio tra Elvis e Elio e Agnelli annuncia che è venuto il momento di fare sul serio. Il pubblico, per altro poco numeroso (forse sconfortato dai venti euro di biglietto), è gasatissimo. Peccato che seguano venti minuti di rottura di palle devastante (“Spreca una Vita”, “Ci Sarà una Bella Luce”, “Costruire per Distruggere”, “Io So Chi Sono” e “Padania”). Aritadeci gli anni 90. E il secondo encore ci accontenta. Una “Strategie” tiratissima ci ricatapulta indietro nel tempo, giusto in tempo per far spazio a “La Verità che Ricordavo” e alla sempreverde “Non è per Sempre”. Mi stupisco di essere quasi la sola a cantare “Ballata per la Mia Piccola Iena”. Eppure quello era ancora un gran bel disco della formazione milanese. Seguono “La Sottile Linea Bianca”, “Quello che Non C’è” e, finalmente, “Bye Bye Bombay”. E su quella mi saluto. Saluto gli Afterhours che non credo onestamente rivedrò più nella mia vita, perché quell’epoca è finita, e saluto la piccola me, tutta fasci di nervi, incazzatura facile, grandi speranze, letteratura, ambizioni, speranze e psicodrammi che non sono un cazzo rispetto a tutto quello che viene dopo, nel bene e nel male.

Io non tremo, è solo un po’ di me che se ne va.

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Caparezza 15/07/2014 (Photo Report)

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Streetambula 30/08/2014

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Necessaria premessa. Streetambula per me e per tutti noi di Rockambula non è un evento come gli altri perché se non si può definire esattamente la festa della nostra webzine è palese già dal nome che proprio noi siamo parte importante di tutto l’apparato organizzativo avendo oltretutto realizzato le preselezioni che hanno coinvolto oltre trenta band da tutta Italia. Sarò di parte, dunque, ma lo sarò nella maniera più professionale possibile.

Streetambula, tra le tante altre cose, è un contest/festival che si svolge l’ultimo sabato di agosto ormai da due anni in una piccola cittadina piazzata al centro della Valle Peligna, territorio ameno nel cuore dell’Abruzzo. Il palco, come da tradizione, è montato in una delle piazze principali di Pratola Peligna (AQ) e non c’è nessun biglietto d’ingresso da pagare per vedere ben otto band emergenti più un artista di punta che quest’anno è stato Miro Sassolini (Diaframma, S.m.s.). Ovviamente, sono sul selciato che nelle ore seguenti sarà calcato dalla grande folla molte ore prima l’inizio ufficiale dell’evento. C’è fermento per un’edizione che si preannuncia spettacolare per la qualità delle band e per l’ospite d’onore e comincia ad avanzare il timore che la pioggia possa rovinare tutto. Alle diciassette e trenta il presentatore d’eccezione (Angelo Violante, meglio noto come Borghese) dovrebbe salire sul palco e iniziare a introdurre la serata ma ecco arrivare la paventata pioggia, non quella leggera prevista da qualche sito web il giorno prima, ma un temporale di quelli che non ne vedevo da mesi e la paura che si possa annullare una serata organizzata tra mille difficoltà da un anno intero comincia a diventare una convinzione.

Tuttavia, sarà per le preghiere di qualcuno, le imprecazioni di altri verso il cielo, sarà per l’ottimismo di Miro Sassolini, intorno alle 19:00 il cielo si apre, si scorge un arcobaleno, lo staff tecnico toglie i teloni, sistema il palco e decide che si potrà partire, con ritardo, con qualche taglio, ma si potrà fare il concerto, come previsto. Borghese sale sul palco e con lui Piero Vittoria, giornalista musicale freelance che presenta il suo libro Viaggio di un Freelance tra Parole e Musica che raccoglie le migliori e le più interessanti interviste fatte ad artisti del calibro di Mango, Gino Paoli, Caparezza, Boosta e tantissimi altri. Oltre a lui, altri ospiti saliranno sul palco, dal sindaco del paese, Antonio De Crescentis, che si mostrerà attentissimo alle dinamiche riguardanti la musica live sempre più protagonista nella vallata, fino al factotum dei Two Fates, Giuliano Torelli, dalla voce dei Sixty Drops, i quali regaleranno anche un poderoso dj set, al giornalista Andrea Di Nisio. Quindi si parte con il contest vero e proprio, mi siedo nella postazione dedicata ai giurati insieme a Sassolini e a tutti gli altri e si comincia con la band Laika Vendetta. Una vera e propria bomba; i ragazzi di Alba Adriatica non mi erano per niente nuovi, pur trattandosi di un progetto non più vecchio di tre anni, eppure c’è una differenza sostanziale tra l’ascoltare la loro musica in cuffia, apprezzandone stile, tecnica e tematiche e ritrovarsi invece investiti dalla potenza che si sprigiona dal cuore del loro Alt Rock, a partire dalla voce del carismatico leader Emidio De Bernardinis; oltretutto proprio lui arriverà secondo nella speciale classifica dedicata alle migliori voci della serata, ricevendo apprezzamenti senza fine da uno che della voce ha fatto il suo credo, proprio l’ex Diaframma, il quale riconoscerà a De Bernardinis la capacità di toccare dinamiche vocali non semplici senza mai scomporsi.

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Dopo i Laika Vendetta, è dura per gli altri salire sul palco ma, per buona sorte di tutti, tocca ai Malamadre, freschi vincitori del Pescara Rock Contest e tra i favoriti preminenti per gran parte degli addetti ai lavori. Quello che ci si aspetta è uno spettacolo indimenticabile, almeno a quanto detto da chi li ha visti di recente. Io, che non sono tra questi, muoio dalla curiosità di ascoltarli e vederli e magari colmare qualche dubbio sortomi nell’ascolto casalingo delle tracce. I Malamadre sono una di quelle band che le cose le fa per bene, si vede dal loro progetto che si mescola al fumetto e si vede da come sanno stare sul palco eppure stasera non è la loro serata migliore, come mi confermerà anche lo stesso Giuliano Torelli, uno dei primi sponsor della band abruzzese. Tuttavia, non tutto scivolerà via senza troppo clamore, perché la voce di Nicholas Di Valerio è di quelle che quando le ascolti poi non le dimentichi presto e, alla fine, sarà proprio lui a vincere il premio Musicalmente alla migliore performance vocale della serata.

Dall’Abruzzo, si vola a Bologna. Salgono sul palco i Minimal Joy, quelli che, almeno sulla carta, avrebbero tutte le carte in regole per essere i favoriti del nostro presidente di giuria. A livello compositivo, il quintetto che miscela Darkwave e Post Punk con Pop e Rock, mette sul palco i brani più interessanti della serata e, sarà lo stesso Miro Sassolini a dirmi che proprio loro, a suo avviso, sono i migliori ma non quelli che hanno suonato meglio. Cogliamo, infatti, qualche imperfezione di troppo e alcuni fattori sembrano spostare in basso l’asticella. I Minimal Joy fanno quello che solo band dal futuro roseo possono fare, spaccano sia il pubblico sia la giuria, qualcuno apprezza e tanto, qualcuno critica e tanto e alla fine saranno comunque la band col più alto voto del pubblico. Dopo tanto Rock, arriva on stage come una benedizione Lilia, da sola col suo portatile, la sua voce, tanti effetti, programming e una musica celestiale eppure capace di trascinare ritmicamente il pubblico, incantando e facendo innamorare i presenti. L’Elettronica che si sposa con la melodia del Pop è portata, da Lilia, a livelli eccelsi e, se qualcuno non apprezzerà le atmosfere forse troppo tenui e delicate per una piazza, gran parte degli astanti si perderà in una marea di complimenti, alcuni augurandosi di poter vedere l’eccezionale artista accompagnata da qualcuno che possa pensare solo a drum machine e programming lasciando a lei il solo compito di ammaliare con le corde vocali. Arriverà seconda, nella classifica finale ma a lei andrà il premio speciale Wallace Multimedia per la migliore presenza scenica e per una ragazza che sale da sola su un grande palco ed è costretta a stare piantata di fronte ad uno schermo è un riconoscimento alla sua capacità di riempirlo comunque quel palco, con tutto quello che la sua voce e la sua musica riescono a suscitare.

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Siamo a metà contest quando sale sul palco Gabriele Squartecchia, persona squisita e sorpresa assoluta della fase di preselezione poiché il progetto ha solo pochi mesi di vita, con la sua band, Novembre. Sarà il gruppo più controverso, quello di cui sentirò lodi e critiche più estreme. Piace tanto la parte strumentale, le melodie, i brani e piace la presa di posizione del palco, con lui, la sua giacca Ministri-style e la sua tastiera piazzati al centro come capitani d’una nave e gli altri a sudare ai lati e alle sue spalle. Sarà, invece, proprio la voce di Gabriele, il punto più spinoso della sua valutazione. Uno stile certamente non molto consueto, così tendente ad alte intonazioni, ma una timbrica impalpabile e qualche stonatura che, con una voce siffatta non possono passare in secondo piano.

Dopo Novembre, salgono sul palco, da Salerno, I Fiori di Cadillac. Ovviamente, anche loro mia vecchia conoscenza, eppure mai mi avevano completamente rapito e invece stasera mi fanno letteralmente sobbalzare dalla panca. Splendide le canzoni nonostante il loro non fosse che un non troppo originale Alt Rock dai chiari echi radioheadiani, eccelsi in fase esecutiva e tecnica e ottimo anche il modo di stare sul palco. Per me, da giurato, i vincitori sarebbero loro ma alla fine arriveranno terzi, battuti da musicisti (bravi allo stesso modo) solo per pochissimi voti.

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Siamo alle battute finali e quello che mancava alla serata è un po’ di sano Punk Rock, che nel caso dei Deathwood, è Horror Punk in stile Misfits. Per me sarà il momento di reggermi forte visto che, da quanto ricordo, quei tre mostri piazzati in linea davanti alla batteria, come un plotone di esecuzione senza pietà, mi scaricheranno addosso tante di quelle note come proiettili che sarà dura stare in piedi. E invece niente di tutto questo accade, il suono è buono ma debole, almeno rispetto alle aspettative e la voce di Pasquale Turco stasera è tutto fuorché in forma da competizione. Qualcuno non apprezzerà neanche lo stile dei quattro ma, lo sappiamo, il Punk è difficile da far digerire a tutti.

Siamo alla fine, tocca a Dott. Quentin & Friends, una delle formazioni più attese del lotto e padroni di casa; ma prima accade l’impensabile. Borghese e Sassolini sono sul palco, per una breve intervista, mentre si stanno ultimando i preparativi per quella che sarà l’ultima esibizione della serata, almeno per quanto riguarda il contest. Sassolini sta parlando, alcuni fan del Dott. Quentin lo invocano disturbando la voce degli S.m.s. ed ex Diaframma che si risente, attaccando con eccessiva voga i disturbatori. A questo punto interviene il corista di Dott. Quentin & Friends che spinge Miro Sassolini a velocizzare il suo intervento in quanto il pubblico stava aspettando la musica e non le sue parole e nasce un antipatico battibecco che qui nomino tale ma che in realtà è una rissa sfiorata. Non interviene l’organizzazione, ritenendo ancor più inopportuna una loro presa di posizione immediata, preferendo confidare nel buon senso. L’esibizione di Dott. Quentin & Friends è pregevole, come sempre, ma ormai l’attenzione è tutta rivolta ad altro. Dott. Quentin, vera vittima di quanto accaduto, deve subire l’astio di chi non ha apprezzato le parole dette sul palco da un membro della sua band e finisce per essere valutato in malo modo da quasi tutti i giudici. Il suo diventa un ultimo posto che mi sento di assegnare non tanto al dottore quanto all’episodio in se, momento di bassissimo livello che mai avrei voluto vedere. Finita l’esibizione delle band in gara, Miro Sassolini sale sul palco per qualche breve pezzo sperimentale, insieme al suo collega mago dei suoni Daniele Vergni. Performance intensa e irriverente, fortemente condizionata dallo stato d’animo particolarmente nervoso dei protagonisti, eppure di quelle che si lasciano ricordare. Poi si torna sul palco per la premiazione finale. Premio miglior voce al cantante dei Malamadre, come già detto; premio per la miglior presenza scenica a Lilia e quindi la classifica vera e propria del contest. Ultimo, ma personalmente tutt’altro che ultimo, Dott. Quentin & Friends. A seguire i Deathwood, palesemente condizionati dall’impossibilità di fare un soundcheck completo. Poi Novembre, forse la band che più ha creato divario tra pro e contro. Ai piedi del podio i Malamadre e i Minimal Joy mentre sul gradino più basso si piazzano i Fiori di Cadillac. Tra Lilia e i Laika Vendetta la spunteranno proprio questi ultimi e, tra i diversi commenti ascoltati sia dentro la giuria che tra la gente, è una di quelle vittorie sulle quali nessuno ha avuto da ridire. Alla fine una grande serata, nonostante la pioggia, nonostante qualche battibecco e incomprensione. Otto band eccelse, un presidente di giuria che ha dato lustro all’evento e, quasi dimenticavo, tante etichette, case editrici, associazioni, webzine e artisti. Comincia il conto alla rovescia per la terza edizione. Che succederà stavolta?

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Ballads (Francesco Di Bella & Alfonso Bruno) 01/08/2014

Written by Live Report

Il primo di agosto, le spiagge di Miseno, situate a Bacoli (NA), sono state incantate dalle trascinanti note e le suggestive narrazioni di Francesco Di Bella approdato quel giorno, insieme ad Alfonso “Fofò” Bruno, con il suo progetto chiamato Ballads. L’intima atmosfera che si respirava al Miseno Cafè era un connubio tra amicizia, allegria e sensazioni festaiole, nonostante alcuni temi grigi, anche se d’impatto, che Di Bella toccava nelle sue canzoni. Il malinconico cantautore, frontman degli eccezionali 24 Grana, ha in tutto e per tutto voluto condividere la sua musica con i fortunati cittadini Bacolesi. Un paio di birre e qualche sigaretta; sono questi gli elementi giusti per accompagnare le coinvolgenti strofe di Francesco Di Bella, ricche di sensuali melodie. Si è trattato di un piccolo ed intimo concerto unplugged che ha visto il calore e la partecipazione di un pubblico veramente affezionato: tutti a cantare, ballare e sognare su quei classici che hanno fatto la fortuna del prestigioso artista Napoletano. Chiaramente non bisogna omettere Alfonso Bruno che con la sua chitarra acustica ha scaldato gli animi di tutti i presenti. Canzoni come “Kevlar”, “Canto pè nun Suffrì” e “Vesto Sempre Uguale” fanno sempre viaggiare la mente trasportandola alla deriva dalla realtà. Maggiore coinvolgimento del pubblico lo troviamo con “La Costanza”, “Carcere” e “Accireme”; ottima esecuzione anche per “L’Attenzione” e “Canzone su Londra” mentre la chiusura spetta, come da copione, alla stupenda “Stai Mai Ccà”. Tutto sommato si è trattato di un interessante spettacolo che ha messo ancora una volta in mostra le ottime doti artistiche ed espressive di Di Bella e la bravura di Bruno alla chitarra.

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Questo almeno a voler valutare in modo oggettivo la performance perché questo piccolo concerto ha avuto tra il pubblico diversi storici e nostalgici fan dei 24 Grana che avevano un parere diverso: per loro sembrava quasi si trattasse di uno show arrangiato, d’intrattenimento e che offriva, nel bene o nel male, il minimo indispensabile. Insomma tra fan di vecchia data, estimatori dell’artista, appassionati del genere e giovincelli di raffinati gusti musicali, l’evento, organizzato dalla formidabile associazione Vakllà è stato comunque un successo. L’associazione citata, formata da Luigi Pontillo e Bruna Manfredonia, negli ultimi anni è cresciuta tantissimo ed ha ottenuto svariati consensi grazie alla riuscita di importanti eventi nella zona Flegrea di Napoli. In definitiva ascoltare questo Ballads è stato più stimolante e nel bene o nel male, vuoi o non vuoi, Francesco Di Bella sa come emozionare e come tenere un palco.

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