Che bella la musica spensierata. Pronta a strapparti un sorriso già dalle prime note e tenertelo stampato in faccia anche solo per una timida mezz’ora. Una serata sulla spiaggia, un falò, vento del Sud, una chitarra e una musica che suona nell’aria più che nelle mani o nelle bocche.
I romani Audio Magazine sono ciò di cui ha spesso bisogno la canzone italiana: un’onda anomala, positiva che ci trasporta su una riva incantata dove la fiesta è appena iniziata. I ragazzi servono un cocktail fresco di Reggae (che forse paga il suo tributo più al revival salentino che alle terre jamaicane) e melodia Pop (ma che più Pop non si può), senza mai scadere però in retorica o facili costumi. E allora “Toda la Vida” e “Sono Qui” sono brani estivi che mi piacerebbe davvero sentire dalle gracchianti casse dei lidi, mentre “Cambierò” azzarda un sound più moderno e aggressivo che mescola alla perfezione le voci di Andrea Cardillo e Francesco Carusi (ok, inutile nasconderlo: è vero che la timbrica di quest’ultimo ricorda Marco Masini?).
Fuori dall’isola felice “Un Sole Spento”, malinconica conclusione che ci riconsegna alla triste realtà. Forse questa potevano risparmiarcela, in un EP tutto fiesta e costume da bagno la ballatona stona e fa da “guastafeste”. Ma non facciamo gli schizzinosi: in un paesaggio stracolmo di nuvole, un EP così rimane un raro raggio di sole che fa risplendere tutti i denti che sfoderiamo al suo ascolto.
Novità
Audio Magazine – Audio Magazine BOPS
Ordem – The quiet riot BOPS
Gli Ordem se ne escono con questo album sincretico di rock poco graffiante e molto abbordabile, basato su chitarre retrò, batterie in faccia e una voce istrionica che snocciola liriche in inglese deformandosi, ringhiando per poi sussurrare in saliscendi emotivi che almeno hanno il pregio di tenere in movimento il percorso che altrimenti potrebbe annoiare (ammesso che non lo faccia a prescindere).
The quiet riot è un tuffo nel passato, nel rock che furoreggiava a cavallo tra gli anni ’80 e i ’90 del secolo scorso, a volte andando più indietro (“No Life”) a volte più avanti (“Brand New Song”), in ogni caso, probabilmente, risultando più eccitanti dal vivo che su disco. Non che le canzoni siano scritte o suonate male, intendiamoci: però cosa ci dicono gli Ordem che non sapevamo già? Probabilmente nulla.
Àlia –Ària Ep BOPS
Le atmosfere di lana, l’amore arrivato al punto di arrivo, le varie sfumature della poesia e i rimandi culturali a poeti ed eventi storici, costruiscono a forma d’arte l’ep Ària , del progetto musicale Àlia, dietro il quale c’è il bergamasco Alessandro Curcio (voce, cori, chitarra elettrica) e Giuliano Dottori (chitarra elettrica, basso, pianoforte, tastiere, rhodes, batteria, e anche produttore e chitarrista degli Amor Fou).
Un lavoro di cinque brani, che vagano tra pennellate di New Wave, Post Rock, Jazz, grazie alla tromba di Roberto Villani, e soprattutto di poesia cantata, quasi sussurrata, senza sovra-eccessi, ma solo quel che serve, quel che è indispensabile all’arte, che è il tutto e non il mezzo. Gli strumenti, poi, sono il collante, il cielo, la terra, l’aria di questo mondo musicale, quasi perfetto se non fosse per l’emozione che emana, che non fa parte del non plus ultra.
Una poesia musicale non facile da costruire e che dovrebbe essere sempre il desiderio di ogni compositore, ma purtroppo così non è, e quando questo connubio esiste nella sua bellezza non si può far altro che dedicargli un plauso e un attento ascolto.
Threelakes And The Flatland Eagles – Uncle T BOPS
Un brevissimo ep (3 pezzi per poco più di 10 minuti di durata complessiva), registrato in una sola giornata e per giunta all’aperto. Questo per dirvi quanto sia curioso il progetto Threelakes And The Flatland Eagles, che ho avuto il piacere di scoprire dal vivo al Magnolia di Milano in apertura a La Notte Dei Lunghi Coltelli (ma questa è un’altra storia).
Threelakes è un cantautore mantovano, Luca Righi, mentre The Flatland Eagles sono i suoi compagni di viaggio (Andrea Sologni, Raffaele Marchetti e Lorenzo Cattalani). Ciò che traspare vedendoli dal vivo (ma potrei sbagliarmi) è che tutto l’impulso creativo da songwriter venga dal frontman, mentre il vestito shoegaze sia cucito dalla band. In realtà, credo che, come spesso accade, la verità sia più indefinita, e i contributi al progetto più corali. Questo non toglie che queste due anime siano lo scheletro ultimo del progetto: un cantautorato (ma anglosassone, non solo perché la lingua scelta è l’inglese, ma anche perché lo stile richiama più gli States che casa nostra) che si rispecchia nell’uso particolare della voce, strascicata, sussurrata, mai piena, e nella chitarra acustica, linea su cui tutto s’appoggia; e una band fatta di ritmiche semplici ma ossessive, un basso che mi piace definire liquido, e chitarre prima alte e arpeggiate, poi distanti e bagnate. Insomma, un buonissimo punto di partenza, che lascia curiosi quanto basta per aspettarne un seguito.
Mugaen – Chronophobia BOPS
“Mugaen è innovazione musicale”. Questo trovo scritto nella cartella stampa accompagnata a questo EP di tre brani e non posso che sottoscrivere. I quattro ragazzi veneti si definiscono non solo fruitori ma addirittura fondatori dell’Acid, un genere musicale che estende il concetto di Acid Jazz inserendo nella formula elettronica, metal e un pizzico di fusion. Arrangiamenti sulla soglia della perfezione, suoni eccellenti, songwrinting impeccabile ed esecuzione magistrale delle parti per un’atmosfera che vi farà viaggiare verso l’infinito (Mugaen in giapponese significa appunto “infinito”) su ritmiche complesse e armonie mai banali. La voce di Sara Manea contribuisce a chiudere un cerchio che non definisco perfetto solo perché sono di fronte ad un’anteprima e non a un vero e proprio album. Se il risultato del disco completo (al quale i Mugaen stanno ovviamente lavorando) è all’altezza di questo EP, non potete farvelo scappare.
The Crazy Crazy World Of Mr. Rubik – Urna Elettorale (The Crazy Crazy Crisi) BOPS
Il punto di questo (simpatico) Urna Elettorale (The Crazy Crazy Crisi) dei tre The Crazy Crazy World Of Mr. Rubik è l’indecisione. TCCWOMR suonano filastrocche ironico-grottesche immerse in un rock rarefatto, dalle ritmiche sincopate, quasi di stampo World Music, ma non riescono a stupire quanto dovrebbero. Le canzoni potrebbero essere sbarazzine, ma in alcuni casi s’allungano troppo (non è questione di minutaggio). C’è della carica critica nelle liriche, soprattutto quelle più sensate, ma non abbastanza da farne un disco “d’opinione”. Ci vedo, in controluce, tutta una visione d’insieme che tenta di mostrare il non-senso delle cose (“Parababè”, “Sebele”), ma secondo me non è sfruttata al massimo. Tecnicamente ci si mantiene sul semplice, basando tutto su chitarre crunchy, percussioni saltellanti e suoni/rumori d’atmosfera (e questi due elementi costituiscono la parte più interessante del disco, nascosta in introduzioni, code, incisi, deviazioni varie). Le voci potevano essere migliori, ma in un lavoro del genere (Rock sospeso, Elettronica minimal) fanno ciò che devono.
In ogni caso, Urna Elettorale riesce a regalare, qua e là, qualche soddisfazione: la title track si lascia ascoltare con facilità, e qualcosa rimane incastrato nelle orecchie a solleticarci la fantasia anche in altri episodi (“Cambiamo Forma”, “È Tempo Di…”).
Urna Elettorale è un po’ come quell’amico che abbiamo tutti: indeciso, incostante, ma con quella faccia simpatica che non ci permette di ignorarlo quando lo becchiamo per strada.
Mama Suya – Mamasuya BOPS
Enciclopedici, virtuosi, poliedrici. I Mama Suya, in dieci tracce in bilico tra blues, funk e qualche apertura rockettara e lounge, sanno intrattenere e divertire, ma niente di più. Musicisti raffinati, costruiscono sentieri retrò che pescano da un po’ tutta la storia della musica moderna, ritagliandosi uno spazio che però è limitato all’ascolto diffuso, da elevator music, da albergo. Per carità, i maniaci della musica ben scritta e ben suonata troveranno in questo disco tutto ciò che vogliono: assoli incendiari e pacati, groove intensi e liquidi, atmosfere brillanti e rilassate. Difficile però che vi lasci qualcosa di più dell’istinto di applaudire festosi alla bravura dei tre Mama Suya (ma le tastiere chi le ha suonate?). Mia opinione finale: un incanto per le orecchie che rimane alquanto superficiale (e d’altronde, nemmeno loro nascondono di volersi, prima di tutto, divertire: “L’idea di base è: ‘suoniamo la musica che ci piace’.”). Ascoltateli qui e fateci sapere che ne pensate.
Le teste – 2012 BOPS
Dopo l’incipit meditativo, a tratti cool, di “Preludio”, i lombardi Le teste partono in quarta con uno ska-rock potente, cantato in italiano e swingato in stile Roy Paci (ma se possibile con molta più classe), che non guarda in faccia nessuno: ce n’è per tutti, dalle idiozie mediatiche sulla fine del mondo di “Fine dei giochi” o “2012”, al nostro bel Paese di maneggioni in “Calciopolis” e lo status symbol da drink regalati nei locali fighetti di provincia in “Free Drink”. Immancabili la canzone d’amore, “Lovely girl” e la critica sociale di “L’animale” e “C’è crisi”. E se la prendono anche coi fresconi che si bevono qualsiasi prodotto musicale come fosse Coca-Cola nella velocissima “Estasi sintetica”, e con i “Pagliacci!” che riempiono le nostre città di slogan e false speranze. “La ruota”, traccia di chiusura del disco, sembra essere una summa di tutte le narrazioni precedenti: i ragazzi ci stanno dicendo che siamo coinvolti in un ingranaggio che forse neanche vediamo, la cui morsa stringe e lascia un segno silenzioso, nel suo incessante movimento. A noi non resta che illuderci di poterla fermare. Le teste, al contrario, vi faranno muovere e parecchio. Che vi piaccia il genere o no, questa è gente da andare sicuramente a vedere dal vivo. Enjoy!
Devil – Magister Mundi Xum _ The Noble Savage BOPS
Insomma i Devil si sono decisi a partire in quarta, quasi come se volessero dire <Vogliamo tutto e subito>. Certo, perché a distanza di un anno dal loro disco d’esordio, Time To Repent, sfornano una raccolta che comprende il loro primo demo Magister Mundi Xum e i loro primi singoli “TheNoble Savage” e “Blood Is Boiling”. Si sono dati da fare, c’è volontà di farsi notare con la loro musica, con il loro repertorio, con le loro creazioni. Il disco è un immancabile occasione per chi ha apprezzato i Devil, se Time To Repent è stato di buon gusto questa raccolta non potete perdervela. Chiaro che lo stile è quello Stoner e Sludge alla Black Sabbath condito all’Hard Rock dei Blue Oyster Cult vecchio stampo per rendere l’idea. E’scontato a questo punto che ascolterete poco di nuovo, alcune tracce sono addirittura presenti nel disco d’esordio altre invece, come i due singoli citati prima o “Welcome The Devil”sono in un certo senso la sorpresa della piccola compilation. Personalmente ho apprezzato tantissimi il loro debut album, i Devil hanno dimostrato già in quel momento di avere carattere, con questo lavoro hanno confermato di avere uno stampo eccezionale. Logicamente i lavori di produzione e di registrazione sono molto più avanzati, questo perché ora la band ha un etichetta alle spalle che gli ha potuto permettere un certo tipo di lavoro e perciò è nota la qualità dei lavori precedenti e di quelli presenti nella raccolta. Detto brevemente, se i norvegesi Devil vi sono piaciuti e volete approfondirli, questo è il momento giusto.
The Hollyhocks – Pop Culture BOPS
Eighties e moda, synth e effetti di chitarra, voce alla Spandau Ballet e ritmiche indie, tipo dagli Arctic Monkeys in giù. Insomma, in questo Pop Culture dei torinesi The Hollyhocks c’è tutto quello che serve per farne un must, un successone, una sequela di hit con cui far ballare tutti i dancefloor hip della penisola. E tutto ciò che serve, aggiungo, per non farmeli piacere. La bravura c’è pure, non confondiamoci: le sintetizzate analogiche sono fatte come si deve, gli incroci di genere non annoiano, l’orecchiabilità è costante, le melodie accattivanti, e la punta del piede tiene il tempo senza particolari difficoltà. Però basta, dai. Ho passato troppi venerdì sera davanti a gruppi del genere, e di nessuno ricordo il nome. Le canzoni sembrano una sola, lunga canzone di trent’anni fa, bagnata nell’effervescenza indie pop così tipica di questi anni ’10. Ora, so benissimo di essere io quello sbagliato, per cui andate ad immergervi nella time machine electrostyle dei The Hollyhocks e ballateli fino allo sfinimento, so che ne siete capaci! Ma, per favore, lasciate me al bancone a bere da solo, vi raggiungo dopo… P.s.: O sono io a non capire cosa diavolo significhi post-punk, o la gente usa il termine completamente alla cazzo…
Bluesaddiruse – Bluesaddiruse BOPS
Si chiamano Bluesaddiruse, vengono da Napoli e da quella tradizione partenopea che è il Neapolitan power, quel movimento che negli anni ’70 del secolo scorso portava nuova linfa e un sapore internazionale al meglio che la canzone napoletana avesse saputo dare. Fanno un hard rock con influenze funk e blues (tastiere e armoniche come se piovesse), molto uptempo, con qualche incursione in territori diversi (“Senza Feeling”), fiati che spuntano qua e là e una voce roca e interessante (un timbro alla Giobbe Covatta): canzoni che ci ricordano che il napoletano è un’ottima lingua per il rock’n’roll, così simile (come accenti e possibilità metriche) al più ovvio inglese. Il disco è prodotto bene e suona compatto e divertente. Niente di nuovo sotto il sole (anzi, sembra di aver viaggiato con una macchina del tempo fino almeno agli anni ’80), ma come si fa a dire di no a del rock in napoletano suonato bene? Nota di demerito invece per quanto riguarda il modo in cui si propongono: la copertina più trash di tutti i tempi e il disco inviato in .wav (peso totale verso il giga…)
https://www.youtube.com/watch?v=g7DIyo7WIx4