La proposta della band vicentina che risponde al nome Casa, nasce nel 1998 da un’idea del duo Filippo Bordignon e Francesco Spinelli (che proprio in occasione di quest’album lascerà il posto e la chitarra a Marco Papa) i quali decidono di fare musica attraversando la strada della carriera mainstream trasversalmente e a cento chilometri l’ora. Le loro note e le loro parole sono cosi distanti dal Pop e la loro indole cosi anticonformista da permettere ai Casa di mescolarsi all’arte contemporanea, di improvvisare Live con diversi pseudonimi come Plus e Little Jew Quartet, di collaborare con artisti diversi, musicisti e non, e soprattutto di sperimentare in ogni momento della loro esistenza costellata di episodi quantomeno bizzarri. Nel 2008, al Festival di Arte Contemporanea Tina B di Praga presentarono un lavoro multimediale ispirato dalla deviazione sessuale dello “sniffing“. Il pubblico ne fu particolarmente nauseato spingendo l’organizzazione a staccare la spina e i Casa a suonare senza suoni. Dello stesso anno è la decisione di inserire un artista sordo come loro cantante, per il progetto “Musica Intuitiva”. Dovreste aver già intuito (appunto) davanti a che personaggi ci troviamo. Artisticamente prodotto da Andrea Santini, Crescere Un Figlio Per Educarne Cento è il quinto annuale lavoro che segue nell’ordine “Vita politica dei Casa”, “Remake”, “Un giorno il mio principe verrà” e “Peggioramenti” e vede la partecipazione, oltre alla formazione base composta da Filippo Bordignon, Marco Papa, Filippo Gianello, Ivo Tescaro, di numerosi ospiti eccellenti come Gianpaolo Bordignon, Marco Ferrari, Nicola Riato, Lele Rigon e tanti altri. Prima di passare alla musica, volevo citare anche l’interessante immagine di copertina di Manuel Baldini, dettaglio di tecnica mista su tela. Sapete che sono cose cui tengo.
L’album parte col botto, con l’estemporaneità sax jazzistica di “Morton” che accompagna le parole di Filippo che, con fare sarcastico e monastico, ci racconta la surreale storia di Sonia, Morton, un adulterio e un faggio. Come in una rappresentazione musicale del simbolo Yin e Yang, le improvvisazioni decostruite della parte musicale si toccano, si abbracciano, danzano e si baciano con la parte vocale rigida come una litania, ma mai si confondono per miscelarsi in un grigio sbiadito. In “Blues Morto”, perdonatemi la poca originalità, è il classico Blues dal sapore di America e cotone a farla da padrone grazie all’armonica di Marco Ferrari. Il terzo brano, “Whodunit!” presenta una combinazione di ritmo marziale di batteria, alternanze di chitarra al sapore di velluto underground, psichedelie sixties tanto The Doors e un cantato quasi buckleyano nel suo incedere cangiante in anticipo su fulminee esplosioni acuminate. “Il Vangelo Secondo Alessandro” sembra un normale brano rock sperimentale ma il rumore che squarcia senza violenza la musica dopo la prima metà del primo minuto crea lo stesso sapore di silenziosa angoscia che avreste nel vedere Gesù Cristo scendere da un disco volante davanti a voi in piena notte e in piena campagna. Perfettamente a metà troviamo, come in un fine primo tempo del film le cui protagoniste sono le corde vocali di Bordignon, gli oltre quattro minuti strumentali di “Interludio A Forma Di Croce” che anticipano “Il Terzo Stile”, riportante la nota “da ascoltarsi a volume appena audibile”. Una sorta di rumore bianco a metà tra avanguardia Drone music e semplice citazione sul silenzio in stile 4’33’’. Quindi “Madonna Con Cilicio” ci trascina nel momento più Pop e melodico, in un ritmo vagamente sudamericano che in realtà è figlio della più tradizionale canzone italiana, anche se un figlio degenere, scapestrato e folle, come ci ricorda la chitarra nelle sue digressioni avant. Forse proprio per la sua solo apparente (la seconda parte del brano è sperimentazione pura fuori dal tempo) accessibilità il pezzo è di certo tra i più interessanti di tutta la lista. Ancora “Beba La Moldava” ci concede un’ulteriore contaminazione di generi, una nuova sorpresa e un ritmo trascinante. Rock in senso più classico che stavolta lascia alla parte vocale il ruolo di folle danzatore dei boschi, in un alterno cantato alla Pierò Pelù, vecchio stile, e parole biascicate in illusori non-sense. Chitarre, basso e batteria si limitano a correre. L’ultimo pezzo, “Non Lasciarmi Mai”, riprende quel legame, di cui abbiamo parlato prima, con la canzone melodica e cantautorale italiana, portandolo all’esasperazione, se consideriamo il resto del disco. Flauto, vibrafono, contrabbasso, un sound morbido e vellutato, una melodia vocale da ballo di fine anno anni settanta italiani e un testo in netto contrasto, per la sua mielosità, con le parole che ci hanno accompagnato per la mezz’ora circa precedente.
Il sound che pervade questo Crescere Un Figlio Per Educarne Cento non è certo quello più adatto ai palati semplici ma nello stesso tempo è abbastanza variegato da poter essere apprezzato da un pubblico diverso. Tanti momenti Blues non ne fanno un album Blues. Stesso discorso per il Jazz-Rock, l’Ambient, il Pop cantautorale, il Rock Alternative, lo Psych Rock. Insomma siamo lontani dalle difficili estremizzazioni di Captain Beefheart o dei Flying Luttenbachers, per essere più attuali, ma siamo comunque davanti a qualcosa d’inconsueto soprattutto rispetto a quanto, il mai troppo coraggioso mercato italiano, ci ha proposto negli ultimi anni. Un album abbastanza complicato da definire ma in fondo non troppo complesso da ascoltare. Un album per chi non ama etichette (non solo quelle discografiche), luoghi comuni, generalizzazioni e schemi di ogni sorta e per chi vuole sentire la lingua italiana depurata dai cliché “solecuoreamore” di stocazzo.