Recensioni
Black Tape For A Blue Girl – These Fleeting Moments
Nuovo album, nato da una campagna di crowdfunding, per la creatura di Sam Rosenthal a ben 9 anni dal precedente 10 Neurotics. Il progetto ha quest’anno compiuto i trent’anni di attività e con questo nuovo lavoro (trattasi dell’undicesimo full length) li festeggia nel migliore dei modi.
Se il disco precedente poteva infatti aver fatto storcere il naso a qualche fan di questa band, un culto nel suo genere, con These Fleeting Moments ritroviamo i Black Tape For a Blue Girl che tutti noi più amiamo per quanto durante l’ascolto non manchi qualche sorpresa a rendere l’album più differenziato ma mai meno profondo, e non potrebbe che essere così visto tra l’altro il ritorno della più celebre voce della band: Oscar Herrera. Il tenore, presente nei primi 7 album del gruppo, rientra quindi dopo ben 17 anni alla corte di Rosenthal e lo fa, oltretutto, accompagnandosi alla figlia Danielle, nata poco prima dell’uscita di The Rope, prima fatica della formazione.
Il nuovo album è formato da 13 canzoni per 70 minuti di durata e riporta sin dalla bellissima traccia iniziale al freddo calore dei Black Tape anni Novanta con i 18 minuti di “The Vastness of Life”, brano etereo e malinconico che non sfigurerebbe nella loro perla Remnants of a Deeper Purity. La traccia, ricca di pathos, è suddivisa in più parti ed esplora i temi fondamentali dell’album facendosi domande sulle scelte della vita, sulla propria storia personale, su quanto e come sia possibile credere ad eventuali ideali ed agire seguendoli. Il brano è inizialmente un Goth/Neofolk assai cupo dove subito ritroveremo la considerevole solennità della voce di Oscar Herrera che tanto ci mancava, nel suo sviluppo incontreremo poi una parte Neoclassica evocativa e rarefatta dominata da un violino piangente prima che le tastiere di Sam introducano alla seconda metà del brano dove faremo conoscenza con la voce fortemente espressiva di Danielle Herrera; saranno i synth ad accompagnarci al finale, la parte più intimamente gotica di questa ottima apertura di disco, che impegnerà nuovamente al canto Oscar che la figlia Danielle accompagnerà dalle retrovie con la sua angelica voce.
Nel disco ogni traccia ha un suo valore, non troviamo riempitivi. Trovo personalmente da segnalare “One Promised Love”, dolcissimo brano con meraviglioso violino e chitarra acustica in primo piano, delicatezza che fa da contraltare al canto sì delicato ma estremamente denso di Herrera (padre); “Affinity” dove la voce sognante di Danielle emerge dolce e malinconica dal mesto tappeto di synth, o l’ancor più funerea “Please Don’t Go” strumentale di ottima fattura dove la malinconia delle tastiere e degli archi (Nick Shadow è indubbiamente un altro grande protagonista di questo album) scava nei vuoti dell’animo descrivendoli con perfetta desolazione.
Nella seconda metà del disco troviamo l’intensità Tribal-Psych Rock di “Zug Köln” che ci porta ad incontrare la chitarra di Erik Wøllo (artista prodotto dalla Projekt di Sam Rosenthal) co-autore del brano, per poi trovare sentori di Dead Can Dance nei 10 minuti di bellezza ipnotica e ancestrale di “Meditation on the Skeleton” e nella dolce nenia più Folk-Pop “Desert Rat-Kangaroo” con le sue eleganti trame di pianoforte. Sarà dunque il momento di “She’s Gone” brano che mette in risalto la grazia della voce di Danielle che qui, vulnerabile, ci racconta di un amore perduto, il pezzo, triste e dolce, scandito da una chitarra pizzicata con gran delicatezza, nella parte finale va a sposarsi meravigliosamente con l’intensità portata da percussioni, violino e chitarra elettrica che forniscono l’ideale trampolino per il tuffo negli umori Shoegaze/Post Rock delle fragili e vigorose note dell’ottima “She Ran So Far Away That She Can No Longer Be Found”. Nella conclusiva “You’re Inside Me” un Oscar Herrera in gran spolvero si congederà su una base elettronica di pregevole fattura al quale il violino di Shadow andrà ad aggiungere nella parte conclusiva del brano la giusta tensione.
Un disco che offre 70 minuti di seducente malinconia in un riuscito incontro di ricchezza di nuovi spunti e magico stile datato capace di scorrere piuttosto fluidamente nonostante lo spessore (nella durata come in buona parte delle musiche e dei messaggi) che lo contraddistingue. L’opera che aspettavamo, l’atmosfera che aspettavamo, perfettamente descritta dalla copertina dell’album dove troviamo una donna rannicchiata all’interno di un violoncello fracassato all’ingresso di un bosco. Dedicategli il tempo che merita. Sam Rosenthal ed il suo romanticismo filosofico hanno ancora molto da darci.
Lisa Giorè – Le vie dell’insonnia
Partiamo col dire che non siamo di fronte al capolavoro dell’anno ne tantomeno è questo un disco degno di nota. Uno di quei tanti traguardi che si rendono preziosi più sul lato personale che non su quello pubblico. Lisa Giorè è alle prime armi con un lavoro di dieci inediti personali e avvolgenti, scuri come si legge da più parti forse perché i testi affrontano tematiche assai intime e “negative” come ansia, insicurezze, depressioni. Non sono testi digeribili e diretti sarà anche per la pressante ritmica che in molti tratti li conduce al limite tra filastrocche e momenti quasi parlati. Ci sono belle melodie dal gusto femminile (e questo ci piace moltissimo), ci sono belle soluzioni, alcuni brani sembrano pesanti e ad un immediato riascolto devo dire che si rivelano interessanti… Probabilmente tutto il lavoro merita qualche possibilità in più e penso proprio di concederglielo. Le Vie dell’Insonnia è un disco Pop dai sapori acustici, poca Elettronica fatta salva l’ultima traccia dal titolo “L’Effetto del Vento” in cui è proprio la Giorè a camuffarsi “vento” almeno per una notte. E se “Lo Stato Attuale delle Cose” oppure “Aria di Tempesta” o ancora “Sabbia” o singoli come “Danza Macabra” sembrano istintivamente somigliarsi nella fattura, sguscia dal tutto il singolo de gregoriano “Scarse prospettive”, estivo, anzi primaverile, dove l’amore viene raccontato da prospettive (appunto) poco serene e speranzose ma decisamente concrete (perché anche un decidere di smetterla con questa recita alla vita di coppia può avere un retrogusto di serenità e di sviluppo), il tutto con colori adolescenziali e sapori appena “latini” di cui la rete ci regala un video ufficiale che, come tutto il lavoro, non viene premiato da una chissà quale livello di fattura. Insomma Lisa Giorè gioca le sue carte che prima di tutto sono sincere e poi sono autentiche e senza filtri. Almeno questo ci arriva ed è sicuramente questo il premio che ci sentiamo di dare a chi prova a dire la sua. Per il resto la strada – come per tutti – è in salita… Chissà che sia anche buono il fiato per mettersi in cammino.
Cadaveria/Necrodeath – Mondoscuro
Unire due leggende non capita spesso e quella volta che si verifica l’occasione, chiaramente, non bisogna farsela sfuggire. Ebbene, Cadaveria e i Necrodeath, che sono due pilastri della musica estrema tricolore, uniscono le forze per creare uno split album davvero avvincente: Mondoscuro. Iniziamo col dire che i due gruppi sono prima di tutto grandi amici, infatti, Flegias, singer dei Necrodeath, è anche il batterista dei Cadaveria e con quest’ultima, fino a poco tempo fa ha fatto parte anche Killer Bob che a sua volta proveniva dai Necrodeath. Come dicevamo, vediamo i due pilastri italiani uniti per un mini disco che vede tracce inedite e cover, la particolarità è sentire pezzi di un gruppo cantato e suonato dall’altro. Uno scambio di stile o la sperimentazione di ascoltare il proprio pezzo sotto un altro aspetto? Dipende dai punti di vista, fatto sta che ascoltare “Mater Tenebrarum” (dei Necrodeath dal disco Into The Macabre de 1987) in chiave Cadaveria è un qualcosa di favoloso, la traccia assume un aspetto oscuro, quasi demoniaco. “Spell” (di Cadaveria dal disco The Shadows’ Madame del 2002) invece, suonata dai Necrodeath, cambia un po’ forma, nel senso che la velocità del gruppo e i giri di chitarra la rendono davvero alternativa. Insomma, questo primo step di scambi è riuscito alla grande da entrambi le parti. Veniamo adesso ai pezzi inediti. La prima che ascoltiamo è “Dominion Of Pain” di Cadaveria. Cominciamo a dire che la nostra dama oscura ha la capacità di saper mutare, nel senso, che riesce sempre a ad evolvere il suo sound, lo ha fatto con i suoi dischi e lo ha fatto anche in questa traccia, deliziandoci con un cantato aggressivo che si sovrappone ad uno più tetro, il tutto su una base Thrash Metal. “Rise Above” dei Necrodeath va un po’ fuori dai canoni della band, troviamo innanzitutto un duetto con Cadaveria ed è infine un pezzo cantato sia in inglese che in italiano, ad ogni modo anche qui parliamo di una traccia ben riuscita. La piccola operetta si chiude con due cover: la prima è “Christian Woman” dei Type O Negative eseguita da Cadaveria. Il fascino della traccia sta nel cantato della caparbia artista, la sua voce che va dal cupo al demoniaco da un valore in più al pezzo che già di suo è spettacolare. Chiudiamo lo split con una grande prova artistica eseguita dai Necrodeath. La band infatti, chiude in bellezza presentando una particolare versione di “Helter Skelter” dei Beatles. Con questo pezzo la band si supera decisamente, propone una versione decisamente alternativa che a dirla tutta con il loro stile acquista un altro tipo di fascino. Insomma, Mondoscuro è un lavoro decisamente ben riuscito e onestamente, era scontato perche’ a suonare e a mettersi in gioco sono due pilastri italiani che hanno davvero l’ arte nel sangue.
Mantide – Love Thru Blood And Pain
La mantide è un animale che ha sempre destato in me un fascino tutto particolare per via del colore, della sua postura, dell’eleganza ma soprattutto per via del fatto che la femmina, dopo essersi accoppiata, o anche durante l’atto, divora il maschio. Non potevo quindi non essere attratto da un gruppo che porta tale nome e propone un genere, il Metal, che fin da tenera età mi ha appassionato. Band nata dalle ceneri dei Mota de brujo, ha iniziato in principio a proporre un mix di Sludge / Doom influenzato dal Southern Rock per poi cambiare rotta abbracciando il Thrash Metal. Oggi invece il Doom predomina su tutto il resto grazie ai riff graffianti di chitarra che tanto devono a Tony Iommi ed ai Black Sabbath, ma anche ai Pentagram e, perché no, a gruppi più recenti quali i My Dying Bride.
Si entra Nel mondo di Love Thru Blood And Pain attraverso l’enigmatica e misteriosa “Tormento”, una sorta di intro strumentale dal passo decisamente in crescendo. La titletrack è invece caratterizzata da un cantato in stile classico che non disdegna ogni tanto l’uso degli effetti. L’urlo durante il ritornello è una vera e propria dichiarazione di guerra, verso voi che ascoltate. Non potrete non essere attratti da Simone Di Girolamo che sa usare la sua voce modulandola al meglio e si guadagna sul campo per me l’appellativo di Mike Patton italiano.
Le affinità con il cantante dei Faith No More diventano ancora più evidenti in “Unbroken”, indubbiamente la traccia meglio riuscita di questo lavoro a livello di arrangiamenti, liriche. “Farewell” è invece un brano pieno di classe, forse leggermente fuori epoca, ma chi dice che oggi debba regnare sovrano per forza il Nu Metal? In “Spontaneous Combustion” si fa sentire con forza anche Mauro The Butcher che con la sua batteria dà il via a tre minuti e mezzo di pura cavalcata sonora con frequenti cambi di tempo. Chiude “Visceral”, altro pezzo ben costruito nelle sue dinamiche che strizzano l’occhio proprio ai migliori momenti dei Faith No More, ma sempre tenendo ben presente le dinamiche dell’intero disco.
Non ci poteva essere miglior finale per un album ben fatto che ha sì la sua migliore arma nella voce di Simone Di Girolamo, ma è anche molto ben suonato e costruito nel suo insieme.
Project-TO – The White Side / The Black Side
Project-TO: una sigla dietro la quale si celano Riccardo Mazza (Music & Production), Laura Pol (Visual & Film Making) e Carlo Bagini (keyboards). Un progetto autoriale di musica elettronica e Visual che ha due anime, due facce della stessa medaglia. Il lavoro che noi di Rockambula abbiamo ascoltato per voi in anteprima è infatti un doppio cd che, come si evince dalle copertine del digipak, ha due “espressioni” tanto affini quanto diverse al tempo stesso: The White Side & The Black Side. In fondo il bianco ed il nero si possono trovare anche nei film di Fellini ed Hitchcock e nel mondo della musica, nei tasti di un pianoforte o di una tastiera che si alternano nei due predetti colori. Le canzoni incluse in realtà sono solo sei, per una durata di poco meno di mezz’ora per ogni cd, ma concentrano in così pochi minuti un infinità di emozioni che forse avrebbero potuto anche essere trasposte in colori vivaci. Il White Side ha uno stile che si divide e si interseca fra Elettronica e Big Beat, il Black Side ha invece atmosfere più Ambient/Dark.
Come dire: luce ed oscurità in continuo contrasto. Ed ecco quindi tracce come “I Hope”, “Sign of The Earth” e “Roger” mutare completamente forma per adattarsi forse anche a contesti e ad orecchie differenti. Tante le influenze che si possono tuttavia riscontrare in entrambe le facce di questo lavoro, basti pensare a Chemical Brothers, DeadMau5, Apparat ed Andy Stott. Merito del genio di tre artisti che hanno un nutrito curriculum alle spalle (Riccardo Mazza ha collaborato con Chick Corea, Franco Battiato, Giorgio Gaber e Francesco Baccini e sta per pubblicare una personale antologica di 9 cd con Machiavelli Music Publishing, Laura Pol è attiva da oltre due decenni ed ha esposto i suoi progetti fotografici in numerose esposizioni d’arte contemporanea, Carlo Bagini ha militato negli Statuto ed ha lavorato al fianco di Righeira, Rettore e Marco Carena) e che hanno avuto l’ardire di abbracciare un progetto tanto complesso quanto affascinante.
Un progetto che pare orientato più verso il mercato estero che certamente apprezzerà le sonorità di brani quali “Look Further” e “Ya-Ho” e che rimarrà stupito da “Rebirth”.
Il lavoro è stato concepito e registrato interamente a Torino negli studi Interactivesound di proprietà dello stesso Riccardo Mazza, in quella città che da sempre è una fucina di talenti musicali (Fred Buscaglione, Rita Pavone, Arti & Mestieri, Umberto Tozzi, Negazione, Linea 77, Subsonica ecc).
Tutto è stato svelato attraverso i suoni.
Tutto è stato detto.
Per il momento l’unica curiosità che rimane dopo un primo ascolto di entrambi i cd è vedere come si adatterà tutto questo in un contesto live e se anche lì muterà continuamente forma.
Quel che è certo è che dopo il White Album dei Beatles, il Black Album di Prince e il Green Album dei Weezer ora in molti potrebbero ricordarsi anche di qualcosa che ha preso forma in Italia: The White Side / The Black side dei Project-TO.
https://soundcloud.com/project-to/sets/the-white-side-the-black-side/s-LjArG
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