Ne avevamo sentito parlare, famosa soprattutto per chi segue i talent. Lei che da The Voice of Italy ha fatto stragi di cuori rock, oggi ha accumulato migliaia di fan in giro per l’Italia e si presenta con un video che conta oltre duecentomila visualizzazioni e un disco d’esordio al fulmicotone. Si intitola RE(be)LIGION estremamente consigliato agli amanti dei Black Sabbath macchiati di AC/DC (digitalmente parlando) con retrogusti di Muse per gradire, con una portata a fine pasto di quel grandissimo Rock Pop americano di grandissima fattura. Belli i suoni anche se qualcosa “gira male” all’ascolto. Ma non importa sinceramente: la voce potentissima ma, soprattutto, seducente di Ira Green eclissa tutto il resto. Non ci sono troppe melodie accattivanti, va detto ma anche qui sinceramente non è questo quello che conta. Belle canzoni, begli arrangiamenti, una rabbia controllata con dovizia di particolari ed un’energia che sia benedetta quanto è coinvolgente. Ira Green sforna un disco di inediti in lingua inglese, tra questi troviamo anche “Music’s Tramp” che è la nuova versione in lingua inglese (ovviamente) del suo singolo “Mondo Senza Regole” pubblicato nel 2014. C’è suspance, c’è tensione, c’è lo sfogo e la riflessione, c’è la punta alla cassa che quasi sembra trincerata, ci sono i suoni di chi si nutre di metallo, ci sono i power chord di un Crossover purtroppo fin troppo italiano e ci sono i gusti femminili che prima di tutto affascinano e poi vincono sul resto del mondo. La scena Indie in rosa porta a casa una paladina armata di corazza e cavallo ferrato; in rete il video di “I’m Wrong” che vi presentiamo a seguire e direi che non serve altro. Un disco da sentire ad altissimo volume.
Recensioni
Nick Cave & The Bad Seeds – Skeleton Tree
L’ennesimo ottimo lavoro di un musicista infinito, il più bello da quindici anni a questa parte.
Continue ReadingPlastic Light Factory – Hype
Freschezza, sfrontatezza e gioventù sono le tre parole magiche che vengono subito in mente ascoltando Hype, l’EP d’esordio del trio mantovano Plastic Light Factory. Cinque brani completamente autoprodotti che propongono un sound brioso e leggero, fortemente ispirato e influenzato dall’Indie Rock britannico. I riferimenti principali nello stile e nel mood sono gruppi come Franz Ferdinand, Artic Monkeys e Rooney. Tecnicamente il trio dimostra di padroneggiare bene materia e genere riuscendo a mantenere in tutti i pezzi la qualità alta e il ritmo sostenuto, tanto da pensare di trovarsi davanti a un gruppo straniero e non italiano. Se da un lato però i Plastic Ligh Factory ci portano in pista con le loro ritmiche pulsanti e ci solleticano il palato con i suoni effettati e la cassa dritta, dall’altro non provano mai a distaccarsi dal territorio prescelto e fare qualche passo più imprudente e sperimentale. In generale all’EP Hype non manca davvero nulla, e si può benissimo considerare un lavoro ben fatto e molto piacevole da ascoltare: le melodie sono accattivanti, la cassa fa battere il piede e i riff ti travolgono velocemente. Speriamo che le buone premesse e le capacità dimostrate in questo esordio possano solo essere la base sulla quale costruire un futuro sfacciato e personale.
Emiliano Mazzoni – Profondo Blu
Di Emiliano Mazzoni apprezzo soprattutto la schiettezza. Quell’evidente trasparenza della scrittura che rende le sue emozioni tangibili senza ritocchi, senza filtri che non siano quella voce calda e sghemba, quei pianoforti zoppicanti. Già ascoltando il suo ultimo disco avevo goduto del suo sguardo netto sul mondo, che si inoltra negli orizzonti dalle montagne (si sente l’aura dell’eremo, io credo, nelle sue canzoni), si inerpica tra le valli della vita, osserva momenti sparsi, prova qualcosa e lo rende a parole piccole, intagliate nel poco.
Qui, rispetto all’ultimo disco, c’è un’armonia di fondo più centrata, un’ambientazione sonora che avvolge, un Profondo Blu, appunto: è una discesa nuda in un cupo che, a dispetto delle apparenze, non è freddo, anzi, e Mazzoni nudo ci si sente a casa, non ha paura: guarda la nuvola che passa e che va fuori dalla finestra, e lui lì, fermo, che sta molto bene dove sta (vacca se sta bene), complici anche gli arrangiamenti spesso sussurrati ma mai incerti, la voce calda e segreta, la semplicità storta (o la stortezza semplice) che serpeggia negli undici brani che raccontano di donne e dei loro fantasmi, di strade e dei loro bordi, di funerali propri ed estranei giorni d’amore, di immortalità.
Un disco laterale in cui si compie la più poetica delle traiettorie: sempre verso il centro, senza toccarlo mai: sfiorare.