Recensioni

Luca Olivieri – La Saggezza delle Nuvole

Written by Recensioni

Un unico corpo che si muove sinuosamente fra atmosfere eteree. Racconti lontani che accarezzano l’immaginazione. Colori sonori densi e delicati. Un violoncello, un glockenspiel, un flauto e chissà quante altre estensioni della fantasia umana creano un’eco lontana; lo sfondo delicato di un film ancora da scrivere. Luca Olivieri con La Saggezza delle Nuvole ci tiene per mano lasciandosi ascoltare delicatamente, senza compromessi. I frutti del lavoro di due anni ci consegnano un complesso artistico costruito con grande capacità e competenza; si gioca sulle melodie, sui piani sonori, sugli accostamenti fra acustico ed elettronico, in maniera decisa, mai banale ne tantomeno furba. Numerosissime e prestigiosissime le collaborazioni (Andrea Chimenti, Caroline Lavelle, fra gli altri); l’intero lavoro tende continuamente a creare esplosioni controllate, mai per questo artificiose. Si alternano titoli in italiano a titoli in inglese, a testimonianza della consapevolezza di poter raggiungere un pubblico eterogeneo.

Il lavoro è una serie in nove episodi, da seguire con passione e concentrazione. Non è sicuramente il cd che si ascolta un paio di volte, sulle ali dell’entusiasmo, e poi si tende frettolosamente a dimenticare. Se da lato il limite può essere quello di non essere propriamente immediato (bisogna, aimè, fare i conti con l’utente medio), dall’altro è bene chiarire che questo è in tutto e per tutto un lavoro che va ascoltato attraverso il filtro cosciente delle emozioni; è bellissimo scoprirsi protagonisti solitari, in viaggio verso noi stessi.

Read More

Bad Love Experience – Believe Nothing

Written by Recensioni

Questo è il Pop che mi piace: complesso ma non complicato, leggero ma con una sua densità. I Bad Love Experience volano alti nei venti minuti e qualcosa che compongono il loro ultimo Believe Nothing. Lingua inglese, sapore internazionale, atmosfera retrò, miscele di Art Rock e Art Pop con innesti Elettronici e sfumature Prog, un parco sonoro che dire vario è sminuire (“Inner Animal”), un gusto per la melodia che si accompagna all’idiosincrasia verso le strutture tradizionali della canzone (“Below as Above” e quel riff…). Gli anni Settanta visti dallo spazio o qualcosa del genere.

C’è poco altro da dire, perché il progetto fila e il disco è godibilissimo. A fine ascolto l’unica cosa che personalmente mi manca è quel qualcosa in più, chiamatelo “sguardo”, “identità”, “voce”, un qualcosa di personale che mi faccia innamorare irrazionalmente di loro, qualcosa che fra un anno mi obblighi a recuperarli e a immergermi di nuovo nei loro abissi luccicanti e vellutati. Ma voi non datevene cruccio e fate un tuffo, poi chissà.

Read More

Recensioni | agosto 2015

Written by Recensioni

????????

Ben Miller Band – AWSOF (Country, 2014) 8/10

Un secondo album spettacolare per il trio Ben Miller, Doug Dicharry, Scott Leeper che unisce in dodici tracce dal sapore Country tutta la propria esperienza e classe, miscelando Bluegrass, Americana e Southern Rock in un sound estremamente tradizionale ma che riesce a non emanare mai lo sgradevole odore di anacronismo.

Gab de la Vega – Never Look Back (Cantautorato, Punk, 2015) 7,5/10

Il cantautore Punk Folk bresciano Gab de la Vega torna e stupisce tutti con dieci nuovi pezzi e un’interpretazione di “Never Talking to YouAgain”, un grande classico degli Hüsker Dü. Un po’ ricorda quanto fatto recentemente da Tv Smith, ma c’è anche tanto di Bob Dylan e Neil Young. Da non lasciarselo sfuggire!

Stearica – Fertile (Post Rock, Math Rock, 2015) 7,5/10

Essere scaraventati al muro dalla potenza del suono non è cosa che succede troppo spesso. Gli Stearica ci riescono, in versione digitale quanto in versione live, a botta di drumming energici, bassi e chitarre distorti.

Lydia Lunch/Retrovirus – Urge to Kill (No Wave, Post Punk, 2015) 7/10

Lydia Lunch scrive il capitolo del progetto Retrovirus, riunendo sul palco Weasel Walter alla chitarra, Tim Dahl al basso e Bob Bert (Sonic Youth) alla batteria. Nove tracce per ripercorrere la carriera della “big sexy noise queen” e una ciliegina sulla torta: la cover di “Frankie Teardrop” dei Suicide.

OoopopoiooO – OoopopoiooO (Sperimentale, Ambient, 2015) 7/10

Due maestri del theremin creano un nome impronunciabile, sintomo di un universo distorto, onirico, pazzoide. Quella pazzia sana, che fa andare oltre le spesse barriere del Pop e mischia strumenti, giocattoli, elettronica, parole e voci che sembrano arrivare dalle zone più nascoste del nostro cervello. Tredici brani che sembrano difficili al primo ascolto ma che alla fine ci sembreranno vicini alle orecchie come ronzii di insetti.

All About Kane – Seasons (Pop Rock, 2015) 7/10

Gli All About Kane alla loro seconda prova discografica intitolata Seasons, confermano l’ottimo esordio con Citizens e aggiungono alla loro dna british un pizzico di sperimentazione che si spinge verso il Pop e l’Alternative. Seasons è un interessante insieme di melodie leggere e mood movimentati; canzoni come “Old Photograph” e “Hurricane” si fanno amare fin da subito per piacevolezza e orecchiabilità. Nonostante spesso la voce del cantante ci ricordi molto Brian Molko dei Placebo, gli All About Kane riescono a mantenere viva la propria identità per tutto l’album, offrendo all’ascoltatore qualcosa di interessante e ben realizzato. Anche se uscito da qualche mese lo consigliamo per tutti i viaggiatori estivi che hanno voglia di una sferzata di aria fresca.

My Own Prison – Sleepers (Hard Core, 2015) 7/10

Cagliaritani, i My Own Prison, dimostrano con questo loro lavoro di conoscere decisamente bene l’hard core e di possedere tutta la tecnica per poterlo personalizzare. Tutto il disco è fondato sull’infuenza grind e su un cantato growl che muove su ritmi serratissimi di basso e batteria (al limite dell’agilità), che non si concedono tregua neppure in “Sleepers Eve”, caratterizzata da un timbro chitarristico dal sapore Indie-Pop, o nella più intima “Temper Tantrum”. Dieci tracce per un full lenght davvero pieno di energia, decisamente per gli appassionati del genere.

Solkiry – Sad Boys Club (Post Rock, 2015) 6,5/10

A due anni di distanza dall’album d’esordio, torna il quartetto australiano con il suo dinamico Rock strumentale di chiarissima ispirazione mogwaiana. Un disco potente e variegato, che riesce a cullare tutto lo spettro di emozioni che si accavallano nei sogni ad occhi aperti e che ha l’unico difetto di mostrarsi troppo incapace di osare davvero, risultando troppo banale e ripetitivo nella scelta pura dei suoni.

A Minute to Insanity – Velvet (Grunge, Stoner, 2014) 6,5/10

Il Grunge non è morto. Gli A Minute to Insanity da Cosenza lo dimostrano con orgoglio in questo ep. La chitarra e la voce “consumata” di Francesco Clarizio, insieme al basso di Antonio Trotta e alla batteria di Francesco Lavorato, ti riportano lì, in quegli anni Novanta che non sono ancora messi in archivio del tutto.

Attribution – Whynot (Rock’n’Roll, 2015) 6,5/10

Potente e autorevole questo Whynot dei bergamaschi Attribution, album che mescola un’attitudine classicamente Rock and Roll ad una commistione di generi che invece di risultare indigesta esalta le qualità di ogni singolo componente (prezioso l’uso dei fiati). Da ascoltare soprattutto il divertente Funk di “Scofunk” e la bella rivisitazione di “Cold Turkey” di John Lennon.

La Sindrome della Morte Improvvisa – Ep (Stoner, Noise, Hard Rock, 2013) 6,5/10

Un vero e proprio calderone: fondete Stoner, Noise e Hard Rock e otterrete la giusta ricetta sonora; un sound che appartiene più all’America che all’Italia e forse in questo la lingua non aiuta molto (sarebbe stato più giusto cantare in inglese!). Nonostante ciò un lavoro maturo negli arrangiamenti e perfetto nella registrazione

Snow in Damascus – Dylar (Elettronica, Shoegaze) 6/10

Atmosfere cupe e sonorità che spaziano tra Elettronica e Shoegaze, per un disco d’esordio che nel complesso suona come un buon lavoro di tecnica, ma che non colpisce per la sua originalità.

Moira Diesel Orchestra – Moira Diesel Orchestra (Alternative, Post Grunge, 2014) 6/10

Orfani degli anni Novanta, i MDO ricercano costantemente sonorità a metà tra il Seattle sound e dei seminali Litfiba. Tra qualche errore di gioventù e troppi eccessi di imitazione emergono alcuni momenti interessanti come “Nostema di Posizionamento Globale” o “Ardore” che per qualche minuto cancellano i molti reminder. Rimandati.

The Moon Train Stop – EP (Rock, Alt Pop) 6/10

Echi sixties per il trio piemontese all’esordio. Un Pop alternativo luccicante, divertito, ritmato, senza eccessiva originalità ma competente. Quattro brani suonati bene, cantati così così. L’inglese non rende benissimo. Non lasciano (ancora) il segno.

La Sindrome della Morte Improvvisa – Di Blatta in Blatta (Stoner, Noise, Hard Rock, 2015) 5,5/10

Quando si incide un disco che ha il grave compito di succedere a quello d’esordio si pretende qualcosa di più; purtroppo in questo lavoro si mette in evidenza solo la bravura. Mancano i contenuti e le idee nuove. Un piccolo passo indietro quindi è stato fatto nonostante il gruppo si sia aperto ad un lato più “oscuro”.

Night Gaunt – Night Gaunt (Doom Metal, 2015) 5,5/10

I romani Night Gaunt fanno loro l’essenza dei Candlemass unendola alle cupe atmosfere dei Katatonia e alle accelerazioni di puro stampo Celtic Frost. Si resta sempre nell’ambito del Doom Metal, fedeli a un registro prestampato. Senza infamia né lode.

Marco Spiezia – Life in Flip-Flops (Cantautorato, Swing 2015) 5/10

Semplicità ed immediatezza sono le caratteristiche principali di questo disco che non fa ascoltare nulla di nuovo ma che diverte. Canzoni (quasi) sempre veloci ma dai ritmi abbastanza simili. Forse il cantautore sorrentino Marco Spiezia dovrebbe (e potrebbe) osare di più.

The Junction – Hardcore Summer Hits (Indie, Pop Punk) 5/10

Per i tre padovani, il secondo album è una nuova prova con pretese ridotte al minimo sindacale. Pezzi tirati quando basta per provare a non annoiare, qualche buona melodia, un inglese che si tradisce spesso e tantissime banalità, in una miscela di cliché Indie Rock e qualche incursione nei territori del Punk Rock (Pop meglio) da bermuda, occhiali da sole e infradito.

Read More

Philippe Petit – Multicoloured Shadows

Written by Recensioni

Da sempre teso verso la ricerca sonora estrema ma pur sempre legata ai classicismi meno anacronistici, il marsigliese Philippe Petit celebra i suoi trent’anni di attività con un album che si lega inevitabilmente alle esperienze consumate fatte di manipolazione, field recordings e composizione pura ma lo fa, questa volta, con orecchio rivolto maggiormente agli aspetti melodici. Ovvio che chi si è già imbattuto in passato in opere di Philippe Petit, non si aspetterà quel tipo di melodia di facile ascolto caratteristica dell’Elettronica da dance floor più spicciola. I tre brani (il terzo in due distinte parti) che vanno a formare Multicoloured Shadows sono infatti pregni di quella tensione nervosa, evocativa ed eterea cui il francese ci ha abituati; una miriade di riverberi, ritmiche cupe, una miscela di rumore che pare sprigionarsi dai posti più remoti dell’universo, della terra o della nostra mente in preda a sogni/incubi frenetici. Continui controtempi fanno da specchio alla strumentazione classica generando brani dalla struttura precisa ma con un apparente caos di fondo. Un album di Elettronica moderno ma che sembra giunto a noi dal glorioso passato della Berlino dei Sessanta e Settanta, un’opera che mostra, come uno specchio appunto, il suo lato più istintivo e nello stesso tempo la sua veste più celebrale, a seconda del punto di osservazione dell’ascoltatore, un’opera che mostra il compositore transalpino, o meglio la sua musica, in tutte le sue forme, come una danza di ombre, ognuna colorata in modo diverso, ma che insieme formano il dipinto fantastico delle emozioni umane.

Read More

Meta.Lag – Juxtapositions

Written by Recensioni

Giuliano Fasoli si presenta con un disco che vuole essere “strutturalista”, che comunichi, quindi, essenzialmente attraverso la propria struttura, essa stessa mezzo espressivo. Juxtapositions è, infatti, una riflessione sullo stato stesso della musica (Rock, paradossalmente; vedremo perché) attraverso, appunto, la giustapposizione di tematiche costanti, che gradualmente riempiono il vuoto al centro della struttura. Il risultato sono queste sette tracce di Elettronica minimale e ambientale (ecco il perché del “paradossalmente”) dove drum machine  e synth morbidi si mischiano a voci eteree e droni leggeri, dove ritmiche spezzate si fondono con echi di chitarre lontane, in un pastiche artificioso e soffuso che ha momenti di convincente facilità (il riff infestante di “Kingdom”) e altri di approssimazione meno interessante (in generale le voci, o per esempio l’andamento più farraginoso di “Wormplace”).

Un disco insomma la cui messa in opera, seppure per nulla malvagia, non trascende. Un plauso invece per il concept che sottende il tutto: ogni brano infatti si lega ad un artista e a un tema, in un movimento ancorato al fulcro centrale che rappresenta il vuoto. I primi tre brani rappresentano “gioia”, “amore” e “vita” e sono legati alle figure di Elvis, dei Beatles (in particolare Lennon) e di Jimi Hendrix; poi, nel brano centrale, il movimento si ferma: siamo al centro dell’opera, “Dot”, il vuoto. Si prosegue discendendo, con simmetria: i temi si capovolgono e abbiamo, in ordine, “morte”, “odio” e “dolore”, rispettivamente Cobain, i Sex Pistols e Jeff Buckley. Devo dire che è un concept che sulla carta incuriosisce, salvo poi tendere a perdersi nei fatti, a rimanere ideale, distante dall’ascoltatore e forse anche dai brani stessi.

Read More

Furor Gallico – Songs from the Earth

Written by Recensioni

Quanta attesa per questo Songs from the Earth, nuova fatica dei nostrani Furor Gallico. Cinque anni sono abbastanza e può succedere di tutto; non a caso all’ intrepida band qualcosa è accaduto: Maurizio “Merogaisus” Cardullo è passato ai Folkstone. “Merogaisus” aveva un ruolo fondamentale nel gruppo perchè era il polistrumentalista ed il produttore; inoltre, dalla band sono andati via anche il bassista Mac Brambilla ed il batterista Simone Sgarella. In sostituzione a questi musicisti sono accorsi Paolo Cattaneo, Fabio Gatto e Federico Paulovich, quest’ ultimo dai Destrage.  Cinque anni sono lunghi, il vantaggio sta nel poter meditare e riflettere. Pensare e ripensare a come può suonare un disco, cosa aggiungerci e cosa omettere. Questo arco di tempo per i Furor Gallico è stato fruttuoso. Registrato nei Metropolis Studio di Milano mentre il missaggio e la masterizzione sono a cura di Alex Azzali. Songs From The Earth è senza ombra di dubbio un lavoro di buona fattura ma con alti e bassi che in un linguaggio più vintage potremmo definire con un buon lato A  e un lato B più scadente. Ci troviamo ad ascoltare un disco che parte alla grande per chiudersi in una maniera un pò strampalata, forse per la voglia eccessiva di sperimentazione.  In un primo momento la differenza la fa la vena Folk targata Furor Gallico ma ad un certo punto del disco cominciamo a notare una virata verso il Crossover se non, a tratti, al Nu Metal e il diminuirsi dello stampo Medieval. Insomma, parliamo di un album in cui vediamo un gruppo che veramente cerca di superarsi. In un primo momento troviamo tutte quelle atmosfere che ricordano un pò le feste medievali e pagane; pian piano però questo andazzo si scosta un po. Personalmente l’ho trovato un tentativo vano ma comunque lodevole che mostra finalmente cosa vuol dire avere coraggio. I Furor Gallico sono una realtà nostrana che insieme ai Folkstone, gli Elvenking,  i Vallorch e i Kalevala hms innalzano la bandiera tricolore. Quando parliamo di loro, facciamo riferimento ad un gruppo intraprendente che nel bene o nel male cerca di conquistarsi i propri spazi con coerenza e onestà.

Read More

10000 Russos – 10000 Russos

Written by Recensioni

Sei tracce per oltre 40 minuti nel debutto omonimo della band portoghese.
Continue Reading

Read More

Africa Unite – Il Punto di Partenza

Written by Recensioni

Sarò sincero, ho sottovalutato moltissimo gli Africa Unite, li consideravo un gruppo con poca inventiva che imitava troppo pilastri del Reggae come lo scontato Bob Marley  e i The Pioneers. Mai errore fu più eclatante. Col tempo ho riscoperto un gruppo con una propria personalità, che crede veramente nel genere che suona e nei valori e nei simboli che ne fanno parte.  Un gruppo che parla davvero di attualità e che si adegua ai tempi in cui minimo comune denominatore è una realtà contorta, sempre in via di trasformazione.  Una realtà che gli Africa Unite hanno sempre mostrato chiaramente, cercando, in un modo o nell’ altro, di rendere trasparente il loro pensiero. Il Punto di Partenza è il titolo del nuovo disco di Bunna e Madaski, un interessante lavoro che ancora una volta mette in risalto gli intelligenti punti di vista degli Africa Unite. Un lavoro che ha pregi sia per quanto riguarda la musica sia per i testi;  insomma, ancora una volta si sono superati. Effettivamente Il Punto di Partenza ha una miriade di messaggi:  la personalità del gruppo su determinati argomenti, la loro posizione riguardo al genere che suonano, gli incentivi a ragionare e ad usare il proprio cervello e le riflessioni sulla realtà di oggi. Un disco di alta qualità che non da nulla per scontato. Concentrandoci sull’aspetto musicale, sentiamo che gli Africa Unite riescono a trascinare anche con la mente. Non sarà difficile immaginare una spiaggia ed un fantastico tramonto con un senso di libertà. Per rendervi chiaro il discorso, dovete ascoltare in primis: “Riflessioni”, “L’Attacco al Tasto” e “Thanx and Praises”; canzoni in cui i testi la dicono lunga e la melodia e la tecnica sono spettacolari. Non mancano le collaborazioni speciali: nella traccia d’ apertura, “Pure Music Today”, ad accompagnare gli Africa Unite c’è Raphael; nella canzone “L’Esercito con gli Occhiali a Specchio” troviamo la partecipazione dei More No Limiz, infine, per “Cyclop”, canzone di chiusura, ci sono gli Architorti. Questo nuovo disco di Bunna e Madaski è l’apice della loro discografia, un album che va assolutamente lodato, ascoltato e compreso.

Read More

Hey Saturday Sun – VHS

Written by Recensioni

È un bene che io abbia ascoltato VHS di Hey Saturday Sun in una notte afosa d’estate. È un bene che io lo abbia ascoltato anche a ridosso delle ferie. Perché questo disco si porta dietro delle sensazioni di freddo e ghiaccio, nate sicuramente dalla presenza di suoni elettronici, meccatronici e robotici (“Pulsetrain”) che riportano alla mente la freddezza delle macchine, oltre ad evocare talvolta anche una certa inquietudine  (“Supercops”, “Analog6”). Quando questi suoni meccanici si attenuano, il disco riesce a svelare anche delle sonorità più calde (“Service”), senza però mai perdere le caratteristiche elettroniche e synth-pop che lo contraddistinguono.
VHS rispecchia pienamente la linea artistica del suo artefice (Giulio Ronconi alias Hey Saturday Sun, appunto), già autore di musiche di spettacoli teatrali e documentari. E proprio il titolo riporta alla mente questa predisposizione alla capacità di produrre immagini, nella propria testa o su uno schermo vero e proprio, quello schermo che forse in passato era collegato proprio ad un videoregistratore per videocassette VHS. Il riferimento agli anni ’80 dell’intero lavoro è dunque chiaro e netto, e non solo per i  suoni elettronici che a volte si rifanno addirittura ai  videogame protagonisti della nostra infanzia, ma anche per quelle caratteristiche dance che il disco acquista soprattutto nella sua seconda parte (“Vhs Heroes”.)
Il film che evoca questa videocassetta sonora che porta il titolo di VHS affonda le radici in sonorità appartenenti al passato senza per questo risultare irrimediabilmente nostalgico o privo di originalità. Un film che forse nelle sue undici tracce si sofferma un po’ troppo sulle stesse tematiche, ma che nel complesso risulta essere piacevole all’ascolto e alla visione.

Read More

Lume – Lume

Written by Recensioni

L’esordio della band di Franz Valente (Il Teatro degli Orrori), Anna Carazzai (Love in Elevator) e Andrea Abbrescia è un frullato epilettico e nervoso di Rock graffiante e melodie giocose (“Bad Daughter”), distorsioni rumorose, batterie psicotiche e pianoforti infestanti (“Domino”), con il topping di voci agitate, esaltate, tensive, che qua e là si trasformano in filastrocche inquietanti (l’episodio breve “Sunlight”) o che altrove mescolano maschile e femminile in litanie che affogano nella polvere di un Noise ipertrofico (“Charge”).
Stupisce la libertà totale, incasinata, disordinata, dove si percepisce il divertimento truccato di inquietudine e nervosismo, l’esaltazione per l’afflato distruttivo e confusionario, il gusto per il dettaglio, che sia linea melodica o ritmica. Lume è potente e catartico, divertente, in alcuni anfratti anche ironico, da ascoltare ad alto volume con la faccia incazzata ma così, per ridere. Ed è anche cupo, oscuro, pesante nel pestare a testa bassa, nella follia umbratile, schizofrenica.
Mi fa immaginare un manicomio polveroso, abbandonato, dove ambientare un film horror di serie B, quei film che spaventano e fanno sorridere insieme. Ci danzano figure sfocate che si muovono in modo innaturale, che gridano e cantano e ballano e spaventano da lontano. Le ombre sporche degli angoli e la bianchezza dei denti, sfoderati in un sorriso tagliente oltre una finestra rotta.

Read More

Gli Uffici di Oberdan – La Velocità degli Anni

Written by Recensioni

Power trio trevigiano che mastica Rock duro e residui Punk e risputa chitarre vibranti, bassi cordosi e batterie lineari e pestate, Gli Uffici di Oberdan condensano il loro esordio nelle cinque tracce di un EP sul tempo che scorre e sulle distanze che ci dividono, sull’indifferenza e sull’isolamento. La Velocità degli Anni ci presenta una band intensa, potente, che declama versi taglienti e semplici su un tappeto di distorsioni e ritmi quadrati e ossessivi, con una voce dalla pasta solida, graffiante. Un plauso dunque per la produzione, mentre le canzoni in sé, seppure non malvagie, non riescono a convincere del tutto. Sarà la mancanza di un’identità forte, l’appoggiarsi a stilemi già troppo consolidati, ma il disco nel suo complesso non sorprende, non “muove”. Colpa anche dei testi, che vorrebbero essere poetici e pungenti ma non ci riescono fino in fondo. Si osa poco, si rischia poco, si riesce a metà.

Read More

Rebeldevil – The Older the Bull, the Harder the Horn

Written by Recensioni

Quella dei Rebeldevil è una formazione  da “Mondiali” per cosi dire, un supergruppo: Dario Cappanera, chitarrista dei leggendari Strana Officina, GL Perrotti, vocalist della Thrash Metal band Extrema,  Ale Demonoid, batterista degli Exilia ed Ale Paolucci bassista dei Raw Power. Insomma si tratta di un formidabile quartetto che ha scritto parte della storia del Metal tricolore; parliamo di artisti che hanno sventolato la bandiera italiana in tutto il mondo e di esperti musicisti che sanno come comporre un disco da sogno. Ebbene l’unione dei quattro fuoriclasse non poteva che essere creativa. I Rebeldevil a distanza di sette anni dal discreto Against You si rifanno vivi con un disco, The Older the Bull, the Harder the Horn, che in linea generale assembla tutte le peculiarità delle quattro icone. Il platter in questione è un concentrato di adrenalina e contiene tracce che sono ideali per un viaggio in sella ad una fiammante Harley Davidson. Questo lavoro di Cappanera e soci potrebbe, senza alcuna difficoltà, essere uno dei dischi migliori made in Italy di questo anno. Inspirato, suonato bene ma soprattutto con un’anima. The Older the Bull, the Harder the Horn è un album di sano Rock’n’Roll e Southern Rock con qualche sfumatura Stoner. Potremmo considerare i Rebeldevil come l’anello mancate tra i Down e i Black Label Society. Si parte sparati con la massiccia “Rebel Youth”: voce aggressiva con riff taglienti e pomposi; un ottimo inizio non c’è che dire. Toccando direttamente i punti salienti citiamo: “Freak Police” dai giri di chitarra davvero mastodontici dove si concepisce che il tocco di Cappanera è un marchio e la successiva “Remember” di stampo più Rock’n’Roll. La title track è una canzone che probabilmente con i suoi riff e i suoi assoli farebbe impazzire Zack Wilde; parliamo di una traccia definita nei minimi dettagli. La successiva “Angel Crossed My Way” è una canzone che fa un pò rigenerare gli animi, una sorta di ballata che esprime al meglio le qualità di Perrotti. Con “Crucifyin’ You” si ritorna alla ribalta con i massicci riff  di Cappanera e la voce cavernosa di Perrotti. Adesso è il momento della mia canzone preferita: “Alone in the Dark”; questa citata rompe gli schemi del disco, troviamo un GL Perrotti diverso in cui viaggia su canoni più puliti ed anche la chitarra di Kappa cambia aspetto spostandosi su versanti molto più melodici senza però abbandonare la rocciosa e pomposa base che caratterizza il disco. Con “Power Rock’n’Roll” giungiamo all’ ultima frenetica cavalcata dei Rebeldevil, una chiusura col botto che rende onore all’ operato del gruppo.  The Older the Bull, the Harder the Horn è una piccola perla di questo anno sfornato da un gruppo italiano; con questo episodio di Dario e soci si manifesta un momento di fierezza per il Rock nostrano.

Read More