Dodici anni sulle scene, una pausa durata quattro, cinque dischi dall’esordio ad oggi, tentando l’impresa di replicare il consenso che raccolsero al debutto nel 2005, con quel clamoroso caso di hype che sbalordì un mondo non ancora perfettamente conscio delle possibilità offerte del web in fatto di autopromozione. Il self titled di esordio dei Clap Your Hands Say Yeah è infatti un disco che ancora oggi tra accumuli compulsivi e ostentazione Lo-Fi suona freschissimo e genialoide, e da allora ad ogni release di Alec Ounsworth le aspettative continuano ad essere altissime.
Della formazione originale resta solo il disinvolto frontman a firmare The Tourist, uscito il mese scorso per Wichita. Posto che è impossibile prescindere dalle puntate precedenti, volendo – fosse anche solo per esercizio mentale – si può provare a distogliere l’attenzione dalle gesta passate almeno per un attimo, per poter giudicare serenamente il presente di un artista che presumibilmente rischia di crepare di ansia da prestazione da un decennio abbondante.
Se The Tourist fosse il debutto di una band sconosciuta, con tutta probabilità si griderebbe al capolavoro. Innanzitutto perché è un ottimo album, e poi perché in fondo siamo sempre a caccia dell’ultimo fenomeno appena spuntato da chissà quale club di Brooklyn, e la voglia di novità ci rende generalmente più clementi nei giudizi.
I know it’s hard to win / But how could I have thought that we’d ever lose? In questo senso “Fireproof” (sghemba e accattivante in quel modo che dei CYHSY abbiamo adorato) sembra un po’ un’ammissione di colpa, e la consapevolezza di Alec di aver probabilmente peccato di superbia negli anni passati fa un gran bene all’impasto e alla struttura di questo quinto capitolo. E ancora, I’ve been looking for easy solutions / we can be whatever, whatever, whatever we want: la stralunata “The Vanity Of Trying” è tra i momenti più significativi dell’album, e accanto alle atmosfere sonore da party sfatto di “A Chance to Cure” c’è molta più introspezione di quella che ci si aspetterebbe dalla decadenza vestita a festa dei CYHSY. “The Pilot” non sarà una intro straniante quanto lo fu la circense “Clap Your Hands!” ma i suoi luccichii Dream Pop sopra ai bassi assestati ben dispongono all’ascolto. La lunatica “Down (Is Where I Want To Be)” che si carica di percussioni marziali e matasse di corde dark ha l’ironia dei Pulp tirata a lucido dalla voce virtuosa ed emozionale di Ounsworth, e tra gli episodi ritmati e propulsivi (le chitarre scivolose di “Better Off”) non mancano parentesi Emo e Alt Folk (la splendida melodia drogata di “Unfolding Above Celibate Moon”, la nenia alcolica di “Visiting Hours” a concludere l’ascolto).
I rinnovati CYHSY sembrano finalmente aver trovato il procedimento giusto per distillare gli elementi migliori del debut eponimo e riformularli in maniera organica e ragionata, e senza rinunciare a quegli scenari naif illuminati a intermittenza da neon che sfarfallano.
In sostanza, The Tourist sarebbe stato il più auspicabile dei sophomore, e in fondo meglio tardi che mai: è un lavoro così ricco di spunti ‘che a Ounsworth e soci si perdona un altrimenti imperdonabile ritardo.
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Last modified: 3 Aprile 2019