Il post-shoegaze distorto e onirico della band californiana è intriso di malinconia e sentimenti sfuggenti.
[ 30.08.2024 | Dais Records | shoegaze, post-hardcore, dream pop ]
Un disco che nasce urlando non può che essere portatore di un’urgenza vitale e per certi versi insopprimibile.
I’ll Drown On This Earth, secondo album in studio dei COLD GAWD, parte subito con le idee chiare e segue di due anni il già convincente God Get Me the Fuck Out of Here, con la band californiana che – in perfetto stile shoegaze – conferma una certa propensione verso titoli che trasudano disagio e precarietà emotiva.
A dirla tutta, l’urlo iniziale cui si accennava in apertura non è l’unica cosa spiazzante in cui ci si imbatte fin dal primo approccio col nuovo lavoro del gruppo di casa Dais Records, dato che la copertina – con quelle unghie affilatissime su uno sfondo immaginifico e anodino – oscilla pericolosamente tra la trovata genialoide e la deriva cringe.
La contrapposizione tra riff muscolari che ricordano Hum e Nothing e aperture melodiche e soavi è una delle caratteristiche più evidenti dell’album.
Gorgeous è un ottimo esempio in tal senso, con quel poderoso riff in odore di alternative metal che viene parzialmente stemperato da una voce eterea tipicamente dream pop.
La coda ambientgaze che chiude il brano è poi la dimostrazione di come i COLD GAWD riescano sempre ad inserire con grande maestria all’interno dei loro pezzi tutta una serie di riferimenti musicali non così semplici da maneggiare tutti insieme.
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A proposito di estremi, Portland non è certo da meno: se musicalmente siamo al cospetto di una robustezza a metà tra post-rock e post-hardcore (con un basso incredibilmente incisivo che sembra voler penetrare l’anima di chi ascolta), le linee vocali tratteggiate da Matthew Wainwright sono più oniriche che mai.
E come non citare l’attacco terremotante di Duchamp Is My Lawyer, in cui si arriva quasi a flirtare con il post-metal (vogliamo sdoganare definitivamente l’etichetta metalgaze? Non so se sono pronto a tanto).
Non disperino però gli accoliti dello shoegaze più classico, perché pezzi come All My Life, My Heart Has Yearned for a Thing I Cannot Name – che non potrà non attirare l’attenzione dei fan di DIIV e affini – e Malibu Beach House – che, per inciso, ha un attacco che a me ricorda non poco un brano che con lo shoegaze c’entra molto relativamente – arrivano prontamente in soccorso di chi ama stordirsi con le distorsioni guardandosi le scarpe.
Se però è vero che la band californiana ha sempre mostrato un certo gusto verso la sperimentazione obliqua, in tal senso la doppietta Tappan–“Nudism” è decisamente imperdibile: mentre la prima fluttua leggera su un tappeto etereo e celestiale fatto di sintetizzatori, la seconda sfocia in territori a cavallo tra hypnagogic pop e downtempo, spegnendosi su un’outro affidata a un dir poco magniloquente pianoforte.
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Quello dei COLD GAWD è un suono ibrido che, grazie a soluzioni che pescano da post-hardcore e alternative metal, downtempo e post-rock, riesce a calarsi perfettamente nella contemporaneità.
Un post-shoegaze in purezza, fatto di chitarre taglienti come seghe elettriche ma anche di momenti magicamente eterei, oltre che di testi opportunamente malinconici e sfuggenti.
Un lavoro che conferma come la band californiana sia una delle realtà più interessanti nel panorama shoegaze contemporaneo, per un genere che, al di là degli effimeri trend di TikTok, dimostra di essere più vivo che mai.
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Last modified: 3 Settembre 2024