Il nuovo disco della band del compositore e storico dell’arte Riccardo Prencipe, il sesto di una carriera ormai decennale, propone un sound che pur rimanendo riconoscibile risulta in molte occasioni più libero e aperto rispetto a buona parte degli album fin qui pubblicati. Affiancandosi come d’abitudine a moltissimi collaboratori, alcuni dei quali ormai abituali, per questo lavoro Prencipe si ispira come sempre alla storia, alla cultura, ai luoghi, e più che mai al mondo della pittura e dell’arte in generale, come immediatamente riscontrabile sin dal titolo del disco: I Maestri del Colore (che è anche una celebre collana di storia dell’arte uscita negli anni 60 per Fabbri Editore, cui si ispira la foto di copertina di Franco Fontana). La scaletta di questo disco è dunque una tavolozza pittorica in musica e propone 13 brani (più una ghost track) capaci di miscelare sapientemente differenti stili e umori attraverso l’uso di una strumentazione ricchissima e spesso difficilmente prevedibile.
L’opener “Suono su Tela” rappresenta appunto l’abbraccio tra musica e pittura. Passionale brano strumentale dove, insieme all’ottimo violino di Alfredo Notarloberti (Ashram, Argine), spicca la chitarra elettrica di Prencipe che nella seconda metà del pezzo tra bending e sustain disegna traiettorie tipicamente gilmouriane. È comunque tutto l’insieme a girare bene, l’apporto della batteria di Alessio Sica (Argine), del basso di Umberto Lepore (Forefront, Ajar Quartet) e del piano di Luigi Rubino (Ashram) è fondamentale nel costruire queste trame in odor di Post-Rock sicuramente vibranti in modo nuovo, e per certi versi inusuale, per la formazione partenopea.
Segue “I Sassi di Matera”, Folk mediterraneo e medievale che omaggia il capoluogo lucano accompagnandoci con solennità tra i suoi conci di tufo, altro buon lavoro corale capace di esaltare l’eterea e mistica voce di Denitza Seraphim (Irfan). Voce che ritroveremo in “Blubosforo”, brano dedicato alla città di Istanbul ed al suo stretto che, nonostante un certo manierismo, riesce comunque a risultare molto suggestivo; per quattro minuti e mezzo sembrerà infatti di trovarsi nella città turca dal sorgere del sole al tramontar della luna sentendone l’odore della storia, immersi in abbraccio di profumi e colori ora misteriosi ora trasparenti.
Ispirata dal Dolmen Li Scusi di Minervino di Lecce è invece “Giallo Dolmen”, brano introdotto dall’evocativo suono di un insieme di aerofoni, accompagnato da campanelli in sottofondo, curato dal bravissimo Walter Maioli (Aktuala, Synaulia) che va inizialmente ad incontrare la chitarra di Prencipe ed i tamburi di Maione, ai quali si aggiunge poi la suggestiva tromba di Charles Ferris (Sineterra) prima del coro tribale in crescendo a concludere l’ancestrale brano.
Come successomi poco fa anche in questo lavoro incontro un brano ispirato dal Cretto di Burri: “Il Cretto Nero”. Qui alla voce troviamo Caterina Pontrandolfo, il brano, dedicato alla terra fertile e selvatica del Sud ed al suo popolo, capace, nonostante i mille problemi e personaggi spiacevoli, di eccitarsi, meravigliarsi, cercare e creare, è un Folk mediterraneo tradizionale che legato al testo si pone al confine tra favola e tragedia. Tra le tracce con voce da segnalare ancora la rivisitazione di un brano del XIII secolo che s’ispira agli affreschi dell’epoca, “A Fondo Oro”, dove l’eccellente voce di Annalisa Madonna, che qui affronta un testo in portoghese, è accompagnata da atmosfere à la Dead Can Dance realizzate da Prencipe, per l’occasione al liuto, Michele Maione al riqq ed al tar e Peppe Frana (Micrologus Ensemble) all’oud.
Tornando ai brani strumentali da segnalare “L’Urlo Rosso”, ispirato da una poesia di Sergej Stratanovskij (penso si tratti de “L’Urlo del Maiale”), brano dall’atmosfera densa ed inquieta che si muove tra Progressive Folk e Neoclassicismo dalle tinte gotiche. Il pezzo, scritto da Prencipe e Notarloberti, è eseguito dal Quartetto Savinio che qui si fa quintetto con l’aggiunta del violoncello di Manuela Albano.
A concludere l’album troviamo “L’Occhio Bianco”(che immagino ispirata dal busto di Neferiti), canzone che strizza l’occhio ai Sigur Rós e può ricordare anche certi Library Tapes. Si tratta di una ballata dolce e piuttosto formale dove piano, violino e chitarra risultano perfettamente dosati e nella quale non mancano innesti di tromba in grado di aumentarne la passionalità drammatica e vulnerabile ma ricca di speranza; il brano, che sin dal primo effetto di chitarra regala la sensazione di aprire per la prima volta occhi nuovi e più puri, si spegne leggero con un dialogo fatto di sguardi e sospiri tra pianoforte e chitarra.
I Maestri del Colore è sicuramente il disco più variegato e suggestivo fin qui offertoci da Riccardo Prencipe ed i suoi Corde Oblique, una band dalle potenzialità elevatissime che meriterebbe sicuramente più seguito, ma alla quale non di rado manca un certo slancio. Finalmente in questo album, come sempre composto egregiamente e come sempre ricchissimo di elementi tradizionali e di ricerca storica, ad un accademismo per certi versi difficilmente evitabile, si aggiunge anche un significativo tocco di freschezza che traccia una nuova strada da percorrere con ancor più libertà e grinta per dipingere tratti sempre più coinvolgenti e penetranti.
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Last modified: 20 Febbraio 2019