Cosse – It Turns Pale

Written by Recensioni

La mente e il cuore convivono armoniosamente nell’album di debutto del quartetto francese, in bilico fra noise, post-rock e suggestioni oniriche.
[ 10.02.2023 | Nouveau Monde Artistes Services | post-rock, noise ]

“La potenza è nulla senza il controllo”, recitava il celeberrimo slogan pubblicitario di una nota marca di pneumatici, poco più di un quarto di secolo fa. Un motto quantomeno appropriato per introdurre i Cosse, nuova scoperta nel panorama noise/post-rock d’Oltralpe, il cui punto di forza sembra effettivamente essere l’abilità nel trovare il giusto equilibrio fra energia ed autodisciplina, rabbia trattenuta e quieta introspezione, istinto e razionalità. Il quartetto di Parigi – composto da Nils Bö (chitarra e voce), Benoît Quentin (basso e cori), Tim Garson (batteria e cori) e Felipe Sierra (chitarre) – debutta ufficialmente su LP con It Turns Pale, pubblicato il 10 febbraio per l’etichetta francese Nouveau Monde Artistes Services.

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Il primo album arriva a distanza di quasi tre anni dall’EP Nothing Belongs To Anything e ne prosegue fedelmente il percorso già tracciato: la band attinge senza indugio a sonorità tipiche del noise e del post-rock, ma anche del grunge e della scena alternative rock anni 90.  Nel sound dei Cosse ritroviamo le visioni paesaggistiche post-apocalittiche di Slint e Mogwai, l’influenza dei più recenti Deathcrash o dei Black Country, New Road di For The First Time, ma anche qualche eco dei Nirvana ruvidi e graffianti di In Utero.

In perfetto equilibrio sui piatti della bilancia, una serie di elementi contrastanti seppur complementari, due facce della stessa medaglia che coesistono e si rappresentano a vicenda: se da un lato abbiamo una componente più cerebrale, geometrica e distaccata, fra chitarre angolari e imprevedibili dinamiche, dall’altro abbiamo invece un turbinio di sensazioni libere e sfrenate, montagne russe sentimentali, sbalzi d’umore improvvisi, disperazione e follia.

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Colpisce all’istante il titolo premonitore della traccia di apertura del disco: ascoltando Crazy Horse, una batteria scalpitante e un cantato crudo e tormentato ci danno la reale impressione di essere letteralmente trascinati da un cavallo imbizzarrito. L’album alterna piacevolmente indistruttibili muri di suono e atmosfere dense a sonorità più immediate e dirette, tipiche del post-hardcore e del post-punk – ne sono esempio evidente Tangerine e Mind Facilities.

Braindow è uno dei pezzi più interessanti che merita una menzione a parte e risalta per la sua attitudine alla sperimentazione, tra fascinazioni fumose e pittoriche e un ammaliante falsetto; il paragone con i Radiohead inquieti e misteriosi di A Moon Shaped Pool è forse un po’ azzardato, ma nemmeno troppo fuori luogo.

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Degno di nota, infine, il trittico finale che chiude l’opera: tre sfaccettature diverse di uno stupefacente caleidoscopio che non perde un colpo e non smette di regalare emozioni.

L’interludio Clouds Are Not Really Moving ci trasporta direttamente, in poco meno di un minuto, in un sogno ad occhi aperti: perfetto da ascoltare in ripetizione continua, sdraiati su un prato in una calma sera di fine estate, con lo sguardo rivolto ad un cielo in apparenza immobile. In Sinner God, i cui elementi strumentali ricordano i brani più granitici e maestosi dei God Is An Astronaut, è protagonista una tensione palpabile e crescente che sembra non sciogliersi mai; a completare il quadro, l’arida Slow Divers, nella quale spiccano come fiori nel deserto inattesi passaggi melodici.

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Un esordio estremamente maturo e complesso per una formazione da tenere d’occhio che ha tutto il potenziale e il talento necessario per crescere e consolidarsi definitivamente e che attendiamo con ansia, a questo punto, di mettere alla prova in versione live.

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Last modified: 14 Febbraio 2023