Non cambia nemmeno una virgola nella storia sonante degli americani Cursive, nello shoegazer sono nati e con lo shoegazer vogliono arrivare alla pensione, Tim Kasher non ne vuole sentire di “rifare il trucco” a questa band che dal 1997 non ha mai abbandonato l’estetica – oramai abbastanza datata – di un emo-core che ha dato tutto e che poteva funzionare appunto negli anni novanta, quello che è cambiata è la line-up della formazione del Nebraska e l’apparizione di Kasher stesso in alcune esperienze parallele ma nulla da certificare se non queste tredici tracce che fanno companatico dentro “I am Gemini” il nuovo e settimo disco in studio, ma che non fanno altro che eco e riassunto “delle puntate precedenti”, ovvero nulla di nuovo all’orizzonte.
Sempre perfetti nella coesione d’insieme e nell’impatto circostanziato, non hanno mai ceduto nulla, mai aderito ai dettami dell’industria discografica e dei media del settore, ma purtroppo ostinati a perseguire – in maniera poi ortodossa – i riferimenti della loro genesi sonica, come se non si sapesse che poi fossilizzarsi su di una formula super collaudata anche dai santi porta alla fine, all’oblio; loro intendono questo disco un concept in quanto, tra i solchi vive la storia di Cassius e Pollok gemelli divisi e abbandonati e che si ritrovano, anni dopo, al centro di una strana storia familiare, ma la parola concept è troppo grossa, e quello che rimugina sotto è un disco – ovviamente con livelli e picchi professionali indiscutibili – di stanca, come se la band avesse finito la linfa creativa e sciolto i muscoli anchilosati.
La tracklist scorre quasi nell’indifferenza, Interpol e Bloc Party scorrazzano liberamente come spiritelli ispirativi “Gemini”, “Drunken birds” e “The sun and the moon”, mentre la tribalità esaurita di “Double dead”, l’isteria emo a giugulare espansa “Wowowow” e la catarsi mid-jazzata da un pianoforte “This house a lie” portano in evidenza un manifesto di leggerissima novità, un tentativo d’altro che invece si rivela aleatorio all’arrivo di “A birthday Bash” e “Eulogy for No Name”, ambedue elegie Lou Reediane che non fanno altro che puntare la loro antenna sonora verso il passato più che remoto.
I Cursive sono tosti, sono come le capre, o così o niente, e a pensare che tendenzialmente in tutto il mondo le pensioni le porteranno molto più in la col tempo fintanto che taglieranno pure l’emo e lasceranno solo il core. Forse in quel momento topico i nostri cambieranno strada. Forse.
Last modified: 31 Agosto 2012