Qualche domanda per l’artista italiano di base a Brooklyn.
(di Manuel Bin)
Nico LaOnda – anagramma di Nicola Donà – si è presentato nelle sue nuove vesti da solista al Mi Ami Festival lo scorso 25 maggio. Dopo Demode, primo EP dell’artista, è prevista per l’autunno l’uscita dell’album di debutto, che si intitolerà Tutto Bene. I testi sono in italiano, con una netta presa di posizione in contrasto con l’esperienza pluriennale di Nico a New York, città che tuttora lo ospita e che lo ha cresciuto musicalmente. Per il momento Casco Ribelle, estratto dall’album in uscita per La Valigetta, è l’unico brano già ascoltabile, accompagnato da un video ufficiale dai toni freddi, caratterizzato da un susseguirsi ininterrotto di immagini comuni, ordinarie, ma al contempo evocative.
Abbiamo intervistato Nico per carpire qualcosa in più su un artista complesso, sui suoi gusti, le sue esperienze, i suoi progetti. Ecco cosa ci ha raccontato.
Come procede il ritorno alle origini? Contento di essere in Italia?
A dire il vero sono già ritornato a New York da qualche settimana e piove tutti i giorni. In Italia ho lasciato un’estate che sbocciava e tanta voglia di ritornarci.
Raccontaci dell’esperienza del Mi Ami. Com’è stato esibirsi? Cosa ti ha colpito e quali artisti hanno catturato la tua attenzione?
Beh, è da un po’ che manco quindi per me la scena è (quasi) tutta nuova. Ne ho parlato in un post su Facebook di cos’è stato e cosa rappresenta il Mi Ami, con gli occhi di un emigrato. È il terzo progetto diverso che negli anni porto al festival, anzi colgo l’occasione per ringraziare Carlo Pastore e tutto lo staff per avermi nuovamente invitato tutto “jet-laggato”. Finalmente ho conosciuto di persona quel pazzo di Allo de La Valigetta che sta facendo uscire il mio primo disco. Il vincitore del festival (ha vinto il premio per davvero) è stato quel genio di Auroro Borealo secondo me, che ha fatto uno spettacolo incredibile. Con lui c’era già una liason virtuale creata da Luca (Weird Bloom) che suona con entrambi. Con Auroro Borealo è nato un bel rapporto in cui parliamo solo di futuro e cose serie. Niente cazzate. Abbiamo anche duettato sul palco con i Dellacasa Maldive, anche loro conosciuti lì. Ho visto i live di M¥ss Keta e Mahmood. Ho stretto patti col diavolo con i fonici durante il nostro show (fantastici davvero!), Elasi, Mille Punti e Jesse The Faccio, Yonic South tra gli altri. Potrei dilungarmi per ore – ops, l’ho già fatto…
New York, New York. La Grande Mela. Tu l’hai vissuta in prima persona. Quanto è diverso l’approccio alla musica? Esistono in Italia luoghi la cui libertà musicale si avvicina a quella che hai sperimentato a Brooklyn?
Parliamo al presente, che vivo ancora a New York finché non mi cacciano (ride, ndr). L’approccio alla musica è identico. La libertà musicale pure. La differenza più grossa è che qui nascono e crescono artisti internazionali. In Italia invece non ci passano neanche più e si è creata una specie di autarchia in cui la musica italiana vende più di qualsiasi altra cosa. È una reazione naturale e la forza di questa energia è positiva. In un momento di crisi ci siamo chiusi nel nostro mondo. Ed è un mondo sempre più mischiato e promiscuo, anche se dall’alto non vorrebbero. In questo ambiente si stanno sviluppando realtà bellissime e di talento. Infatti sono post-nipoti di generi di protesta come il blues, il jazz, il reggae, la psichedelia, l’hip-hop ed il noise punk. Tutto alla facciaccia di chi comanda. Questi artisti comunque sentono l’esigenza di esportare il loro lavoro, e piano piano succederà, ne sono certo. In fondo l’italiano come lingua piace un botto, specialmente in America. Se gli africani, i giapponesi, i sudamericani cantano nella loro lingua, non vedo perché non potremmo farlo anche noi.
Quali sono gli artisti contemporanei americani a cui ti ispiri, che ascolti, che influenzano in qualche modo la scrittura della tua musica?
Ascolto un sacco di cose diverse. Faccio anche il DJ quindi ho una miriade di dischi nuovi ma soprattutto vecchi. Senza rivangare nel passato questa volta (altrimenti non finiamo più) direi che in un modo o nell’altro apprezzo molto Ariel Pink, Thundercat, Khruangbin, Drugdealer, Weyes Blood, 79.5, Lady Wray, Ron Gallo, Thee Oh Sees, Edan, Chris Cohen, Okay Kaya, Crystal Stilts, Frank Ocean, Blood Orange, Young Thug, Tyler The Creator, Kendrick Lamar e Solange, ma anche tutta la scena Burger Records. Inoltre mi ispirano molto artisti che magari qui vivono o ci passano spesso ma non sono americani come Shintaro Sakamoto, Timber Timbre, Connan Mockassin, King Gizzard, Juan Wauters, Tall Juan, Altin Gün e Benjamin Clementine.
Viaggiare e visitare tanti posti diversi deve averti colpito: come ti hanno cambiato queste esperienze sul piano personale?
Mia mamma mi ha insegnato da piccolo che la cosa più importante è viaggiare. Ed io e mia sorella abbiamo seguito i suoi consigli, infatti siamo uno a New York e l’altra a Londra e ora le manchiamo (ride, ndr). Mi sono sempre considerato un vagabondo. Uno di quei vagabondi con la chitarra. Ma non un busker o uno da falò. In valigia ho sempre qualche pedale e sto spesso in tour. Quei tour in cui si prende poco ma ci si diverte a bestia. Anzi, mi manca la mia banda LaOnda (i romani Weird Bloom & friends). C’è un’alchimia unica e non vediamo l’ora che esca il disco per partire di nuovo…
Per me la musica è così. Lo so che ora si fa tutto online e i tour solo se ne vale la pena economicamente ma io la vedo ancora old school. Per me suonare è puro divertimento e stare in tour è una bomba, quindi lavoro come un cane prima e dopo per potermi permettere di stare in tour.
ll tuo brano Casco ribelle ha anticipato l’uscita del tuo album di debutto. Cosa vuoi raccontare con i tuoi testi? Puoi spiegarci la scelta delle immagini nel video?
I testi sono fotografie di cosa vedo, ricordo, immagino. Li scrivo velocissimamente come se scrivessi un messaggio o una cartolina. A volte li sistemo, a volte rimangono come sono nati. Ogni riga ispira la seguente ed il viaggio si espande e prende connotati e significati diversi ma se fai zoom out si vede ancora la forma più ovvia, esattamente come fai con una mappa elettronica. I testi sono al 50% autobiografici. A volte parlo in prima persona ma non sono io. Luca Di Cataldo (sempre Weird Bloom), che mi ha aiutato nella produzione, dice che i testi sono surreali e leggermente ermetici e proprio lui mi ha aiutato a “portare alcune frasi a casa”.
L’idea per il clip è venuta a me giocando con l’iPhone. Avevo fatto un video di immagini prese dal telefono che si susseguivano in sequenza velocissimamente. Poi ho passato più di 4000 immagini all’artista/modella brasiliana Nicole Della Costa e lei ha scelto, rallentato un pelo le sequenze e fatto un po’ di correzione colore, ma entrambi volevamo che le immagini uscissero esattamente come uno slideshow dal telefono, anche di qualità scrausa.
Il passato lo abbiamo delineato, il presente lo conosciamo. Il futuro? Come vorresti veder evolvere Nico nei prossimi mesi, anni?
Sono in fotta con Loredana Bertè, Gianna Nannini, Steve Monite, Kiki Gyan, Prince, Richenel, la musica oscura neomelodica napoletana e le colonne sonore anni 60/70. Il futuro è scrivere canzoni per me e fare uscire dischi. Sono una persona che vive alla giornata, neanche se mi impegno riesco a pianficare il futuro. Una cosa la so, però. Ad ottobre torno per un altro tour e promuovere il disco. Prima e dopo porto LaOnda in giro per l’America.
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Last modified: 15 Ottobre 2019