Sette anni dopo, Alice è pronta ad uscire dallo specchio.
[ 20.11.2020 | Snowdonia Dischi | art rock, avant prog ]
Sette anni: tanto ci è voluto perché la Deadburger Factory partorisse un nuovo lavoro che, si spera, possa avere la stessa enorme portata del cofanetto mastodontico La Fisica delle Nuvole. Un’attesa tanto lunga che suggerisce un album pensato, elaborato con cura, che non dovrebbe essersi lasciato trasportare dall’impeto e dall’urgenza espressiva.
Approcciarsi a un’opera come questa senza aver conoscenza delle precedenti opere della Factory, al pari dell’ignorare i lavori paralleli con Maisie o Claudio Milano, è cosa difficoltosa ma non impossibile e dunque,
se siete tra quelli che non hanno idea di cosa si stia parlando, vi suggeriamo un passaggio a ritroso partendo proprio da La Chiamata.
Prima di parlare del disco, menzione speciale va al cofanetto, anche questa volta parte integrante dell’opera, che nella fattispecie diventa l’altro lato dello specchio, come suggerito dai disegni di Paolo Bacilieri che raffigurava nel disco precedente Alice che entra nello specchio, e ora Alice che ne esce. Se dunque sette anni fa, la musica dei Deadburger voleva creare una sensazione onirica, psichedelica, rappresentare con le note e i suoni più bizzarri un mondo irreale, ora si torna con i piedi per terra, si abbandonano gli archi e le stranezze e si torna alle chitarre elettriche, ai sax deformi memori del miglior art punk di decenni fa e alle percussioni potenti (vedi ritorno della batteria, anzi, della doppia batteria).
Nonostante le differenze stilistiche rispetto a sette anni fa, resta l’idea di fondo di creare un album pieno di contenuti, perfetto esempio di musica come arte avanguardistica e dunque, purtroppo, lontana dagli ascolti abituali dei ragazzi che vedono la musica come semplice intrattenimento o spunto per scrivere frasi nelle loro foto su Instagram.
Alla figura storica di Vittorio Nistri si affiancano innumerevoli musicisti tra cui Bruno Dorella degli OvO e dei Bachi da Pietra. Tante anime che danno alla vena rock del disco la giusta eleganza e la scioltezza data dall’improvvisazione jazzistica. Non vogliamo ora elencarvi tutte le anime di cui si compongono i sette brani de La Chiamata, ma una menzione speciale va ad Alfio Antico in Tamburo sei pazzo, in cui si cimenta in una performance sciamanica incredibile.
La Chiamata è anche una storia di uno sciamano che sembra un pazzo barbone dentro un centro commerciale, di una società proiettata nel virtuale, pronta a mettere alla gogna il diverso, del desiderio di cambiamento, di un ritorno al noi, oltre l’io, del desiderio che dalle viscere della terra erutti qualcosa capace di cambiare questo mondo malato; ed è anche un elogio dello sciamanesimo, raccontato tra le pagine del libretto, oltre che nelle canzoni, attraverso parole, immagini, opere d’arte e quant’altro.
Soprattutto, La Chiamata è un disco, è musica pronta a penetrarvi come una sostanza psicotropa, scivolando lentamente dalle vostre orecchie, alle vostre viscere, per regalarvi sensazioni reali, in grado di dare un nuovo senso a una realtà sempre più surreale. Un’opera che si pone a muso duro contro un presente lanciato a mille verso la sua inconsapevole autodistruzione, che si propone di fare qualcosa per frenare questa corsa ma consapevole di non poter fare davvero molto.
Del resto, la rivoluzione è sempre per tre quarti fantasia e per un quarto realtà. La rivoluzione somiglia molto a questo disco, tre quarti fantasia e per un quarto realtà: se riuscirà a entrarvi nel cuore, spingervi a una ribellione seppur piccola contro lo stato attuale delle cose, allora avrà fatto già una buona parte del suo dovere, ma in fondo il suo dovere è solo esistere, che di album come questo abbiamo fottutamente bisogno.
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Last modified: 18 Novembre 2020