9 Dicembre @ Zu:Bar Pescara
È passato più di un anno da quando ho visto Dente strimpellare dal vivo la prima volta. Eravamo in un paesino sperduto dell’Abruzzo, non ricordo neanche il nome. C’era un grande palco, c’erano i Bud Spencer Blues Explotion a scaldarci, c’era una piccola folla festante come solo alle sagre paesane. Eravamo in estate, all’aperto e le voci e l’odore di arrosticini e salsicce si mescolavano alla brezza e al sudore, senza minacciarci, senza infastidirci. Abbiamo passato tutto il tempo tra quella sera splendida e oggi a cantare e parlare, ridere e scherzare, dell’appuntato Mazzolino, di Irene, di uno strano tipo di Fidenza e della sua ex compagna un po’ stronza. Dente ha inciso un nuovo lavoro. Le sue canzoni hanno bevuto vino e birra con noi quest’estate. Ormai è un nostro caro amico del nord.
Dente è a Pescara, allo Zu::Bar. Che facciamo? Non possiamo non andare a salutarlo. Andiamo. Raccogliamo i più romantici beoni del paese, barboni dentro, innamorati dell’amore, allegria, semplicità, qualche euro e via. Don Gennaro ci regala un po’ di gioia intrappolata in una bottiglia di plastica. Tre euro è un prezzo onesto per la felicità. Arriviamo al locale, siamo sulla Tiburtina che unisce Pescara a Chieti, siamo nella savana. Attenti ai predatori più feroci della zona. Sbirri, strane creature che si nutrono della nostra disperazione, dei nostri incubi. Questo è il loro territorio. Ma noi siamo furbi, almeno fino a quando non siamo ubriachi. E comunque non abbastanza furbi da far caricare le nostre carcasse sulla navetta che “viene a prenderti dove vuoi, quando vuoi”. Sì, come no! Se un ritardo di un paio d’ore che potrebbe costringerti a fiondarti in macchina fino a sotto il palco, appena in tempo per spararti Zen Circus a palla direttamente nelle caviglie, non rappresenta un problema. Noi arriviamo prima, quasi due ore prima, altro che navetta. Possiamo bere un po’ di vino al sicuro mentre Dente dallo stereo ci racconta dell’amore e ci invita a stanarlo, passando dalla porta sul retro, senza bussare. Esaurite le riserve Terra di Chieti, è probabilmente ora di avvicinarci alla roulotte che serve da botteghino. Siamo i primi, quasi. Possiamo entrare senza fare file e senza altri problemi. Ahahahah. Come siete ingenui.
Lo Zu::Bar è una sorta di troia che si crede pulita perché ti dà il culo, ma non ti bacia.
“Possiamo entrare o serve la tessera ARCI ?”
“Serve la tessera”
“Possiamo fare la tessera?”
“Non ho i moduli; avreste dovuto fare la preiscrizione on-line”.
“Ma l’altra volta non era necessaria”
“Oggi si”
“E quindi abbiamo fatto settanta KM a vuoto?”
“Non posso farci niente”
Intanto la folla aumenta, tanti chiedono dell’iscrizione. Il . tempo . scorre . lento .
“Sono arrivati i moduli, potete fare l’iscrizione”.
“Posso entrare almeno io, che la tessera l’ho già fatta?”
“Non potete ancora entrare, il botteghino è chiuso”.
Accenno al fatto di essere in lista ma capisco che l’utilità è pari a quella di una figa al The Blue Oyster Bar.
Una ressa si muove come un blob fagocitando moduli e penne, mentre aspettiamo il botteghino. Forse se mi facevano entrare, il bar guadagnava qualcosa in più, ma aspettiamo.
Passano ore e per l’ennesima volta:
“Ma il botteghino ancora non apre?”
“Si che ha aperto, ma non è questo. Qui è solo per le iscrizioni. Devi andare all’altro finestrino della roulotte, un metro e mezzo a sinistra”.
“E quando cazzo avevi intenzione di dirmelo che sono ore che aspetto di fianco a te, distribuendo moduli e penne a un ammasso di poveri disperati, neanche fossimo alla mensa di San Francesco?”
Intanto la folla è diventata enorme e quel metro e mezzo è stretto e ruvido come l’ano di Rosy Bindi.
Arriviamo al botteghino e con un imperioso stacco alla Shearer riesco a prendere il biglietto. Sono dodici euro per il concerto e dieci euro per tre tazze, perché accetto la promozione (che è per tutti, non solo per quelli in lista come mi avevano detto credendomi idiota) che mi fa risparmiare due euro a bicchiere. Che culo. Che generosi. Ah, il Natale. Perfetto, entriamo.
Aspettiamo, un rum e cola, aspettiamo, prendiamo posto, aspettiamo, una tipa ci regala pacchetti di Pall Mall semi aperti, aspettiamo, ci spostiamo, aspettiamo, un rum e cola, aspettiamo, ancora la tipa che non ci riconosce e ho le tasche piene di morte, aspettiamo, seguiamo la tipa e non compreremo sigarette per un po’, aspettiamo, la tipa ci riconosce, aspettiamo, vaghiamo dal balcone al centro della pista, aspettiamo, un rum e cola, i ticket sono finiti, aspettiamo e il barista ci offre un cicchetto, aspettiamo, ci spostiamo nella sala rude del locale, dove fumiamo e beviamo birra rubata chissà a chi, ascoltiamo i Rage, aspettiamo e andiamo al cesso. Manca la porta. Una ragazza (chissà chi sarà…mmmhhh) ne stacca una e la sistema, dove una porta avrebbe dovuto effettivamente essere, aspettiamo. Dopo aver aspettato un po’ (mettete qui i simboli delle bestemmie tipiche dei fumetti) il concerto ha inizio. C’è gente, non moltissima, non buonissima. I soli fotografi improvvisati che decidono di farti mescolare le vertebre del collo alla ricerca di un pertugio visivo, i tipi che sono venuti al concerto, ma fanno i duri parlando di Peveri e deridendolo come se per loro fosse un idiota (loro che, ricordo, hanno speso dodici euro, bevande escluse, per essere qui), qualche ubriaco che fa sempre bene a un Live e un po’ di ragazze esagitate. Insomma il classico pubblico Indie, diviso tra snob, fighette, inopportuni e “io sono qui perché non so che cazzo fare e il biglietto costa meno che andare in discoteca”.
In un attimo il concerto è finito.
Ma come, cazzo. Abbiamo cantato e ci siamo divertiti ma resta uno strano amaro sapore tra le labbra che puzza d’inappagamento. Volevamo che Dente cantasse con noi le sue canzoni più belle, più nostre, più tristemente ironiche e invece per quasi tutto il concerto ha fatto promozione all’ultimo album “Io tra di Noi”. So che tante band fanno cosi, ma lui è diverso. Credevo. Ha scherzato con la gente, ha fatto battute come sempre e discorsi senza senso, ma mi è sembrato molto più lontano rispetto all’ultima volta che lo abbiamo visto vivo. Più maturo, forse. Come il suo album, del resto. Forse col successo ha troppe cose cui pensare e la spensieratezza svanisce sotto il peso delle responsabilità, qualunque sia la sua grandezza. Come rapito, me ne torno a casa con la testa ancora sotto il palco a giustificare un live che in fondo non mi è piaciuto troppo. L’ultimo album è il migliore dei suoi ma rende meno dal vivo, specie se suonato per intero. Forse è stato costretto a fare cosi. E poi, poco importa, perché a Dente gli vogliamo comunque bene, no?
Senza accorgermene mi ritrovo nel letto con la scardinatrice di porte e continuo a giustificare la serata. Non sarà sempre cosi. E’ stato solo un episodio negativo e nulla più. Mezzanotte è passata ormai e mentre stanco, medito e il sonno comincia ad abbracciare la mia testa, un pensiero continua a picchiare alla finestra della mia anima. Solo un episodio e nulla più…mentre mi addormento, e nulla più.
Last modified: 16 Dicembre 2011
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