Sempre perfetti – ultimamente prendono distanze dal loro animo da caos – nel cristallizzare la loro natura assolutamente unica, i ferraresi Devocka – mai gregari a nessuno – in questo momento di morte apparente di molta musica pesante che seguita ad accecarsi per guardarsi l’ombelico e ripescare il ripescabile, escono con un nuovo squarcio sanguinante sugli scaffali della bella ossessione, “La morte del sole”, undici tracce che hanno controllo su tutto e specialmente su quei territori umidi e malati del post-rock, tra le melme della new-vave sui quali favoriscono il ribollio di un malessere doc che gioca il suo gusto sadico e apicale di firmare la dovuta distanza qualitativa da tutta la merda sonora che c’è in giro.
Un tempaggio d’ascolto che respira anni di musica ansiogena riassemblata eccellentemente, sottesa da una paranoia scura ed una poetica claustrofobica che Peter Greenway assoggetterebbe volentieri alla sua causa estrema, non da meno a certe riletture sferraglianti di Jesus Lizard che emergono nell’angoscia intellettuale di questa ottima tracklist; hanno molti biglietti da visita sonori i Devocka, una caratteristica imprescindibile che li vede da sempre innescare una reazione a catena tra chi li segua da tempo, ovvero concettualizzare l’urlo e la gogna dell’anima non in un piegare la testa, bensì in un gonfiare di vene riscattanti e impegnate a sobillare la ripresa di una coscienza umana dal disumano pensiero, e credete, sono ed è musica che ti coagula il sangue per poi scioglierlo in uno schizzo senza ritegno.
Il disco è un teatro fosco, dove ombre e lampi strapazzano tribalità elettriche, quelle sensazioni da incubo indotto in cui le performance del vocalist Igor sono giaculatorie verticali di un Carmelo Bene ancor più allucinato nelle verità seminate, quel freddo torpore infernale dal sapor misticheggiante e noise che partendo dal basso de “Ultimo istante” e risalendo a random questa scala di peccati e tormenti, ti gela la schiena con i “magnificat” subdoli di “Morte annunciata dell’io”, ti schiaffeggia col senso parallelo dell’utopia sgolata “L’amore”, l’escalation di corde elettriche che si aggrovigliano nei sogni disturbati di “Questa distanza”, quel Robert Smith che fa capolino insieme a lontani CCCP in “Carne” per poi chiudere e sentirsi “poveri Christi schiacciati” tra i fendenti svisati e le pedaliere sgomitanti che “Tecnologici” ci regala come beffa sublime da subire, di rabbia da riscuotere.
Oltre Igor, Ivan e Bonus, i Devocka al completo, rimane lo spazio costante di un musicare l’allucinazione con tutti i crismi occorrenti, ed è un musicare da fuoriclasse, hanno tutto quello che ci vuole per portare noi in fondo all’abisso e loro per salire in cima ad un Olimpo maledetto.
Last modified: 1 Giugno 2012
sono d’accordo hanno tutte le carte in regola per arrivare in cima questi fuoriclasse!!io sinceramente lo spero perchè meritano davvero! FORZA DEVOCKAAAAAAAAAA!!!!!!!!!!!!!!!!!!