La dimostrazione più lampante di quanto la magia del suono di J e Lou sia ancora ben lontana dallo spegnersi.
[ 23.04.2021 | Jagjaguwar | indie rock, noise ]
Ne è passata di acqua sotto i ponti dal lontano 1984. Ne sa qualcosa Joseph Donald Mascis, l’allora imberbe ragazzino del Massachusetts perennemente immerso nella propria apatica indolenza, figlio della più comune middle class americana, che a neanche venti anni compiuti si era già messo alle spalle l’acerba esperienza hardcore con i Deep Wound e si apprestava a dar vita ad un nuovo capitolo della propria carriera musicale, quello che gli avrebbe per sempre cambiato l’esistenza.
E di quanto il tempo sappia essere insieme distruttore e pacificatore potrebbe parlarvi per ore anche Lou Barlow, l’altro grande protagonista di questa storia, compagno di liceo e di band di J Mascis ben prima che i due plasmassero insieme la creatura dei Dinosaur Jr.. È indubbio che fortune e vicissitudini della band siano sempre passate attraverso il dualismo spesso anche tossico tra le figure di J e Lou, col dispotismo del primo che a un certo punto della storia avrebbe portato il secondo ad abbandonare una nave su cui per lui evidentemente non c’era più posto e a mettersi in proprio (vi dicono niente Sebadoh e Folk Implosion?).
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Sul finire degli anni Ottanta, insieme a band come Sonic Youth, Pixies e Hüsker Dü, i Dinosaur Jr. ricoprirono un ruolo di prim’ordine nella irripetibile scena americana che preparava il terreno al passaggio delle sonorità alternative dal microcosmo underground all’universo mainstream, ed i frutti di questa rivoluzione copernicana sarebbero poi stati raccolti a piene mani nel decennio successivo da altre formazioni ben note ai più.
Dischi come You’re Living All Over Me e Bug sono indubbiamente delle pietre miliari in questo senso, con un brano come Freak Scene che a posteriori può essere a ragione considerato un ancestrale inno generazionale alternativo.
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Sweep It Into Space è il dodicesimo album in studio dei Dinosaur Jr., il quinto dalla fortunata reunion del 2005, quando le strade di J e Lou (e, di riflesso, anche dello storico batterista Murph) tornarono finalmente ad incontrarsi. Arriva a cinque anni dal lavoro precedente, un lasso di tempo considerevole, anche in virtù della frenesia che caratterizza l’odierna industria musicale.
Uscito per la fedelissima Jagjaguwar e coprodotto nientemeno che da Kurt Vile (il quale non ha mai negato la forte influenza che i Dinosaur e in particolare Mascis hanno da sempre esercitato sulla sua musica), il disco è stato anticipato da tre singoli, il primo dei quali, I Ran Away, in più di un passaggio fa venire alla mente più le semi ballad acustiche del J Mascis solista che le classiche schitarrate à la Dinosaur.
A ormai 36 anni di distanza dal debutto, la grandezza della musica dei Dinosaur Jr. risiede nella sua immediata riconoscibilità, nel sound assolutamente unico e peculiare, nella innata e invidiabile – e si suppone anche invidiata – capacità di trovare intuizioni melodiche sempre azzeccate.
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L’opener dell’album, I Ain’t, è in questo senso un esempio perfettamente calzante: il cantato strascicato e un po’ annoiato di J, la sua Jazzmaster insieme melodica e robusta, il suono tagliente del basso di Lou, il drumming essenziale ed efficace di Murph: un minuto di ascolto e ti senti già a casa, con addosso un’impagabile sensazione di soddisfacente calore.
L’accattivante refrain di Hide Another Round è un altro degli inconfondibili marchi di fabbrica del suono della band, che fin dagli albori si è sempre retto sulla dicotomia tra rumore e melodia, distorsione e delicatezza. Come in ogni album dei Dinosaur Jr. che si rispetti, anche in questo la sempre ricca vena creativa di Lou Barlow si prende la scena in un paio di episodi, Garden e la conclusiva You Wonder, col primo in particolare (primo pezzo dei Dinosaur scritto da Lou a venire promosso a singolo, e se non è una notizia questa…) che rappresenta uno degli apici del lavoro: una perla intimamente malinconica, impreziosita da un dolcissimo videoclip che farebbe venir voglia di abbracciare il mondo intero anche alla persona più apatica di questo pianeta (che sia successo anche a J stesso? Ci piace pensare sia andata proprio così).
Tra le robuste chitarre di I Expect It Always, l’incedere un po’ annoiato e dimesso di To Be Waiting e l’insospettabile riff hard rock di I Met the Stones, la vera sorpresa del disco arriva con Take It Back: la presenza discreta del piano è una novità assoluta nel repertorio dei Dinosaur e fa da raffinato contrappeso all’onnipresente e sfrenato chitarrismo di J. Un’uscita dalla propria comfort zone inaspettata e decisamente apprezzabile.
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L’ennesimo, ottimo album di una band che, nonostante i diversi decenni di carriera alle spalle, riesce ancora a dettare la linea e a farla da padrona in un ambito, quello dell’indie rock, ormai sviscerato e destrutturato in ogni sua minima piega. Del resto non si producono dodici album dalla qualità media invidiabile se non si è dei grandi musicisti, e non a caso il trio storico composto da J, Lou e Murph è ancora oggi in assoluto uno dei più rappresentativi ed iconici in circolazione.
Sweep It Into Space è la dimostrazione più lampante di quanto la magia del suono dei Dinosaur Jr. sia ancora ben lontana dallo spegnersi, e noi non possiamo che commuoverci e sentirci grati di fronte a tanta caparbia bellezza.
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Last modified: 31 Ottobre 2023