L’ultimo lavoro della band del Colorado è un commiato inevitabilmente tragico e al tempo stesso incredibilmente vitale.
[ 01.11.2024 | Deathwish | post-hardcore, emocore, alternative rock ]
È un elogio funebre o una recensione. Non riesco a decidermi. Scrivo tante parole e le straccio: forse sì, forse no. Titubo. Rifletto. Va bene, mi ci butto. Sarà diverso dal solito. Niente track by track. Tutto di pancia e di cuore.
Scrivere del nuovo lavoro dei Planes Mistaken for Stars è terribilmente doloroso. Ed è dannatamente difficile. Perché si deve raccontare di una perdita, dell’inevitabile trauma di elaborare, gestire e relazionarci con il distacco eterno. La fragilità intesa nella sua condizione più umana e schietta, non interpretata come band, non come musicisti, ma proprio quell’umanità che riporta lo spirito e la mente laddove ci si sente più intimi, riservati e, volendo, soli.
Do You Still Love Me? è il lascito terreno di Gared O’Donnell, il cantante, chitarrista e leader della band del Colorado. Una creatura mitologica nell’underground americano che ha avuto il suo exploit tra fine anni ’90 e primi inizi 2000. Seminale e sfuggente, non a caso è una band menzionata spesso e volentieri come influenza da innumerevoli band che attingono dalle sfere più disperate: dallo screamo emozionale all’hardcore più tradizionale, fino a spingersi dentro i lidi più estremi del metal contemporaneo.
And we all think we’re next.
I Planes Mistaken for Stars sono una creatura multiforme, forse troppo avanti con i tempi, che dal suo status di “culto” con i dischi Fuck With Fire e Mercy si è sempre mossa con integrità e genuinità. Riformatasi a metà anni ‘10 e sorretta da una profonda amicizia con Jacob Bannon e dal lavoro certosino della Deathwish, questa creatura già ci aveva regalato un comeback album Prey nel 2016, con una proficua attività live, equilibrandosi con gli impegni ordinari della vita.
Quella stessa vita che ha deciso di mettersi di mezzo in maniera brutale. E lo aveva già fatto nel 2017, quando era venuto a mancare il chitarrista storico Matt Bellinger, da qui il titolo del primo brano Matthew is Dead, nel quale O’Donnell proferisce la sua tremenda realtà “and we all think we’re next”.
E poi arriva l’agosto del 2020. A Gared viene diagnosticato un tumore esofageo. Di quelli brutti. Tutto si ferma. Viene aperto un crowdfunding per aiutare lui e la sua famiglia nelle spese mediche: la scena e i fan da tutto il mondo rispondono più che presenti: strabordano le donazioni.
Ma c’è una cosa che non si cristallizza. Gared si concentra su quello che più ama fare: scrivere, registrare, incidere. E non lo fa a Denver, dove la band si è “ufficialmente” trasferita, ma a casa sua, nel suo nido, a Peoria in Illinois, insieme a sua moglie Rebecca. Il suo taccuino è ricco di testi, appunti, simboli, artefatti della memoria. Nulla si spegne. È una cascata perpetua. La luce continua a brillare. E il suo compare di una vita Neil Keener, bassista della band, lo supporta con delle jam session a distanza.
Registra il più possibile e condivide ogni nuova idea con Mike Ricketts e Chuck French, gli altri due storici membri. E da qui nascono i primi mix. Ma quei primi, grezzi, mix di Sanford Parker sono l’ultima cosa che Gared ascolta.
Un nuovo capitolo, il più doloroso.
Gared muore il 24 novembre del 2022. Lo vedo lì, nella foto scelta dalla band per annunciare la triste notizia, con quel sorriso accennato e posa da cowboy contemporaneo, truck alle spalle. Un amico. Gli occhi sono gonfi di commozione, ma Gared lascia quindi un arduo compito ai suoi compagni: raccogliere la sua eredità sonora, non lasciare che nulla di ciò che la sua mente ha partorito appassisca e sfiorisca. Bisogna affrontare il dolore come una martellata pesantissima. È paradossale: più che chiudere un capitolo, si parla di aprirne un altro, di scrivere quello finale e far sì che la voce di Gared possa riecheggiare sul palco per un’ultima grande overture: quella dei Planes Mistaken for Stars.
Si ricompongono i nastri e si raccolgono i cocci creando una vivida fotografia di quasi quaranta minuti per tredici brani. Un LP completo. Con questa genesi, passare da una composizione all’altra è un macigno vespertino che si colora di un ampio raggio di sensazioni.
C’è la voce tipica di Gared che ruggisce, mai con un urlo, ma con quella inflessione melodica rauca, consumata e sussurrata al tempo stesso, con quelle venature blues che ne hanno sempre dato un timbro iconico e distintivo.
Quello dei Planes Mistaken for Stars è un post-hardcore che trova energia dal rock’n’roll più dritto e old school, senza fronzoli, con quel gusto per il noise sempre ben calibrato. E che non disdegna affatto di accelerare nell’introspezione. Ma, quando si alza il gain, ci sono le power chord, ci sono gli assolini e c’è quella voglia irrefrenabile di essere trascinati nel mezzo di un pogo tra le assi di legno bagnate dal bourbon di un locale con l’insegna al neon scassata.
La vita è più forte di tutto.
Con i suoi pezzi, Do You Still Love Me? ci parla allo stomaco di calore umano. Di quello che ti accompagna negli istanti più cupi. Quel calore che riscalda le notti più buie e gli umori più gelidi, che illumina lo spleen delle ombre che ti divorano. È l’essenza più pura, quella che tante volte si perde con l’avanzare dell’età e che cerca di sopravvivere nelle turbolenze incessanti che ti sconquassano.
Do You Still Love Me? è un interrogativo potentissimo, capace di risuonare dolcemente spettrale e definitivo. Sembra urlare un punto di non ritorno: “non dimenticarmi” o “ricordati chi ero”, ed è un testamento sulla mortalità sia di Gared che quello di un gruppo di amici che ha deciso di usare come terapia al lutto ogni pezzo che troverete qui dentro.
E va bene così, nelle sue imperfezioni, nel suo essere alle volte grezzo o magari incompiuto, perché, anche in un minutaggio ridotto, ci viene restituito quel calore che menzionavamo prima: un ultimo, caldo abbraccio che ci culla. E che in qualche modo simboleggia un “andrà tutto bene” e il rimanere permanenti nella testa, nei pensieri, ben oltre una dimensione fisica.
Ed è romantico soffermarsi sulla foto scattata dalla moglie di Gared inserita nel vinile, con i nostri che si tuffano nell’oceano, a fondersi tutt’uno con le onde, quasi a scomparire. Ma, grazie a questa testimonianza, Gared vive, e i Planes Mistaken for Stars pure.
E, come direbbero loro: “Thunder in the night forever!”.
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Last modified: 2 Dicembre 2024