Una rubrica in cui le illustrazioni di Stefania incontrano gli scritti e le playlist di Claudia, dando alla luce un racconto sonoro a forma di vinile.
La soffitta.
“Da bambini piace molto andare in soffitta, non altrettanto piace da vecchi. Tutto quello che era mistero, avventurosa scoperta, diventa dolore del ricordo”.
Ecco cosa ho letto, non molto tempo fa. Sfogliavo un vecchio libro tra quelli messi via e di cui mi importava poco. La rilegatura in cartoncino morbido e il giallo sulle pagine hanno fatto la loro nel dare un senso a quanto leggessi: persino il tatto mi ha invitata a prestare attenzione. Fra due mensole in casa, questo pugno di parole forza una crepa e lascia che i pensieri si dispieghino. Ho pensato a me. Alla mia soffitta.
Immagino un antro polveroso dopo lo spacchettarsi di una scala ripida, e in cima poi qualcosa di simile a un cassettone che ne racchiude di uguali al suo interno, dal più grande al più piccolo. Una matrioska. Il primo impulso mi spinge per scomporre il complesso e osservare cosa è riposto al suo interno – cosa ho messo in ordine lì dentro tutti quei cassettoni – ma al tempo stesso una spina di paura mi trattiene dallo scatastare. Dal mettere in disordine. Il mistero, l’avventurosa scoperta, mi si para davanti come un’intuizione di dolore.
Non è più roba per me salire in soffitta?
Mi sono cimentata, nella realtà.
Nella vecchia casa che conserva quello che non mi serve più, quando ho rovistato fra le vecchie cose, è andata diversamente.
Ripiegata in un quaderno ad esempio, la foto di Syd Barrett era chiusa in quattro e sgualcita, anche se ricordo bene quando l’avevo attaccata nuova sul muro in casa prima che sul diario. Era una copia di amore manifatturiero: il risultato di lunghi pomeriggi sdraiati sulla fotocopiatrice di un ufficio dei miei. L’originale era pubblicata in una raccolta di testi dei Pink Floyd che avevo comprato giovanissima: in copertina c’era David Gilmour su un fondo fucsia, ma fu la cornice di sopracciglia scure intorno agli occhi spenti di Syd a colpirmi. Mi faceva sentire allo specchio. Due spilli neri come fori sulla testa, schiacciata in una bidimensione. E allora volevo averlo sempre davanti, e dal muro far sapere a tutti che mi sentivo così.
Il diamante pazzo brilla ancora tanto da trasmettere luce fin qua, in soffitta. Mi sussurra quanto io sia stata piena di cose e vuota al contempo, e in quale punto ho scavato poi per raggiungere l’equilibrio e cominciare a vivere.
Un solco di anni zero sopra una bianco e nero sgualcita. Un numero di traslochi indefinito. Indefinite vicissitudini a riempire un numero indefinito di scatoloni negli anni. Un sacco di ciarpame inutile, adagiato nella polvere a riposare per me. Che ha il solo grande compito di riemergere quando ho paura di non poter più avventurarmi nell’antro alle mie spalle. E che mi restituisce qualcosa dal prima, messo lì per infondere coraggio.
L’avventurosa scoperta si trasforma nella riscoperta di qualità, e tutto sembra più leggero. Saprò dove cercarmi, quando non mi trovo.
TRACKLIST
01. Pink Floyd – Remember a Day
02. Loop – Too Real to Feel
03. Robert Fripp, Brian Eno – The Heavenly Music Corporation II
04. Steely Dan – Dirty Work
05. Patti Smith – Space Monkey
06. The Mothers of Invention – My Guitar Wants to Kill Your Mama
07. The Jesus and Mary Chain – Good for my Soul
08. The Smoking Trees – More Than Friends
09. Bowery Electric – Over and Over
10. Lynyrd Skynyrd – Free Bird
11. Nick Drake – Pink Moon
12. Red House Painters – Take Me Out
ARTWORK
(di Stefania Cupillari)
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Last modified: 21 Dicembre 2020