Ennesima prova di forza per Blixa Bargeld e gli Einstürzende Neubauten, una band sempre più ultraterrena.
[ 05.04.2024 | Potomak | post-industrial, experimental rock ]
Non si esce vivi dalla musica sperimentale, specialmente quando si comincia a giocare con “le ferraglie” come fanno gli Einstürzende Neubauten dal 1980. Il rischio è che, per un musicista, l’unico modo per appagarsi davvero diventi imboccare continuamente sentieri non battuti, piuttosto che cercare di confezionare qualcosa che incontri il favore del pubblico. Lo sapeva bene anche Lou Reed, che mandò sonoramente a quel paese tutti quelli che gli chiesero di scusarsi dopo l’uscita di Metal Music Machine, caposaldo fondamentale per la costruzione di quel genere che sarebbe diventato l’Industrial.
“(…)dovrebbero essermi grati per aver pubblicato quella cazzo di roba, e se non gli piace possono mangiare merda di topo. Io faccio dischi per me stesso.“
Nessuna pietà, neanche per i ragazzini che si lamentavano di aver speso quasi otto dollari per acquistare un disco che non avevano capito. In quel momento la ricerca era esclusivamente di proprietà dell’autore e non del pubblico, soprattutto se questo non aveva la sensibilità necessaria per comprendere.
Oggi Lou Reed probabilmente manderebbe anche me a quel paese, se consideriamo com’è cambiato il pubblico e quanto riferirsi all’Industrial come un “genere”, come ho fatto qualche riga fa, potrebbe suonare davvero come una cafonata.
I tempi, infatti, sono in continuo mutamento. Diciamo pure che “industrial” oggi è uno stile di vita che attraversa le arti tutte, una missione che l’artista si carica sulle spalle, dialogando con il pubblico e coinvolgendolo nella sua ricerca, trascinandolo nei suoi paesaggi sonori.
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Continuare ad avanzare misurandosi col tempo che passa e con l’avanguardia che cambia non è facile, soprattutto quando c’è un ascoltatore più esigente del passato che è sempre lì, ad aspettare d’essere sfamato a dovere. A Blixa Bargeld, tuttavia, sembra venire tutto così semplice. Gli Einstürzende Neubauten sembrano non conoscere fatica e, soprattutto, sembrano vivere sulla loro pelle un unico modo di fare di far musica: spingersi sempre più in là di disco in disco, senza guardarsi indietro.
E allora, magari, il Sig. Lou Reed eviterà di materializzarsi per insultarmi se definisco Rampen una prova di forza di cui, in realtà, l’esito poteva già dirsi scontato, ma non solo.
L’ultimo disco della band tedesca è l’ennesima visione di una gruppo che, alle volte, assomiglia più a un’officina, in senso letterale e metaforico.
È innegabile che Bargeld e soci abbiano messo su un laboratorio sonoro che da più di 40 anni incuba suoni concreti e decisamente radicati in una visione iper-reale, spesso ferrosi, arrugginiti e distorti. Quello che stupisce è notare quanto la pasta sonora degli Einstürzende sia spaventosamente proiettata ad un livello superiore, alle volte ultraterreno, pur essendo ancorata profondamente a suoni “terreni”.
Sembra un ossimoro, ma forse gli EN hanno corso così veloce da superare la definizione di band precorritrice, hanno guardato così in là da aver visto in un futuro dalle fattezze aliene. Tutto sembra quadrare, soprattutto se consideriamo quell’apm: alien pop music che svetta di fianco al titolo principale del loro ultimo lavoro.
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Lascio ai lettori più sognatori le speculazioni e a me le considerazioni, perché davvero Pestalozzi, Everything will be fine e Tar & Feathers sembrano suggestioni raccolte dopo viaggi interstellari che, ormai, paiono essere una routine per la band formatasi a Berlino Ovest nel 1980.
Oscuri e suadenti strisciano nelle orecchie dell’ascoltatore come rettili fino ad insidiarsi in testa, fino a sedurlo completamente, armati di un fascino proibito, inenarrabile e sinuoso. Dopo essersi impossessati del pubblico senza troppe difficoltà, gli Einstürzende Neubauten sanno bene che per loro il resto è un viaggio in discesa che, tuttavia, porterà sempre più in alto chi sta ascoltando.
Le logiche terrene che stigmatizzano il doppio album come un suicidio commerciale non contano più. La band di Blixa Bargeld è su un piano diverso. Lo è sempre stata, e non ha bisogno di raccattare l’attenzione dell’ascoltatore medio che nel 2024 è ai minimi storici.
Chi segue gli EN ascolta Rampen fino alla fine, vive la ricerca sonora insieme all’artista, abbraccia il malessere che cola viscoso da brani come Wie lange noch? e Ist Ist, non ha paura di immergersi in Aus den Zeiten e in Ick wees nick (nock nich), notti sonore che sembra possano durare per sempre.
L’alba non giunge mai, un disco degno dei più oscuri Neubauten. In un pianeta che non conosce luce, possiamo riscaldarci esclusivamente con due tiepidi e fievoli raggi lunari, quelli di Planet Umbra e Trilobiten, gli unici due momenti del disco dove le chitarre squarciano l’oscurità, a metà tracklist e ad un passo dalla fine, poco prima di ripiombare nel buio.
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Provati, non ci resta che barcollare in cerca di qualcosa che ci riporti alla banalità della vita terrena, ignari che tornati a casa sarà il nostro mondo a sembrarci alieno e illogico. Facciamo ritorno con Gesundbrunnen, un mantra polveroso, una formula magica desolata e spoglia che siamo costretti a recitare come una preghiera, divisi fra la paura di tornare coi piedi per terra e la curiosità di vedere cos’altro avremmo incontrato se avessimo trovato il coraggio di spingerci ancora più in là nel buio.
Facciamo tesoro delle tenebre che continuano a regalarci gli Einstürzende Neubauten ed impariamo ad abbracciare ciò che ci fa più paura e ci tiene sospesi col cuore in gola. Tutto potrebbe sembrarci terribilmente banale, ma è quando le strade ancora non battute e le possibilità nuove sembrano venir meno che dobbiamo continuare ad avanzare, anche nell’oscurità più aliena, se serve.
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Last modified: 15 Giugno 2024