L’abruzzese Vincenzo Colella, classe 1994, in arte evoL, vive a Milano dal 2013. Con la prima canzone (“Sotto Accusa”) partecipa al concorso “Una voce per Sanremo” classificandosi al terzo posto. Poi ha frequentato il CET di Mogol diplomandosi come autore di testi. Nel 2012/2013 ha partecipato, con ottimi risultati, a diversi concorsi nazionali. Sempre nel 2013 ha realizzato una demo contenente dodici inediti interamente scritti da lui, in collaborazione con il cantautore Beppe Frattaroli. Nel giugno 2014 è stato invitato all’evento di beneficenza ‘’Rock per un Bambino’’, ideato dal cantautore Luca Guadagnini ex leader dei Vernice, nel quale si è esibito insieme con altri artisti come Anna Tatangelo, Antonio Maggio, Manuela Villa, Mariella Nava. Ad agosto 2014 è stato invitato ad aprire il concerto del rapper Clementino, in una tappa del suo Mea Culpa Tour, in provincia di Salerno. Il 21 luglio 2015 esce il primo singolo ufficiale accompagnato da videoclip firmato evoL-Nelli: “Il Nostro Show”. È nei quaranta finalisti del Premio Musicultura 2016. Nel giro di poche settimane inizieranno le registrazioni del suo primo disco ufficiale realizzato in collaborazione con il pianista e compositore Alessio Nelli. Il progetto ha un filo conduttore caratterizzato da stile e metriche Rap intrecciato a produzioni artistiche proprie di altri generi.
Ciao Vincenzo. Ti ho visto poco tempo fa a un concerto accompagnato dal piano di Alessio Nelli e devo ammettere che è stato diverso da come mi aspettavo, molto intenso per certi versi, eppure ancora troppo spoglio a mio avviso. Fai un uso molto ridotto delle basi che probabilmente potrebbero aiutarti a dare forza alla tua musica e gran parte del lavoro “sporco” è affidato al solo Nelli. Una scelta o una necessità? Non credi che questo tipo di set possa essere difficile da gestire in situazioni meno “intime”? Hai mai pensato ad affiancarti altri compositori e/o musicisti?
I nostri live in questo momento sono dettati dalla necessità più che dalla scelta. Le canzoni sono spoglie perché prive di arrangiamento, avendo scelto di iniziare a esibirci in acustico in attesa di iniziare a registrare e produrre il disco. Solitamente presentiamo i brani meno ritmati, perché crediamo che nell’esecuzione piano e voce possano rendere maggiormente. La gestione di questo set non mi preoccupa per il semplice fatto che nel giro di pochi mesi, con la realizzazione dell’album ultimata, disporrò del materiale per sostenere il live con le basi definitive o meglio ancora con dei musicisti. L’esperienza del piano e voce ci ha aiutato in questi mesi a portare in giro la nostra musica soprattutto in contesti più “intimi”, abbiamo preferito girare con questo set piuttosto che stare fermi e devo dire che in molti sono rimasti felici di aver ascoltato un qualcosa che è inusuale per la scena Rap e Pop/Rap.
A proposito di live, come dovrebbe essere un tuo concerto per poterti definire felice, anzi, soddisfatto una volta sceso dal palco?
Spesso mi dimentico le parole dei miei testi, quindi potrei dirti di essere soddisfatto anche solamente quando questo non accade. Più in generale sono felice quando noto in chi mi ascolta, anche solo per la prima volta, un grado d’immedesimazione tale in quello che racconto che è come se, oltre alla mia, stessi raccontando anche la storia di altri, senza averci mai preso neanche un caffè insieme.
Parliamo di critica musicale non dal punto di vista del pubblico ma dal tuo. Qualcuno ti ha mai detto schiettamente o scritto qualcosa di negativo sulla tua musica? Sei più stimolato dalle disapprovazioni o dagli incoraggiamenti?
No; magari c’è stato chi mi ha dato dei consigli all’inizio di questo percorso ma credo di non essere ancora abbastanza famoso da far scrivere alla gente qualcosa di troppo negativo su di me. Disapprovazioni e incoraggiamenti fanno parte del confronto con il mondo, i feedback sono importantissimi per chi cerca di fare questo mestiere. Essendo però il mio genere per scelta e background personale mainstream, ma non mainstream come qualcosa di brutto, mainstream come opportunità di arrivare con messaggi talvolta importanti al maggior numero di persone, non mi soffermo molto sulle disapprovazioni di chi mi dice che faccio musica commerciale, perché quello è un dato di fatto; piuttosto mi ritengo un privilegiato nel riuscire a fare un tipo di musica che ascolterei io nelle cuffie.
Lasciando da parte i testi delle tue canzoni più rivolti ad aspetti sociali, tutti gli altri raccontano storie all’apparenza autobiografiche. Quanto lo sono veramente? Giochi con la fantasia per mostrarla come realtà o racconti sempre la verità su te stesso? Pensa che anche Bukowski, uno di quelli che ha fatto fortuna raccontandosi, pare che in realtà inventasse tanto della sua apparente vita effettiva.
Ci sono alcune mie canzoni che sono come pagine di diario della mia vita, molte altre invece partono da base di realtà, di verità, di vita effettiva, per poi sfociare inevitabilmente in qualcosa di diverso. Credo che sia una costante di ogni cantastorie quella di avvalersi dei non-limiti della fantasia per raccontare qualcosa che possa risultare interessante a chi spende il suo tempo nell’ascoltare i fatti degli altri.
Come ogni musicista, anche tu devi avere dei miti che ti hanno spinto a prendere questa strada e magari hanno anche influenzato il tuo modo di scrivere. Quali sono i tuoi punti di riferimento passati e presenti? Come vedi, invece, il futuro della musica italiana?
Mi sono avvicinato alla musica a cinque anni quando nel 99 mi feci regalare Squerez dei Lunapop. Non so dirti però quali artisti abbiano influenzato il mio modo di scrivere, mi sento svincolato da quello che può essere uno stile o una scuola di scrittura. Posso dirti di essere cresciuto con la musica di Rino Gaetano, Robbie Williams, Jovanotti, Fabrizio Moro, Cremonini, Caparezza, Eminem, Maroon5, James Blunt e Macklemore. Con un background di questo tipo mi era difficile fare il rapper underground incazzato col mondo!
Tornando alle tue canzoni, ho notato che il pezzo scelto come singolo (“Il Nostro Show”) è sicuramente fuorviante. Molto semplice, più semplice del resto dei brani, sia nella parte lirica sia in quella melodica. Quasi un brano studiato a tavolino per piacere nell’immediato a chi poi potrebbe non apprezzare le cose più interessanti della tua produzione. Come e perché sei arrivato a quel pezzo?
“Il Nostro Show” è il primo brano nato dal connubio evoL-Nelli, dove io firmo la parte testuale mentre il maestro Nelli quella compositiva. È uno di quei brani in cui la melodia del ritornello la fa da padrona nei confronti del resto, ed era proprio quello che cercavamo, il testo poi è stato scritto in funzione della sceneggiatura del videoclip. Poteva risultare controproducente presentarsi al pubblico per la prima volta con brani più impegnati, più complessi, per poi mesi dopo far uscire “Il Nostro Show” lasciando come presagire una falsa involuzione di forma e contenuti.
Ho notato che qualcuno definisce quello che fai Rap, altri Pop. Quello che mi sembra è che la tua intenzione sia di utilizzare gli strumenti propri del Rap e l’immaginario che si crea intorno a quel mondo proprio per sfondare i muri del Pop più commerciale. Lo si nota dalla mancanza di aggressività, dalle tematiche spesso legate all’amore, dall’ironia scanzonata ma tutt’altro che banale. Tu come ti descriveresti, come racconteresti quello che fai a qualcuno che non ha mai ascoltato la tua musica?
Mi definisco un cantautore Pop/Rap, un “popper” per dirla in modo filosofico e stupefacente! Descrivo la mia musica come un intreccio slegato di due generi: il Pop e il Rap. Intreccio se si parla di canzone, slegati se si prendono in considerazione le diverse fasi della canzone. A differenza di altri cantautori che in Italia si sono mossi in questo genere fondendo il Pop e il Rap per dar vita a un genere ibrido che non sta lasciando il segno, ho scelto di non sacrificare nella forma l’identità dei due generi ma di metterli insieme senza stravolgerli. I contenuti variano: dal sociale, all’amore, al polemico/ironico. Sono volutamente poco classificabile da questo punto di vista, sarà l’età ma ho voglia di parlare di tutto quello che mi passa per la testa senza pensare: “ah ma faccio Rap non dovrei fare un pezzo d’amore” oppure “se parlo di sociale e faccio Pop non sono credibile”. Lascio tutto ciò a chi paradossalmente si auto impone limiti in ambito artistico.
Sei abruzzese ma vivi a Milano. Quali vantaggi e svantaggi offrono due mondi tanto lontani nella musica come nel resto?
Musicalmente parlando, il trasferimento a Milano mi ha aiutato ad ampliare quello che è il mio giardino delle esperienze dal quale raccolgo ricordi per scrivere canzoni. Ho conosciuto molti cantautori più grandi di me con cui potermi confrontare per crescere; è a Milano che ho iniziato a suonare dal vivo e ho iniziato a collaborare con produttori del più grande network radiofonico italiano; in una sola parola Milano è opportunità. Ma in due sarebbe: opportunità e frenesia. Proprio per questo quando torno nella mia Pratola (provincia de L’Aquila) e sento gli uccellini che cinguettano intorno a casa, capisco che almeno per un po’ ho ritrovato la pace con il mondo.
Riprendiamo il discorso sul tuo stile. Canti da rapper e scegli arrangiamenti Pop, vuoi immediatezza ma poi, a vedere bene, i tuoi pezzi sono tutt’altro che di facile ascolto (almeno sotto l’aspetto testuale). Non credi di poterti infilare in un limbo in cui risulti troppo complicato per il pubblico che ha esaltato oscenità come “Domani Smetto” (Articolo 31) ma troppo pulito per la platea più ricercata? In tal senso, saresti disposto a prendere una strada lasciando in parte l’altra? Quale sceglieresti? Il mondo underground o mainstream?
Credo che il pubblico, come la musica, abbia una sua evoluzione e che il successo degli Articolo 31 sia dipeso molto dalle loro scelte musicali, dalla generazione a cui si rivolgevano e quindi soprattutto dal momento storico in cui sono usciti. Oggi, con un aumento di consapevolezza da parte dell’ascoltatore nei confronti di quello che prima era un genere vergine, una presa di coscienza di tutto ciò che concerne la parte tecnica del rap come la metrica o il flow, probabilmente gli Articolo non avrebbero il successo che hanno avuto più di quindici anni fa; lo dimostra il fatto stesso che J-Ax ha dovuto rivoluzionarsi negli anni per rimanere sulla cresta dell’onda. Per quanto riguarda me, sarei un’ipocrita a dire che, dovendo scegliere, propenderei per il mondo underground, perché è un mondo che conosco solo per obbligo di cultura e non per passione; è un mondo che non rispecchia ciò che sono e il sogno che avevo da bambino. L’immediatezza delle mie canzoni è da ricercare più nella musica, sempre molto orecchiabile grazie all’estro di un maestro d’opera prestato al Pop come Nelli, che nelle parole. Fin dall’inizio di questo percorso ho intrapreso la scelta di seguire uno stile di scrittura che non fosse usuale e soprattutto non fosse banale, ma che fosse semplicemente mio. È caratterizzato da molti giochi di parole (“voglio colmare i tuoi vuoti col mare che hai dentro”), mi piace utilizzare parole uguali con significati diversi (“gli spiegheremo il mondo se ci spiegano le vele”), ossimori scanzonati più che da poesia (“stiamo insieme per sentirci liberi”), paradossi (“sto bruciando prigioniero tra due fiumi”), neologismi (“routine fobico” o “Dreamsopoli”) Con questo provo a dare al pubblico un motivo in più per ascoltare e riflettere sui miei pezzi, ma la canzone, la storia, il contenuto scorre anche se non si ha consapevolezza di tutto ciò, per questo non credo sia un problema ma solo un eventuale punto a mio favore. Sicuramente non cambierò il mio stile, continuerò sperando che col tempo oltre che ricantare i ritornelli, le persone andranno anche alla ricerca delle mie ricercatezze!
Collegandoci a questo discorso, nel pratico, stai già pensando a quale mercato cercare di conquistare, quale tipo di pubblico, quali canali seguire e quali no e a come farlo? Sei in una fase in cui sbagliare può essere pericoloso. Penso ai tanti alternativi che passando per reality o Sanremo sono finiti per essere dimenticati sia dal loro vecchio pubblico sia dal potenziale nuovo.
Spero che chi mi ascolterà, riuscirà con un po’ d’intelligenza a scindere i miei mondi per apprezzarne se non la moltitudine almeno il particolare. Se si ha qualcosa da dire credo che non sia indispensabile passare per un talent. Con ciò non sto dicendo che non mi vedrete mai in un talent, ma lo spero, perché a Pratola mi hanno già detto che non mi farebbero più rientrare!
In bocca al lupo per il futuro a te e a tutti i talenti come te che fanno di questo nostro amore una passione infinita.
Ringrazio Silvio per l’intervista, interessantissima sia per chi mi conosce sia per chi non sa nemmeno che Snoop Dogg sta riscrivendo una versione de “Il nostro show” in inglese! (scherzo naturalmente) Adesso volevo fare io una domanda a te! Del repertorio che hai potuto ascoltare qual è il mondo di evoL che ritieni più vero e quale più valido: quello impegnato, quello sentimentale, quello ironico ecc. Grazie ancora per la bella intervista!
Credo che il vero evoL sia quello impegnato tanto quanto quello sentimentale e ironico e spero, quindi, che le tue tante sfaccettature possano essere semplicemente diversi aspetti di quello che sei realmente e senza artifici. Su quale tuo lato possa ritenere più valido e interessante, non è facile a dirsi. Il bello di ascoltarti sta proprio in questa poliedricità, nel poter sorridere e qualche istante dopo riflettere. Però una cosa posso dirtela. Vanna Vinci disse una volta che far ridere è molto più difficile che far piangere e che spesso gli umoristi hanno un’idea più profonda e lucida della società e degli esseri umani degli autori “seri”.
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Last modified: 21 Febbraio 2019