Haiku Garden – Where If Not Now
[ 25.10.2018 | Kapa Records | Shoegaze, Alt Rock, Dream Pop ] di Vittoriano Capaldi
Where if not now? È ciò che si chiedono gli sloveni Haiku Garden nel loro debutto su lunga distanza, dopo il promettente EP pubblicato due anni fa. Dove, se non ora: una domanda che sa quasi di sfida, per un album che sembra venir fuori da uno scantinato tra Oxford e Reading a metà degli anni 90. Già, perché basta ascoltare l’opener “Catch My Breath” – che trasuda reminiscenze shoegaze già dal titolo – per capire quali sono le ispirazioni fondamentali per il quartetto balcanico, tra distorsioni e melodie che chiunque sia cresciuto nel mito delle stratificazioni sonore di Kevin Shields e dei suoi My Bloody Valentine non può non sentire proprie sin dal primo ascolto. In “Barriers” ci si muove in territori più sognanti, al confine col dream pop in alcuni passaggi, come fosse un outtake da un lavoro degli Slowdive. Va da sé che in un album del genere le chitarre, ruggenti e sfacciate, la fanno da padrone. “Days, Dripping Away” è imbevuta di un chitarrismo che rimanda alla commistione tra alt rock e shoegaze sulla scia di gruppi storici e programmatici in questo senso quali Swervedriver e Catherine Wheel, una miscela che tanto fa battere il cuore ancora oggi. Non mancano sorprese come le infatuazioni esotiche, indiane, che fanno capolino in “Hazel”, grazie ad un inaspettato quanto curioso sitar. La lunga “Drifter” (altro dei numerosi titoli 100% shoegaze) ci prende per mano e ci accompagna verso il finale di un disco che, al di là dell’imprescindibile tributo pagato a grandi classici della scena di riferimento, mette in mostra tutte le potenzialità di un gruppo sì giovane e in divenire, ma da tenere decisamente d’occhio.
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Petrolio – L+Esistenze
[ 30.11.2018 | Dischi Bervisti / Audiotrauma / Dio Drone / Dreamingorilla Rec / È un brutto posto dove vivere / Toten Schwan | Industrial, Avantgarde, Experimental Rock, Electronics, Drone ] di Silvio “Don” Pizzica
Dalla mente intricata di Enrico Cerrato, nome già noto agli appassionati di Metal, Industrial, Jazz Noise e Punk, nasce nel 2015 la creatura chiamata Petrolio. Ci vorranno due anni prima di arrivare all’album di esordio ma sarà una lunga attesa ripagata dal consenso degli appassionati a un genere oggi quanto mai ostico e impopolare. Tale gradimento si tradurrà in una serie considerevole di date in Europa e nella condivisione del palco con artisti affermati nella scena underground come MaiMaiMai o Bologna Violenta. Nel nuovo lavoro, Petrolio sceglie un approccio rivoluzionario, affiancandosi a sei artisti e musicisti ma lasciando a ognuno di questi la possibilità di dare un’impronta propria e peculiare. Il risultato è mirabile. Le diverse personalità, prerogative, i differenti stili di questi artisti finiscono per brillare di luce propria ma nello stesso tempo, l’ascolto del disco è fluente e omogeneo, con variazioni mai brusche che fanno oscillare l’asticella talvolta verso la più cruda Industrial teutonica o ancora verso l’Elettronica minimale, verso l’estrema sperimentazione sonica o il minimalismo più sintetico, verso il Noise a tratti piacevolmente sgradevole o il più soffuso Glitch. Un disco ovviamente complicato per i non avvezzi a certi suoni ma che nasconde una potenza paragonabile a pochi in Italia e che ha la forza in ognuno dei dodici pezzi di cui è composto, in ognuna delle esistenze artistiche che vi hanno partecipato e nella somma di tutte queste; esistere è esserci e l’esserci in questo caso somiglia a qualcosa di divino, nella sua umana brutalità.
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Whispering Sons – Image
[ 19.10.2018 | Smile Records / Cleopatra Records | Post Punk ] di Beatrice Van Pelt
Gruppo belga dalle atmosfere cupe e nervose, senza dubbio figli dei Joy Division. Il loro post-punk è infatti un fiorire di linee ritmiche incisive e disperate, che si intrecciano con sapienza alle melodie serrate delle chitarre dando vita a un affiatamento sonoro estremamente coinvolgente. Attivi dal 2013, Image è il loro primo album, preceduto nel 2016 dall’EP Endless Party. A differenza dell’EP, con deriva quasi shoegaze, questo long playing esplora invece maggiormente la loro vena più punk e dark: “Alone” è una perla cupa dai riff di chitarra quasi invadenti, che evoca un incubo fantastico dal quale la band sembra quasi non volersi risvegliare. Altra degna di nota è “No Time”, che cresce lentamente ed esplode poi furiosa; giocando sui tempi dispari è forse la traccia più innovativa, dalle venature prog, e liriche come Nervous laughter surrounding me descrivono alla perfezione lo stato d’animo che si prova ascoltando l’album. In generale l’atmosfera è quindi quasi claustrofobica, la narrazione alterna infatti momenti di stasi e impotenza a momenti di rabbia e volontà di fuga da una realtà dalle tinte distopiche e industriali. Incisiva è la presenza di un synth fuzzoso che crea una sottotrama interessante e una chiave di lettura più moderna a un genere musicale che ha già detto – quasi – tutto grazie a band di culto che ne hanno declinato le tantissime sfaccettature. In questo senso la voce baritonale e monotona, certamente stilisticamente appropriata, risulta un omaggio a volte troppo invadente a Ian Curtis e rende il tutto a tratti un po’ ridondante. Correggendo però il tiro in questo senso, i Whispering Image hanno tutte le carte in regola per poter rileggere questo genere in chiave più attuale.
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Last modified: 16 Febbraio 2019