Visionist – Value
[ 2017 | Big Dada | Grime, D’n’B ]
(di Gianluca Marian)
Nell’anno in cui Arca ha quasi definitivamente abbandonato l’astrazione musicale e Oneohtrix Point Never ha smussato tutti i suoi angoli per realizzare la colonna sonora del lungometraggio Good Time, Value di Visionist può risultare un lavoro superato. Il nuovo disco del producer londinese è ancora ben immerso nella sua formula di R’n’B, Drum’n’Bass e Grime, avvicinandosi ulteriormente ai lavori di Arca, specie a Xen. Se il suo disco precedente (Safe, uscito nel 2015 come Xen) è stato uno dei fondamentali per tutto il movimento, rimanere ancorati nella stessa posizione risulta alla prova dei fatti solo un mero esercizio di stile. L’aggiunta di una vocalist diventa solo un prelibato contorno di fronte ad un piatto poco saporito e, seppur lodevoli, le attenzioni alle tematiche gender diventano ormai una goccia in un mare di continue attenzioni. Non parliamo assolutamente di una bocciatura, ma probabilmente quello di Visionist è un lavoro che ha bisogno di essere lasciato a decantare prima di poterne collocare le sonorità.
[ ascolta “Your Approval” ft. Rolynne | pagina FB ]
Angelo Sicurella – Yuki-O
[ 2017 | Urtovox Records | Synth Pop, Songwriting ]
(di Silvio “Don” Pizzica)
Non è un territorio semplice quello del Synth Pop cantautorale in italiano, quello in cui va a ficcarsi il palermitano Angelo Sicurella al suo debutto con Yuki-O. Un concept/non concept che affronta temi quali le difficoltà di raggiungere i nostri sogni in un mondo sempre più distante dal cuore dei singoli esseri umani attraverso gli occhi di una bimba che vuole solo sentirsi viva. Un disco disilluso ma speranzoso, che vuole metterci davanti alla consapevolezza delle possibilità di fallimento senza una derivante disperazione. Quasi tutto quello che compone il disco è opera dello stesso Sicurella e se da un lato vengono fuori abbastanza palesi alcuni limiti dati dalla necessità, è altresì innegabile che la scelta di semplificare al minimo la struttura sintetica dei brani al servizio delle melodie vocali intriganti e di una timbrica originale e affascinante funziona alla perfezione. Yuki-O è un disco davvero ben fatto per essere fatto quasi da una sola persona ma ha anche quel fascino di quelle cose bellissime che sappiamo destinate a durare troppo poco e a restare solo nostre. Tutto quello che trovate in quei brani che Spotify vi ficca in ogni compilation perché DEVE farvi ascoltare certa roba, qui non lo troverete. Se avete mezz’ora da dedicargli, sarà una bella mezz’ora tutta per voi.
[ ascolta “I sogni scivolano” | pagina FB ]
Courtney Barnett & Kurt Vile – Lotta Sea Lice
[ 2017 | Matador Records | Folk Rock ]
(di Simona Ventrella)
Un album che nasce da una collaborazione inusuale e decisamente unica tra due personalità differenti ma affini nell’approccio alla musica. Lui è Kurt Vile, songwriter acclamato nel mondo Indie e portatore di sana e rilassata leggerezza. Lei è Courtney Barnett, rocker australiana ammaliante e sorniona con un acclamato disco d’esordio nel 2015. Il risultato sono nove tracce che sembrano uscite da una sessione di amichevole psicoterapia in cui ci si immagina Kurt e Courtney seduti ad un caffè a disquisire amabilmente di musica, di approcci alla vita, di disagio esistenziale, per poi imbracciare le rispettive chitarre e lasciare che la musica faccia il resto. Un gioco a due voci che con la giusta dose di ironia si scambiano i ruoli, si interrogano con un tono confidenziale, senza volersi e doversi prendere troppo sul serio. Musicalmente l’incrocio è gradevole e armonioso, un groove Country Folk con sbavature Indie Rock (come in “Blue Cheese” e “Continental Breakfast”) in cui nessuno dei due sovrasta l’espressività dell’altro. Gli esperimenti non mancano, e così troviamo Courtney che renterpreta “Peepin Tom” di Kurt e coverizza “Fears is Like a Forest” della propria compagna Jen Cloher. Il messaggio è molto chiaro: siamo bravi, ok, ma sappiamo anche apprezzare, cogliere il bello del confronto e, perchè no, divertirci. Ben fatto, direi.
[ ascolta “Continental Breakfast” | pagina FB Courtney Barnett | pagina FB Kurt Vile ]
Julien Baker – Turn Out The Lights
[ 2017 | Matador Records | Slacker Rock ]
(di Simona Ventrella)
Julien Baker ritorna con un secondo album e conferma il suo ottimo esordio due anni fa. La giovane ragazza del Tennessee colpisce di nuovo per la sua nitida interpretazione di stati d’animo personali ricolmi di tristezza e disperazione. Una capacità di racconto semplice, che si avvale di pochi strumenti e artifizi, ma capace di creare un senso di tensione drammatica elevatissima. La voce è sempre al centro e viene accompagnata di volta in volta da una scarna chitarra, un soave piano e dei leggeri archi sommessi. Rispetto all’esordio con Sprained Ankle gli arrangiamenti sono diventati più importanti ma mai invasivi nell’economicità di ogni pezzo. La maggior cura nei suoni non scalfisce di un millimetro i climax emotivi, vera chiave di volta su cui sono costruiti i brani e in cui la fragile sensibilità di Julien trova la massima espressione. Sebbene a volte questa esasperazione drammatica rasenti un senso di stucchevole immobilità, l’esplorazione aperta e sincera che Julien fa della propria emotività farcita di alienazione giovanile sa essere ancora affascinante. La sua autenticità è il vero punto di forza e di sicuro successo per questa giovane cantautrice e speriamo che non la perda mai. Turn Out The Lights farà felici tante giovani e tormentante anime.
[ ascolta “Appointments” | pagina FB ]
Reveers – To Find a Place
[ 2017 | Music Force | Art Rock ]
(di Silvio “Don” Pizzica)
La giovane band di Udine parte da una base Impro per poi smussare e rifinire queste otto tracce che formano To Find a Place. Chitarre elettriche, tastiere, basso, batteria e la voce di Ismaele Marangoni (coadiuvata da Giulio Gherardini) sono i protagonisti di un album dal sapore ambiguo, che laddove richiama un certo Post Rock languido e dalle note liquidissime in perfetto stile fine Novanta inizio Duemila, dall’altro sembra ammiccare addirittura ai Settanta della scena di Canterbury e Robert Wyatt (ovviamente con le dovute distanze). Qualche reiterazione stilistica di troppo rende l’ascolto più arduo di quello che potrebbe essere e manca quel guizzo che sposti la musica dei Reveers decenni avanti, almeno fino ai giorni nostri. Sono questi i problemi principali ma non gli unici di un disco che, tutto sommato, ha coraggio e pone le basi di qualche idea su cui lavorare per il futuro. To Find A Place da solo non basta; ora vanno tirati fuori suoni di un certo livello oltre che lavorare sulla voce.
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Simone Piva & i ViolaVelluto – Il Bastardo
[ 2017 | Toks Records, Music Force | Rock ]
(di Silvio “Don” Pizzica)
Punto primo: oggi pare che incidere un disco sia qualcosa di più facile rispetto a qualche decennio fa. In fondo è vero; basta avere i soldi e il tempo. Appunto. Quando decidete di scrivere e stampare il vostro album dovrete spendere (non sempre investire) soldi e tempo. E allora perché non fare le cose per bene? Perché bruciarsi tutto in copertine come questa di Simone Piva che sembra realizzata dal nostro amico appassionato di grafica col paint? Punto secondo: nonostante a un ascolto superficiale Piva appaia come uno di quei maniaci della chitarra che non hanno l’umiltà di continuare a strimpellare e cantare senza essere cantanti in cantina, Il Bastardo ha qualcosa di più. Qualcosa che con una produzione più accurata, qualche levigatura su alcune ripetizioni anacronistiche, un taglio più netto dalla classica tradizione western, un cantato meno Classic Rock giacché non di cantante parliamo, arrangiamenti più moderni, potrebbe anche funzionare in questo 2017. Il problema è che un musicista che suoni in questo modo, difficilmente riuscirà a modificarsi a tal punto da reinventare la propria scrittura. Questo è il grande rimpianto per un artista che potrebbe decisamente fare di più ma forse non ne ha nessuna voglia. Basta con questo Far West, dai. Si può fare, no?
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Giuseppe Calini – Verso l’Alabama
[ 2017 | Music Force | Rock ]
(di Silvio “Don” Pizzica)
Probabilmente il disco più insensato che mi sia capitato di ascoltare quest’anno; completamente fuori luogo in ogni sua parte, dalla copertina piena di cliché (chitarra, fucile, proiettili, scenari da Death Valley e scritta saloon) con l’immancabile fotomontaggio Dead or Alive con foto del musicista e pseudo frase a effetto. Una grafica in stile locandina di serata western karaoke in un pub di provincia che non è l’unica cosa senza senso in questo disco. Le autocitazioni all’interno, tra cui spicca una volta rocker, per sempre rocker da buon riccardone, i continui riferimenti a un mondo che non vedo cosa possa entrarci con il legnanese (Route 66, Alabama, ecc…), una voce tecnicamente improponibile e dalla timbrica imbarazzante anche quando prova melodicamente a scimmiottare Vasco (“Mettimi di Buon Umore”), canzoni banali oltremisura, senza un minimo tentativo di andare oltre lo stereotipo del rocker yankee del sud degli States (quindi, immaginate che assoloni). A tutto questo aggiungiamoci canzoni semplicemente inascoltabili e sbagliate ed eccovi servito il peggio ascoltato quest’anno. Non me ne voglia l’autore ma per quanto sia grande la nostra passione per la musica, non possiamo tutti pubblicare album; o meglio, potremmo ma non dovremmo. E lui ne ha pubblicati diciassette.
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Last modified: 20 Febbraio 2019