Mr Everett – Uman
[ 2017 | Collettivo HMCF | Electropop ]
(di Silvio “Don” Pizzica)
Quattro ragazzi di Bologna e un’innata passione per l’Electropop; questo è quanto si nasconde dietro al quel signor Everett che signore non è. Un EP che prova a sviscerare il rapporto complesso che si crea tra naturale e artificiale, tra umano/non umano e animale, tra terrestre ed extraterrestre in un continuo dualismo che genera opposizioni emozionali nel momento in cui le apparenti antitesi collimano. Questa è la natura intrinseca di Uman che, invece, sotto l’aspetto prettamente musicale, altro non è che una miscela di Elettronica facilissima da club con melodie e strutture Pop. Quattro brani apprezzabili ma duri a NON morire, fin troppo elementari e senza alcun picco se non nel mini mash up di “Crystalised” di The XX e “Wicked Game” di Chris Isaac. Serve molto, ma molto di più.
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Industria Onirica – Inganni
[ 2017 | autoprodotto | Cantautorato, Pop Rock ]
(di Antonio Azzarone)
Conciliare le esperienze concrete della vita e la materia astratta dei sogni, i testi cantautorali e i ritmi contemporanei, questo è quello che provano a fare gli Industria Onirica in questo primo EP. Al progetto, nato nei pressi di Venezia, partecipano Bruno Sponchia (voce e autore dei testi), Mattia Giallombardo (basso), Massimiliano Dall’Ara (batteria), Alberto De Lazzari (tastiere, sequencer) e Alessandro Ragazzo (chitarra). Inganni deve il suo titolo all’omonima fermata della metropolitana milanese, dove il disco è stato registrato, e in “Intro” si sentono il rumore del treno e l’annuncio della fermata. Seguono cinque pezzi fortemente intrisi della migliore tradizione cantautorale italiana, da Fabrizio De Andrè a Ivano Fossati e Franco Battiato, suonati con sintetizzatori viscerali, chitarre graffianti, bassi profondi e ritmi pulsanti. “Prima di dormire” e “Notte di Candele”, che termina con un recitato, mettono particolarmente in risalto la voce di Sponchia. Segue “Grattacieli”, al quale ha collaborato il cantautore Fabio Cinti, veloce e con inciso in inglese, a richiamare idealmente molte esperienze di successo del già citato Battiato. Più intima “Isolamento”, con sonorità sperimentali, e a chiudere, “Quanta voglia ho di te”, con temi e cantato che fanno venire in mente Vasco Brondi. L’impressione al termine dell’ascolto è di trovarsi di fronte a un EP molto ben confezionato, che mette in mostra l’indubbio talento della band, ma a cui forse manca ancora qualcosa per arrivare a uno stile proprio, che non debba costantemente richiamare un riferimento esterno.
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Stella Maris – Stella Maris
[ 2017 | La Tempesta / Khalisa | Rock, Cantautorato ]
(di Maria Pia Diodati)
Pochi ingredienti ma curati e ben dosati per l’esordio eponimo di questa formazione in cui Umberto Maria Giardini è solo la ciliegina sulla torta. A tornire il suo cantato – scrittura vivida e diretta come di consueto, unita a una serenità dal gusto retrò nelle linee, forse inedita nella variegata carriera di quello che una volta si faceva chiamare Moltheni – provvedono un manipolo di musicisti che sanno il fatto loro, tra cui Gianluca Bartolo (metà de Il Pan del Diavolo) e Ugo Cappadonia a curare le coprotagoniste: chitarre essenziali e sferzanti imbevute di tutta la tradizione Alt Rock italica, levigata in arrangiamenti puliti e suggestivi. La combo funziona in ogni declinazione, in quella fluida dei giri schietti di “Eleonora No” e “Quando un amore muore non ci sono colpe” e in quella più nervosa di “Piango Pietre”. Mai invadenti le striature psichedeliche, in “Quella Primavera Silenziosa” e nello sfumare malinconico della voce di Giardini in “Non importa quando”. In conclusione, un trionfo di sonorità Post Punk d’antan si liberano dalle strutture in eccesso e generano la sensualità di “Se Non Sai Più Cosa Mangi, Come Puoi Sapere Cosa Piangi?”. Un inizio in splendida forma e la conferma di una sostanza artistica che non ha bisogno di troppi contorni.
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Mariam The Believer – Love Everything
[ 2017 | Repeat Until Death | Indie Pop, Art Pop ]
(di Tony Mistretta)
La svedese Mariam Karolina Wallentin Riahi – elemento fondamentale della Fire! Orchestra nonchè metà femminile del progetto Wildbirds & Peacedrums condiviso col marito Andreas Werliin – torna a quattro anni dal debutto solista Blood Donation sotto il nome di Mariam the Believer, con il quale propone i suoi lavori più accessibili. Alla realizzazione del disco hanno collaborato una decina di musicisti di diversa estrazione tra cui Sofia Jernberg (cori) e Mats Gustafsson (sax), compagni di viaggio della Wallentin nella Fire! Orchestra, il chitarrista sperimentale Oren Ambarchi e lo stesso Werliin dietro le pelli. Il risultato è un nuovo full-length dalla spiccata dinamicità e dal gran gusto melodico, nove brani che scorrono in modo piacevolissimo liberandosi in più modalità espressive, passando da attraenti e sofisticate texture di chitarre, fiati, archi e percussioni a strutture mutanti ed indubbiamente più free, in egual modo gravide di piacevoli intuizioni. Ad accoglierci è “Opening” dove, accompagnata da archi vibranti, la splendida voce di Mariam pare dissolvere la nebbia che ci si portava dentro fino all’attimo prima di premere il meraviglioso tasto ‘play’, il cuore si fa leggero e pronto per la splendida riflessione Pop-Soul sulla vita e sulla morte di “Eternity”, che evidenzia la versatilità della voce della Wallentin e nella quale troviamo ottimi innesti di fiati e pregevoli cori prima di un finale che qui vira verso l’Hip Hop e l’R’n’B. C’è poi spazio per gli arrangiamenti leggeri e ricchissimi di una “Pieces” colma di luce e speranza che emoziona e regala piccoli ed amabili brividi che preparano al tuffo nell’istintività di “Bodylife”, con le sue trame elettroniche e percussive e la sua chitarra eversiva, fuori fuoco, per poi giungere all’affascinante “Darkening” che con grandissima delicatezza accompagna alle ultime luci dell’esistenza avvolgendo con la sua melodia semplice e profonda ed i suoi archi suonati dal vento. Indubbiamente degne di nota, in un disco bello dall’inizio alla fine, anche l’ottima “Bullies”, con la sua orchestrazione Pop-Jazz ed una voce che qui si fa più vicina al Gospel, così come l’umorale “Crust”, capace di suonare ora classica ed ora moderna in modo estremamente naturale. Un disco incredibilmente piacevole e pulsante, positivo e profondo, un’inno all’amore, alla vita, alle piccole e grandi cose ed ai piccoli e grandi eventi che la nutrono, che si candida ad essere una delle uscite più interessanti di quest’ultima parte dell’anno in ambito Pop (e non solo).
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Arcadian Child – Afterglow
[ 2017 | autoprodotto | Blues Rock, Psych ]
(di Maria Pia Diodati)
La curiosità nel metter su musica che sai essere nata a cavallo tra l’est e l’ovest del pianeta è molta ma mentre scorre Afterglow non sprigiona profumi di oriente come avevo immaginato a scatola chiusa. Non tanto perché il cantato a scanso di equivoci è in inglese, ma perché la ricetta dell’esordio di questa formazione di base a Cipro è una corposa miscela di basso, batteria e chitarre inequivocabilmente legata al Rock seminale. Su una psichedelia di fondo, molto è lo spazio lasciato alla voce, ruggente come tradizione impone ma lievemente effettata nei punti giusti a non suonare datata, come quando si sovrappone ai morbidi riff in odor di Stoner di “Little late for love”, o quando si scioglie nella lisergica “Irresistible” (dove forse qualche effluvio esotico emana dal bridge, così come poi dalla linea melodica dell’intro di “Run”), ma a farla da padrone sono Blues e Psych che si alternano disinvolti anche all’interno dello stesso brano (“Rabbit Hole”, “Used”). Al di là delle suggestioni personali, il debut degli Arcadian Child è una prova godibile che se la cava bene nell’impresa di rimaneggiare in termini contemporanei una materia cristallizzata dal tempo.
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Last modified: 20 Febbraio 2019