Fat Dog – WOOF.

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Vietato pensare: l’ipercinetico debutto dance-punk del quintetto britannico è un folle invito a scatenarsi.
[ 06.09.2024 | Domino | dance-punk, new rave, EBM ]

In principio furono i pionieri Gilla Band e Death Grips a spianare la strada con inedite sperimentazioni e sessioni rumoristiche. Successivamente, uno alla volta, tutti gli eredi – alcuni più timidamente, altri rapidi e inattesi come fulmini a ciel sereno – si sono palesati: i Mandy, Indiana si sono lanciati in apocalittici rave, Model/Actriz e Chalk hanno sdoganato influenze techno e industrial, i Lip Critic ci hanno aggiunto un tocco di acido.
I Working Men’s Club hanno poi fatto un salto a piè pari per atterrare in un immaginario dancefloor anni ’80 e persino gli Yard Act hanno leggermente cambiato rotta con l’ultimo album, introducendoci ad un piacevole e brillante pop ad alta ballabilità.

La tendenza da parte del post-punk ad approdare verso nuovi lidi più lisergici e danzerecci ormai non è più da considerarsi come un fenomeno sporadico, bensì come la genesi di un nuovo genere musicale in costante trasformazione (per chi volesse saperne di più, su questi lidi abbiamo anche provato a sdoganare l’etichetta viol-dance punk).

© Sam Keeler
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WOOF., album d’esordio dei Fat Dog, si incastra perfettamente nello scenario appena descritto. Largamente anticipato da una sfilza di tanti, decisamente troppi singoli, i trentatré minuti del disco racchiudono la sintesi dell’esperienza maturata in versione live dal quintetto britannico fra le mura londinesi del Windmill, vera e propria culla di talenti contemporanei in ambito alternativo e indipendente.

Omogeneo e compatto, il disco punta più alla costruzione di un’identità ben precisa che ad una certa varietà di suoni. Fra massicci synth, beat ossessivi, EBM e techno, atmosfere da rave party e la sana aggressività dello spoken word di un frontman – Joe Love – più aizzatore di folle che vocalist, l’album è costellato di influenze tra le più disparate e inattese.
Si passa da ritmi balcanici e orientaleggianti e innesti klezmer a saturazioni industrial, il tutto ben sostenuto da un sax imbizzarrito ed un cantato che talvolta attinge allo ska e si lancia in folli e improbabili rincorse mozzafiato.

La tracklist, perfettamente strutturata al fine di mantenere sempre altissimi attenzione ed entusiasmo, conta solo alcune brevi “pause” ben collocate: Clowns, bizzarro esperimento con un autotune utilizzato in maniera intelligente, e I am the King – provate ad immaginarvi chiusi fra le pulsanti pareti del bagno di una discoteca, con il cuore spezzato da una storia finita male, ascoltando in cuffia una struggente canzone d’amore: ecco, direi che la sensazione più o meno è quella.

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E tutto il resto? Potete facilmente immaginarlo, ora: una scatenata, trascinante, incredibile, pura follia.
Nel complesso, se il disco funziona bene sulle tracce più brevi e sfacciate (Wither, Running, l’ipnotica trance di All the Same), il meglio lo dà nei suoi momenti più prolissi ed epici. Il più esemplare? Forse la geniale King of the Slugs, epopea piacevolmente nonsense che si snoda in sette, imprevedibili minuti carichi di tensione e suona come se un disco prog rock fosse capitato per sbaglio sul piatto del DJ di un club techno.

“You can kill the man / but you cannot kill the dog”. Le parole finali di And So It Came To Pass la dicono lunga sulle reali intenzioni da parte dei Fat Dog di lasciare un’impronta tangibile sul tortuoso sentiero della scena odierna e, se queste sono le premesse, di terreno da segnare c’è n’è eccome a disposizione.

Quindi, istruzioni per l’uso: spegnete il cervello. Assicuratevi che nessun pensiero intrusivo, nessuna preoccupazione, nessun cattivo presagio occupi la vostra mente. Vestitevi comodi. Premete play senza indugio, alzate il volume (esagerate pure: forse i vostri vicini di casa, col senno di poi, vi ringrazieranno). Fatto? Ok, ora ballate, ballate come se non ci fosse un domani.

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Pensatori seriali, ricercatori di significati reconditi, elucubratori professionisti, sommelier della critica: se vi ritrovate in una di queste categorie, sappiate che questa non è la band che fa per voi. WOOF. è un album studiato appositamente per lasciarsi andare e perdere la testa, innovativo quanto basta e ben farcito di una generosa dose di accessibilità pop: merce rara di questi tempi, roba di cui abbiamo decisamente bisogno.

E, se l’esperienza non vi fosse ancora bastata, non temete. Per il quintetto londinese sono in programma ben tre date italiane: li ritroveremo il prossimo 14 settembre a Roma allo Spring Attitude Festival, il 15 settembre al Poplar di Trento e il 16 settembre all’Arci Bellezza di Milano.

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Last modified: 13 Settembre 2024