Se l’intento era quello di mostrarci una metamorfosi, direi che il debut di Flamingo centra il bersaglio.
[ 28.02.2020 | WWNBB | dream pop, noise pop ]
Friulana di base – anzi, sarebbe più corretto dire di ritorno – a Milano, Flamingo alias Lavinia Siardi arriva all’esordio vero e proprio, stavolta necessariamente in full length, perché ad allontanarti così tanto e così a lungo dalla tua comfort zone poi ti ritrovi con così tante cose da raccontare che non ti bastano più quattro tracce come quelle dell’EP uscito prima che partissi.
I tre anni trascorsi a Tokyo sono la materia prima di questo Komorebi, termine giapponese intraducibile in italiano con una sola parola, che significa qualcosa come “la luce che filtra tra le foglie degli alberi”. Suggestivo già dalla confezione, che peraltro tra gli ingredienti reca anche il nome di Xabier Iriondo alle chitarre.
Le atmosfere sospese e melanconiche sono quelle dei Daughter e in generale a primo acchito viene fuori che l’album deve molto alla cerchia allargata del cantautorato dreamy internazionale: nell’inciso strumentale in Mother ci sono i primi The XX e il nu gaze degli M83 più morbidi, le deflagrazioni distorte di Rose starebbero bene in un disco di Torres, il minimalismo della title track sa di ambient pop tipo Cigarettes After Sex ma senza rischiare di addormentarti la monotonia.
Tutto molto gradevole ma già sentito, verrebbe da dire lasciando scorrere le prime tracce, ma il più delle volte, si sa, al ritorno succede che le comfort zone non sembrano più così confortevoli come ce le ricordavamo. E così Lavinia ne esce definitivamente quando arriva Wish You The Best, che nasce placida per poi farsi marziale in chiusura, con la sezione ritmica che satura gli spazi tra le chitarre, a rivelare l’animo più shoegaze di Flamingo e a dare una prima prova della sua capacità di giocare coi contrasti.
Da qui in poi gli esiti sono molto più gustosi. Con un intro e un outro al piano che ne racchiudono i grovigli incessanti di chitarre, Corrupt è il brano più complesso del lotto, stratificato e lunatico nei tanti mood a contrapporsi, tenuti insieme da una linea melodica più disturbata e meno lineare che altrove. Coinvolgente anche la tensione a base di violini che a un certo punto si fa danzereccia della prima parte di (Sinking) In My Blood, un brano che continua a spiazzare ad ogni passaggio, facendosi tutt’a un tratto noise rock robotico e incazzato. The Wind Cave lambisce territori trip hop e poi si accende in un duello di distorsioni e cantato à la Jehnny Beth delle Savages.
Chiude Melancholia, un’incisione casalinga col gusto retromaniaco per gli scricchiolii impressi sulle liriche e sul suono di un pianoforte che sembra provenire da un’altra stanza: ha tutto il potere evocativo del lo-fi, perché qui sì, la luce che filtra tra le foglie degli alberi la vediamo anche noi.
Se l’intento era quello di mostrarci una metamorfosi, direi che il debut di Flamingo centra il bersaglio. Non è semplice dire cosa sia diventata ma – per quanto in molti credano esattamente il contrario – noi mica siamo qui per incasellare: in realtà siamo qui fermi sulla riva aspettando di veder passare un disco che ci spiazzi perché non riusciamo a decidere che etichetta appiccicargli.
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Last modified: 25 Marzo 2020