“The only people for me are the mad ones, the ones who are mad to live, mad to talk, mad to be saved, desirous of everything at same time, the ones who never yawn or say a common place thing, but burn, burn, burn, like fabulous yellow roman candles exploding like spiders across the stars…”
– Jack Kerouac
Senza dubbio il punto forte dei Freddocane sono i testi il il loro modo di usare le parole. L’uso frequente di figure retoriche e uno stile, che come loro stessi confermano, deve molto alla letteratura di Jack Kerouac e alla sua “prosa spontanea”, spesso confusa con un non stile ma in realtà il modo più difficile per affrontare un testo: poche regole e un proficuo uso di figure retoriche. Bisogna saper dosare bene ogni parola, e Beppe Fratus, Ivano Colombi e Stefano Guidi dimostrano di saperlo fare, dimostrando anche un’ottima capacità di accoppiare parole e musica, che non è da tutti.
Ho rilevato nel disco quattro filoni ben definiti e collegati fra loro. Insane, traccia con cui inizia l’album e che riprende a suo modo le considerazioni di Kerouac sulla follia, è un notevole esempio di come accoppiare le parole fino a crearne quasi una poesia con la loro musicalità. E proprio la follia in cui non si distinguono né i suoi aspetti positivi né quelli negativi, ripercorre tutte le tracce. Come allo stesso modo possiamo intravedere il passare inesorabile del tempo come condizione di immobilità e paura. Questo concetto è ben scandito in Dentro il tempo dove il ritmo del pezzo è dato nuovamente dalla musicalità e dall’armonia delle parole; andando avanti nel disco immobilità e paura diventano pian piano confusione mentale e stanchezza, concetti che si vedono realizzati in Nebbia e Stanco. Un finale più cupo e psichedelico raccoglie in pieno tutte queste sfaccettature di un disco all’altezza delle sue ambizioni.
Primo singolo dell’album è la traccia n°5, Freddocane; sono però convinto che questo lavoro possa esprimere il meglio di sé se ascoltato come fosse una traccia unica, per le evocazioni di immagini che riesce a procurare nel suo tutt’uno.
Curiosità: potete notare che la voce ETICHETTA è rimasta vuota. Per ricollegarci a Kerouac e a quella generazione di cui era stato fatto portavoce, la beat generation, in un saggio del 1958, la scrittrice e giornalista Fernanda Pivano scriveva: “…i ragazzi raccolti sotto il nome di beat generation…non sono professori o scrittori professionisti aggrappati ad un impiego in Case Editrici o giornali…ma giovani che credono nella vita ma respingono i sistemi morali e sociali e vogliono scoprirne da sé di nuovi sperando di trovarli più efficienti”. Concetto che mi sembra in piena sintonia con le parole apparse in un comunicato stampa dei Freddocane: “non hanno mai cercato etichette discografiche che li producessero non per snobbismo, ma perché teorici del DIY che, se fatto bene, è più che sufficiente, l’album si può acquistare solo ai concerti o contattando la band, perché il contatto con chi ti apprezza è più importante della monetizzazione”.
Last modified: 13 Gennaio 2012