“Chiamate vi prego, il mondo, la valle del fare anima. Allora scoprirete a cosa serve il mondo”, aprendo questo EP, si legge un fantastico verso di John Keats. Lo sfondo che lo accoglie è un panorama innevato, glaciale, disarmante ma per nulla inespressivo.
Come se si scavasse lentamente fino in fondo, con una piccola pala a rompere lo strato di giacchio in superficie, fino ad arrivare al centro del nostro “mondo”, che nessuno garantisce sia più caldo ma solo più onesto.
Proprio così: questo disco di Frida Neri, giovane cantautrice di Fano, è gelato. La sua voce venata di jazz è fredda. In realtà non mi piace attribuire l’aggettivo “freddo” ad una voce, mi pare di dare una concezione negativa, inespressiva ma semplicemente non ha il naturale calore di chi alla sua giovane età sprigiona rivoluzione. E questo la rende sicuramente rara nel panorama. Le sue canzoni sono un soffice movimento d’aria, una lieve condensa che esce dalla bocca in un timido e soleggiato pomeriggio di Febbraio. Niente bandiere al vento, nessun ruggito e nulla di più intimo e di più diretto all’anima insomma.
“Alle soglie dell’aurora”, apre l’EP e si dimostra il miglior episodio. E’ un perfetto paesaggio digerito e rappresentato dalla voce lontana e soave di Frida. Si passa poi alla soffocata solitudine di “Sara Sottile”, storia cruda che si risolve con una vena di gratuito ottimismo: “La luce più forte sul limite, splenderà. Le sue mani, mondi nuovi da inventare”. Parole più forti di qualsiasi grida rivoluzionaria.
Il jazz poi prende il sopravvento in “Al matrimonio”, canto dove carne e spirito si lanciano in una sensuale danza. Qui Frida (un po’ in versione Carmen Consoli) dimostra di essere davvero una grandissima cantante, dove oltre alla tecnica sfodera matura espressività. Si scalda un po’ l’atmosfera, la danza non è indiavolata ma i bollenti spiriti fanno cadere la gocciolina di sudore dalla fronte dei due ballerini.
Il finale è dedicato a “Siberiana”, il gelo e le distanze ritornano a governare e gravitano intorno alla “valle del fare anima”. I paesaggi ritornano introspettivi e lo spirito qui continua a ballare mentre la carne è sconfitta dal fiatone. La voce ritorna fresca (non ce la faccio proprio ad usare l’aggettivo “fredda” per Frida), ma comunque viscerale.
Questa ragazza è un’altra grande promessa del cantautorato italiano, non ci sono dubbi. Una grande lezione di poesia che di certo non muta l’atmosfera, ma riesce a scaldare anche senza il comune gesto di accendere un falò.
Last modified: 4 Aprile 2012