Fenomenale incrocio di una indistruttibile bolla di sapone glam con il catalogo anni Ottanta dove per una fortuita forza del destino o per un ricco tornaconto discografico punk e Dance music vennero in contatto, si toccarono e esplosero scintille come ESG, Blondie, che a loro volta generarono – sulla lunghissima distanza – giustificazioni di vita per gli odierni Friends, quintetto di Brooklyn nato sulle strade di Williamsburg e cresciuto alla “bell’e meglio” tra le coordinate urbane che contestualizzano sogni e rivalse da raggiungere come meta vitale, e “Manifest” – il loro ultimo lavoro discografico, li conferma come cool & must band per quell’aroma di freschezza retrò che trasmettono, per la vocalità di Samantha Urbani – ottimo concentrato di Cansei de Ser Sexy e Yeah Yeah Yeahs – che con l’aggiunta in plus valore di una certa identità musicale alla Lauper, alza le quotazioni artistiche della band americana al top.
Un album che ti dal del tu, che vuole comunicarti tutta la forza contemporanea delle storie di ieri, di tutti i movimenti fisici e d’animo che hanno arricchito scene e turbamenti sonori divenuti la moralità immorale e divina di hipsterismi a lunga gittata, una dozzina di tracce che debuttano per accaparrarsi i primi posti della nostra audience privata ancor prima di stracciare palinsesti e charts Tunes di chissà quante antenne alternative; ma anche – e soprattutto – un disco da ballare e riballare a sfinimento, soffice e tenace per notti di stordimento e, perché no, magari contemplarlo come segreto complice per qualche “limonata” che prima o poi, in qualsiasi notte sonora del creato, c’è sempre scappata con la squinza di turno, un adorabile party shuffle da adoperare dove, come e quando si vuole senza avere la paura che la noia avanzi.
Tutte potenziali Hits come si diceva sopra, i pezzi di Manifest! operano come brividini sulla pelle, fuori dalla fighetteria newyorkese nerd e dentro la sostanza materialista 80/90, una specie di dolce risucchio dal quale si può estrarre la melodia mid-elettro “Sorry”, la dance sinteticha “A thing like this”, “I’m his girl”, gli Ottanta della Berlino post muro “Mind control” o gli urletti alla Nina Hagen d’annata (più che dannata) che rimbalzano tra echi e strobo in “Ruins”; i Friends non sono solo amici, ma anche portatori sani di una voglia di ironizzare sulla musica odierna, e lo fanno con la forza anti-statica della dance, quella di sbieco, quella che quando ti accorgi che ti vuole catturare, lo ha già fatto.
Last modified: 27 Agosto 2012