Siamo davanti a una nuova generazione musicalmente “ignorante”? Ne abbiamo parlato con uno di loro per provare a capirlo.
Qualche giorno fa mi sono imbattuto nella storia Instagram di un giovanissimo romano che chiedeva ai suoi contatti di indicargli un brano di una band sconosciuta per realizzare una playlist di cose fighe e fuori dal mainstream. Dopo aver suggerito un pezzo dei Ramper mi ritrovo a chiacchierare con Pietro che mi confida quanto la sua generazione faccia difficoltà a scoprire musica fuori dal giro commerciale, specie se in riferimento agli “adulti”.
Da questa premessa è scaturita l’intervista con la quale vorremmo provare a capirne di più di un mondo che, per noi che lavoriamo con la musica, è tanto importante quanto, per ovvie questioni anagrafiche, lontano.
Che rapporto c’è tra giovanissimi e musica oggi? Non potevamo che chiedere a un under 25.
Ciao Pietro; innanzitutto grazie per il tempo che stai dedicando a noi di Rockambula. Come stai?
Ciao Silvio, un saluto ai lettori e al team di Rockambula. È un piacere partecipare a questa intervista. Come sto? Bene! In questa brutta situazione mi definisco un triste spettatore. Ho avuto l’idea di creare piccoli contenuti a tema musicale su Instagram e a dir la verità ha fatto più bene a me che ai miei conoscenti. La creazione di playlist formate dai brani preferiti dei miei amici nasce dall’idea di condividere una passione comune, la musica, per rimanere vicini e sentire meno il peso di questo atipico Natale.
Partiamo dalla fine. Musicalmente parlando, siete davvero una generazione più ignorante rispetto ai nati nei Novanta, se non prima?
Sì, assolutamente. Premetto che io mi identifico totalmente nella mia generazione e non voglio affatto elevarmi o distaccarmi. Musicalmente parlando, mi sento molto ignorante. Credo ci sia però un termine da utilizzare per comprendere questo fenomeno: “disorientamento”. Non abbiamo certezze, ogni giorno veniamo bombardati da nuovi artisti e nuovi album che a mio parere non hanno una chiara identità. Tutto questo porta ad una generale ignoranza. Ovviamente le eccezioni ci sono, per fortuna, ma sono però sempre meno.
Chi ha una solida cultura musicale è chi suona uno strumento, chi lavora con la musica, chi ha avuto, spinto dalla passione, il tempo e la voglia di costruire le basi per una conoscenza musicale. Se parliamo di ascoltatore medio credo che la mia generazione sia più ignorante e le successive lo saranno ancor più di noi. A mio parere, il picco culturale, sempre musicalmente parlando, è stato raggiunto negli anni Ottanta e Novanta. Da quel momento siamo in perenne declino e le cose devono essere cambiate.
Non credi che sia paradossale che l’aumento della scolarizzazione vada di pari passo con questa ignoranza dilagante? E l’ignoranza musicale è legata ad un’ignoranza più generale o non vi è alcun collegamento tra le due cose?
Per entrambe le domande la risposta è sì. Innanzitutto, credo che il nostro sistema educativo e scolastico abbia molti problemi e che il livello e la qualità dell’insegnamento siano scesi rispetto ad anni fa; non penso però sia il caso di argomentare, parlerei di cose che non mi competono. Io non posso conoscere la mole di studio e la difficoltà che hanno incontrato i più grandi; posso dire senza problemi che sono più inclini alla conoscenza, hanno più voglia di scavare in profondità nelle cose. Noi siamo più superficiali, viviamo in maniera veloce, frenetica. Abbiamo altri punti di forza: siamo più flessibili, multitasking, più rapidi di voi e tutto questo va a influire sulla qualità delle cose.
Seguendo questo filo, è vero che c’è un aumento della scolarizzazione ma siamo più ignoranti perché guidati da un’inerzia che ci accomuna, siamo nati nel benessere, senza quella fame che permette di raggiungere prima obiettivi culturali e poi personali e professionali. Sembra quasi che determinate cose non ci interessino, ci limitiamo a conoscere le basi e poi le accantoniamo coscienti dell’immane quantità di informazioni che abbiamo a disposizione per continuare, in un futuro, ad approfondire determinati argomenti. Cosa che poi nella realtà accade di rado. Conosco coetanei che non sanno quasi nulla della politica o di temi rilevanti, di dominio pubblico, temi in cui l’ignoranza costa cara.
Silvio, a dirti la verità è questa la cosa più brutta: vivere in una società digitalizzata, che ha costruito grattacieli, che fa volare satelliti nello spazio, che crea vaccini e rendersi conto di essere totalmente indifferente, di non avere ambizioni nel continuare a conoscere e migliorare. Com’è quel detto, “il pane a chi non ha i denti”? Noi siamo pieni di pane e sdentati come novantenni.
Ricollegandomi alla seconda domanda, credo che per la cultura musicale valga lo stesso discorso, ci accontentiamo e i nostri ascolti e i nostri pensieri rimangono molto superficiali. C’è però un rovescio della medaglia: oggi chi è guidato dalla passione, dalla voglia di conoscere la musica ha la strada spianata. Come dicevo prima, siamo pieni di informazioni e grazie al web abbiamo tutto a portata di mano. Credo che voi più grandi, con la stessa voglia di scoprire le cose, con la stessa curiosità ma con i nostri mezzi, soprattutto tecnologici, avreste saputo davvero tanto di più.
Cosa ascoltano i ragazzi? Davvero sono tutti pazzi per la trap?
Silvio, siamo d’accordo sul fatto che la mia generazione sia più ignorante della tua però ora non esageriamo che inizio ad offendermi (risata). No, i ragazzi non sono tutti pazzi per la trap. Se parliamo di under 20, under 18, allora gli ascolti della trap sono numericamente importanti, ma gli under 25 ascoltano di tutto.
La trap ha avuto un grande impatto sui più piccoli; ho due cugini qui a Roma, uno di 17 anni e uno di 14. Il primo ascolta molto la trap ed è quindi condizionato da quel mondo. Il jeans firmato, il borsello di Gucci. Mi dispiace e non do loro molta colpa; sono influenzabili e sfido chiunque a trovarsi al loro posto e comportarsi diversamente. Sono accecati da quel mondo che ostenta ricchezza ed edonismo e non si rendono conto di quello che stanno perdendo. Ti assicuro però che artisti come Sfera Ebbasta, Ghali, Ketama sono ascoltati anche dai miei coetanei e anche da qualche personaggio della tua generazione.
Gli under 25 ascoltano rap, dai grandi nomi americani – come Eminem, 2Pac, Notorius B.I.G. – agli italiani: da Salmo a Nitro, Noyz, Gemitaiz, Guè. Artisti e gruppi più datati come Bassi Maestro, i Sangue Misto, Articolo 31, Neffa sono nicchia. Ascoltiamo il pop e l’hip pop, sia italiano che estero. Penso ad Ernia e nasce una riflessione, è un artista che mi piace molto ma allo stesso tempo è difficile identificarlo. Nasce come rapper, ma poi sfonda con il pop e l’album 68 presenta suoni tipici del jazz e l’r&b. Ricordi il disorientamento di cui ti parlavo prima?
Gli autori e i cantautori italiani sono ancora ascoltati, se però iniziamo a parlare di Guccini, De Gregori, Battiato, Pino Daniele anche qui ricadiamo nella nicchia. assando ad artisti recenti, Vasco è intramontabile come Ligabue, Cremonini, Jovanotti, Tiziano Ferro. Ci sono sicuramente altri, ma credo di aver reso l’idea.
Stavo dimenticando l’indie nella sua nuova accezione: Calcutta ha sicuramente dato il via e spianato la strada a tanti artisti italiani e ha accresciuto l’interesse per quelli esteri. Però già oggi, rispetto a due anni fa, gli ascolti sono sicuramente scesi. Paradossalmente va più il punk che il rock classico o l’hard rock. Il metal non attira molto mentre il grunge resiste grazie all’immagine di Kurt Cobain. Generi come il blues, jazz, il funky sono davvero dimenticati, per non parlare della musica classica; che peccato.
Ovviamente ho generalizzato, non me ne vogliano gli under 25 metallari ma è una triste verità. Credo comunque che il pop sia il genere intramontabile.
Parliamo di concerti. Prima del Covid, sembrava esserci un aumento del pubblico. Tuttavia, mentre cresceva l’interesse per gli spettacoli di artisti affermati, diminuiva quello per le band emergenti. Come sai, io stesso gestisco un piccolo club e l’età media del pubblico si stava alzando pericolosamente, andando di pari passo col minore interesse dei giovani per lo “sconosciuto”. Perché questa scarsa curiosità in una generazione che dovrebbe vivere di curiosità?
Bella domanda! In parte si ricollega a quello che dicevo prima. È vero, dovremmo vivere di curiosità, ma siamo immersi nell’inerzia, e come facciamo ad interessarci allo “sconosciuto” se nemmeno abbiamo capito fino in fondo il “conosciuto”? Non abbiamo motivazioni e ci accontentiamo di quello che piace a tutti, ce lo facciamo piacere. In più, non avendo un’adeguata conoscenza, non siamo nemmeno in grado di giudicare e apprezzare lo “sconosciuto”.
Credo che un ulteriore motivo che spieghi la nostra assenza ai live sia rintracciabile nella perdita di appeal degli strumenti musicali e del concetto di esibizione dal vivo. Grazie alla tecnologia le voci sono modificate, i suoni tutti digitali e ormai un live ci sembra quasi un passo indietro, quando in realtà la vera musica è quella, non ore e ore di sedute e modifiche in studio. Almeno questo è il mio parere.
Altra cosa che abbiamo notato è l’età media molto alta di chi acquista riviste musicali o legge webzine come Rockambula. Nei Novanta, per scoprire nuova musica si guardava MTV, si compravano riviste, si chiedeva ai negozianti. Con l’avvento di internet tutto ci è sembrato più semplice. Potevamo leggere recensioni fidandoci di chi ne doveva sapere più di noi e quindi scegliere cosa ascoltare o ancora potevamo leggere gli esperti per capire meglio la musica di cui eravamo innamorati. Oggi come scegliete la vostra musica se davvero di scelta di tratta? E c’è interesse ad approfondire l’ascolto o tutto è più volatile?
L’idea di questa intervista nasce dal commento in direct Instagram che mi hai fatto dopo aver aperto la playlist intitolata “la sconosciuta” in cui – spieghiamolo ai lettori – chiedevo ai miei amici di consigliarmi un titolo che a loro parere avrebbe meritato gloria e dischi di platino ma che in realtà veniva ascoltato da quattro gatti. Sai qual è stata la risposta comune dei miei amici? “Eh Pie’, ora non mi viene in mente nulla”. Io allibito come te dopo aver aperto la playlist che di sconosciuto aveva solo pochi brani.
Questo per dirti che non si tratta di libera scelta e non c’è assolutamente interesse ad approfondire l’ascolto. La musica non la scegliamo, da studente di marketing ti assicuro che la musica ce la fanno ascoltare e poi ci indicano quella che diventerà la nostra preferita. Chi? Le case discografiche! Con quali mezzi? Oltre alle classiche radio, le varie piattaforme di musica streaming come Spotify, Amazon Music, Apple Music. Nove volte su dieci che apro una playlist consigliata da queste piattaforme rimango deluso, non so te. È anche naturale che a determinati prezzi gli ascolti siano indirizzati verso canzoni sostenute dalle major piuttosto che verso quelle di case discografiche minori o addirittura di artisti che si autoproducono, io infatti cerco di non abbandonare il “vecchio” e caro youtube, credo sia meno manipolatore delle altre piattaforme.
Parlando di riviste posso assicurarti che leggiamo davvero poco, e non solo per quel che riguarda la musica. Sicuramente si preferisce una webzine ad una rivista cartacea. Si preferiscono articoli brevi rispetto a quelli lunghi ma la triste verità e che ormai i video stanno sostituendo la lettura e i contenuti sono in graduale mutamento.
Se la TV è considerata uno dei principali fattori dell’imbarbarimento culturale del paese, quanto credi abbia negativa influenza sugli ascolti dei più giovani?
Non credo abbia una grandissima influenza, soprattutto se paragonata all’impatto del web e dei social network. Un media come la televisione ha portato le proposte musicale ad uniformarsi, anche perché i ricavi dei programmi televisivi sono direttamente proporzionali all’audience.
Un’audience mediocre non può che voler ascoltare musica mediocre. In termini economici è la domanda che crea l’offerta. Credo che la TV abbia permesso di far nascere l’idea che con una bella voce e delle discrete conoscenze musicali si possa far di tutto, quando in realtà non è vero. Ha oscurato tutto il lavoro e la preparazione che poi porta gli artisti a creare davvero dei capolavori e non dei pezzi che dopo un anno vengono messi nel dimenticatoio.
Quando si parla di under 25, ripeto, non penso che l’influenza negativa sia di alta portata. Se ci concentriamo sui più piccoli posso assicurarti che la TV non è un mezzo utilizzato; credo serva solo da supporto per vedere le serie e i film su Netflix.
Ad uno come me, sembra follia ascoltare musica sul telefono. Ed invece tra i ragazzi è la norma. David Byrne aveva spiegato bene il legame tra supporto fisico e musica ed oggi, tra l’avvento del digitale e le riproduzioni di mp3 su telefono, la musica sembra aver rinunciato a certi suoni e alla qualità degli stessi. Credi che proprio gli smartphone possano essere una delle cause del peggioramento della qualità sia termini di proposta che di comprensione della proposta?
Non posso che dirti di sì. Come hai ben detto tu, la musica sembra aver rinunciato a dei suoni e alla loro qualità. Un ascolto senza cuffie a mio parere non può definirsi tale. Vedo che nella mia generazione c’è poco interesse per l’acquisto di cuffie di alto livello che potrebbero in parte colmare il gap qualitativo di cui stiamo parlando.
In più, è importante capire quando e perché ascoltiamo la musica. Oggi siamo sempre con le cuffie alle orecchie: appena svegli, mentre pranziamo, per uscire ed andare a fare la spesa. Per questo motivo le proposte musicali sono divenute più “leggere”. Cerchiamo dei titoli che ci facciano compagnia e l’ascolto è molto distratto e superficiale.
Si è persa anche l’usanza di ascoltare musica assieme, magari davanti una bottiglia di vino o di birra. Vedendo film e parlando con voi più grandi ho sempre notato questa differenza nell’ascolto, il vostro era quasi un rito, una cosa più seria e speciale. Per noi non ha questa importanza.
Oltre al discorso del supporto fisico, c’è poi quello dei social dove si richiede attenzione per pochissimi secondi e quindi la musica ha necessità di essere immediata e semplice. Per non parlare del fatto che i social e piattaforme streaming come Spotify suggeriscono una scelta che in realtà scelta non è. Quanto e come i social influenzano la musica che ascoltate?
Esatto! I social non danno spazio alle cose complesse, premiano l’effetto “wow” e favoriscono contenuti brevi che non portano l’ascoltatore ad uscire dalla piattaforma perché sarebbe un danno economico per la stessa.
Una cosa che noto da circa un anno è che ormai vengono lanciate canzoni con ritornelli o versi significativi della durata di 14/15 secondi. Ci hai mai fatto caso? Credo sarebbe ingenuo pensare che non sia studiato a tavolino. E qual è la durata massima di una storia su Instagram? 15 secondi! Il puzzle si chiude facilmente. Se parliamo di social come Facebook, Instagram o Tik Tok posso assicurarti che la musica non è protagonista.
A mio parere i precedenti hanno molta influenza per quanto riguarda il seguito e la fama degli artisti. Anche le stesse case discografiche favoriscono chi ha un’alta fama ed engagement su queste piattaforme a scapito di chi mantiene un profilo basso. I vostri artisti rappresentavano a pieno una determinata cultura, dal vestiario a correnti di pensiero e filosofie di vita. La nostra, e soprattutto quella dei millenials, sono generazioni di poser, di chi non è ma vuole essere. L’affinità e il collegamento con gli artisti si è indebolito e ha esaltato elementi superficiali come il vestiario e oscurato i valori e i pensieri di determinati generi musicali.
YouTube, che non è un vero e proprio social network, è maggiormente incentrato sulla musica ma anche qui a mio parere ci sono due pecche: la prima è che ormai canzoni che durano più di tre minuti non vengono ascoltate e consigliate, e la seconda è che l’algoritmo non ci permette di avere la libera scelta dell’ascolto, ma ci incanala verso contenuti che generano maggiori ricavi. Come ti ho detto prima, io non appoggio piattaforme come Spotify ma non posso negare che la user experience e le varie caratteristiche aggiuntive sono davvero comode e funzionali.
Se da un lato il ritorno del vinile appare come cosa da adulti e collezionisti, i cd sembrano sull’orlo dell’estinzione. Voi ragazzi ascoltate solo mp3, dunque? Non sentite il bisogno di avere materialmente tra le mani qualcosa che contenga la musica che amate?
Questo bisogno non credo ci sia. Dei miei amici, solo uno ascolta vinili sul giradischi e a dirti la verità è comunque una persona che ha grande passione per la musica. Credo che i vinili siano più attraenti dei cd, hanno quel richiamo al passato che potrebbe affascinarci maggiormente.
Dopo aver fatto perdere tanti punti alla mia generazione è giusto spezzare una lancia a nostro favore (risata). Siamo sicuramente gente più sensibile ai temi legati all’ambiente e alla sua salvaguardia. La musica in formato digitale permette di non inquinare e sicuramente, nella decisione di acquisto è un fattore da tenere in considerazione. Ultimo, ma non per importanza, è il prezzo. In un mondo ideale, senza pirateria, tutti si affiderebbero a Spotify o Apple Music con iTunes.
Voi compravate un album e lo custodivate come un figlio, lo ascoltavate fino a sapere a memoria tutti i brani, oggi non è così. Il concetto di album e la comprensione del pensiero dell’artista dai suoi brani viene meno. Siamo più attirati dai singoli o dai cavalli di battaglia e questo è un altro motivo che ci porta a non desiderare un elemento materiale come il cd o il vinile.
Una delle cose bellissime degli anni Novanta, ero lo scambio della musica tra amici. A parole, con le cassette e i mixtape e con i cd. Ora tra amici come ci si scambia musica se è cosa che ancora siete interessati a fare?
È una cosa che si è ancora soliti fare. Attualmente ci sono due modi: a parole e tramite la condivisione del link. Ricordo da bambino il Nokia e i passaggi interminabili delle canzoni tramite bluetooth accompagnato dalla solita frase: “metti il telefono vicino al mio così va più veloce”. Noi siamo la generazione della condivisione, da semplici immagini simpatiche a libri in pdf. Ovviamente anche la musica viene scambiata.
Parliamo di Manuel Agnelli e di X-Factor. Il suo obiettivo era quello di alzare il livello qualitativo della musica ascoltata dai giovani ed invogliarli ad esplorare cose che stavano sparendo (come le chitarre, ad esempio). Io credo che sia stato più il sistema dei social e della TV a fagocitare Agnelli, ritrovatosi ad esaltare la mediocrità e quella che è la normalità per chi organizza concerti e scrive recensioni di emergenti. Pensi che X-Factor abbia avuto negli ultimi anni una qualche influenza sulla tua generazione, positiva o negativa che sia?
Quando prima mi hai fatto la domanda relativa alla televisione ho pensato a X-Factor, Amici e programmi simili. Io credo che X-Factor non abbia raggiunto chissà che livelli, ma ogni tanto regala qualcosa di nuovo. Penso ai Bowland, che abbiamo avuto il piacere di ascoltare, prima della gloria, nel tuo club, o ancora, alla vincitrice di quest’anno, Casadilego.
Forse X-Factor crea una visione del mondo musicale distorta, ecco perché ti dico che le influenze sono, anche se leggere, negative. Lasciamo la musica a chi se ne intende e dobbiamo smettere di credere che senza impegno, e solo grazie a doti innate, si possa sfondare in questo campo. Come dici tu, l’obiettivo di Agnelli era anche quello di rilanciare i gruppi; io da osservatore esterno percepisco la difficoltà del pubblico nel comprendere le band ed empatizzare con esse. Innanzitutto, dalla televisione è davvero difficile ascoltare i brani, figuriamoci capire come suona e che impatto ha la band e in secondo luogo credo che il pubblico voglia provare emozioni che sono più facilmente raggiungibili empatizzando con un unico artista che magari svela anche i retroscena della sua vita privata.
Bisogna capire che è sempre un programma televisivo e si cerca di trasmettere ad un pubblico di massa anche una serie di valori. Mi sono accorto che molti concorrenti sono stati scelti per la loro storia passata, per le difficoltà incontrate, per la loro figura e per il gruppo di persone che rappresentavano. Non dico che ciò sia sbagliato, anzi, a livello sociale penso che sia un grande contributo. Io non condanno X-Factor e non credo sia un danno. Lo diviene però quando gli spettatori credono che il talent rispecchi il vero mondo musicale: è proprio da questo passaggio che nasce il problema.
Torniamo all’inizio. Se davvero la vostra generazione è più ignorante delle precedenti, dunque, come se ne può uscire, se si può?
Eviterò di essere ripetitivo. Oltre ai temi che abbiamo affrontato nelle precedenti domande che comunque donano già una panoramica delle motivazioni che ci portano ad essere musicalmente ignoranti, penso che anche il ruolo di denuncia sociale, tipico della musica un tempo, stia venendo meno e di conseguenza vada a influire negativamente sulla voglia di scavare più a fondo. Un’altra colpa è da dare alle case discografiche che pur di massimizzare i profitti creano quel caos di uscite e mode da cui è difficile comprendere qualcosa. Un ruolo, e parte delle colpe è anche di voi più grandi che comunque avete il dovere di educare e tramandare a noi, generazioni più piccole, il patrimonio culturale musicale, e non solo.
A mio parere credo che se ne possa uscire. Partiamo da una soluzione semplice e attuabile. Dalla scuola, dalla materia Musica. È importantissima un’educazione musicale ma lo è forse ancor di più il far nascere curiosità, interesse e passione. La scuola può utilizzare la musica per far stare in compagnia i ragazzi, per farli appassionare a un mondo che se utilizzato correttamente permette di viaggiare con la mente, di trovare vie di uscita in periodi bui delle nostre vite o di enfatizzare quelli belli. In un certo senso credo che bisogni trasmettere il potenziale della musica. Il mercato degli strumenti musicali dovrebbe innovarsi, capire meglio i giovani e trovare strategie per rendere di nuovo attraenti chitarre, bassi, batterie, ecc..
Per evitare che si finisca come Brunori Sas in Guardia ’82:
“Io stavo seduto da solo a suonar la chitarra
A cantare canzoni, a cercare attenzioni
Ma lei non mi guardava neanche.”
Altre soluzioni sono difficili da trovare, questa è davvero una domanda da un milione di dollari.
Il settore del cinema e delle serie potrebbe essere un mezzo con il quale veicolare storia e sviluppo della musica negli anni. La nostra generazione vive di Netflix, la produzione di contenuti sia informativi che di intrattenimento potrebbe essere una strada percorribile. A mio parere il cambiamento più grande dovrebbe arrivare dall’alto, dalle major, ma fin quando sarà vivo il Dio Denaro la vedo dura.
Come ti dicevo, studiando marketing riconosco che i costi associati alla comunicazione divengono sempre più bassi. Con adeguate strategie le vere etichette indipendenti possono partire da mercati di nicchia non raggiunti dal marketing tradizionale e pian piano accrescere i loro ascolti. La tecnologia che ad oggi è in parte causa di questo impoverimento culturale potrebbe rivelarsi, spero in un breve futuro, la stessa soluzione.
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Last modified: 2 Marzo 2021