Il percorso della band, il ruolo delle maschere e le idee dentro le canzoni nelle parole di Vittoria Cavedon ed Elisa Del Bianco.
Si chiama IDIOM, inteso come codice comunicativo accessibile a tutti più che come linguaggio, ed è il primo album delle Trust the Mask, duo composto da Vittoria Cavedon e Elisa Dal Bianco, in uscita oggi 16 giugno per Bronson Recordings.
Entrambe provenienti da Schio, in provincia di Vicenza, le due si conoscono da tempo e ma è solo poco prima della pandemia che le loro strade artistiche si incrociano e il progetto prende forma.
«Nel nostro paese c’è una scena musicale molto attiva e quindi è semplice appassionarsi. I nostri precedenti progetti non sono andati a buon fine, così Elisa mi ha contattata ed in un pomeriggio abbiamo scritto la nostra prima canzone, You’re not fine, che tra l’altro è il pezzo che chiude l’album».
Così ci racconta Vittoria, e prosegue ripercorrendo il loro percorso dalla nascita all’uscita del disco.
«Poi la pandemia ci ha un po’ fermate e allo stesso tempo aiutate in quanto è stato un buon momento dal punto di vista creativo e abbiamo avuto tempo per dedicarci alla musica, scambiandoci tracce e voci via Internet. Nel 2021 abbiamo fatto i primi live e a dicembre dello stesso anno abbiamo partecipato, venendo selezionate, a “La Zona d’Ombra”, il contest organizzato da Bronson che regala ai vincitori la produzione di un album e una residenza artistica di due settimane. Ci siamo trovate poi alla grande con le persone con cui abbiamo lavorato: Bruno Dorella (Bachi da Pietra, Ronin): Andrea Cola, che si è occupato di tutta la parte tecnica; Maurizio Baggio e Paolo Canaglia, per il mix e mastering. E così abbiamo dato una veste definitiva ai brani che avevamo scritto, la collaborazione con personaggi molto capaci ci ha fatto sentire tranquille; sapevamo che il prodotto poteva raggiungere il massimo delle sue possibilità e così è stato. Siamo davvero molto felici del risultato».
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La prima chiave di lettura è nel nome del progetto. “Trust the Mask” suona quasi ambiguo ma nasconde invece un significato non banale, come ci spiega Elisa.
«La scelta è nata da una discussione sulle dinamiche della società», ci spiega Elisa. «Siamo partite dai concetti giapponesi di “Honne” e “Tatemae”, che sono rispettivamente tutto ciò che mostri alla società e tutto ciò che nascondi. Nella cultura giapponese è più corretto nascondere il vero sé per favorire la convivenza sociale, mentre in altre culture è il contrario; questa diversità ci ha incuriosite. Noi con l’arte e con la musica riusciamo ad esprimere totalmente noi stesse, a spogliarci da tutte le finzioni».
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È quindi la maschera dell’arte che permette di mostrare il vero sé. Ed è affascinante come il motivo sia visivamente presente anche nei loro show; Vittoria ed Elisa infatti sono solite indossare delle maschere che però non coprono interamente i loro volti ma ne lasciano intravedere i lineamenti.
«Le maschere le faccio io riciclando tutti i materiali che trovo in casa, dalla plastica al rame, provando a dar loro una nuova vita», aggiunge Elisa. «Mi ispiro alle forme dei plancton e alle trasparenze del profondo dell’oceano. Volevamo delle maschere molto leggere, non solo per una questione estetica, ma anche per permettere di vedere qualcosa del nostro vero volto. Dietro la veste di artiste, c’è la più vera espressione di noi».
Il tema torna anche nella copertina di IDIOM, che vede le maschere coi volti di Vittoria ed Elisa accanto a della frutta di ghiaccio colorato. È Vittoria a parlarci del concept di questa cover.
«Abbiamo scelto come reference la “Canestra di Frutta” di Caravaggio per rappresentare l’idea della caducità del tempo. Quelli lì sono i calchi in ghiaccio dei nostri visi ed anche la frutta è di ghiaccio. Nelle copie fisiche del disco ci sono quattro scatti che mostrano i quattro step dello scioglimento del ghiaccio, dalla copertina in cui è ancora intero, al piatto vuoto con il liquido ormai sciolto. È il nostro concetto di esistenza che si manifesta in un disco tramite cui lasciamo la nostra prima vera traccia nel mondo. Il disco rimarrà anche se un giorno per noi questo momento finirà, come il liquido rimane anche se il ghiaccio si è sciolto».
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Entrando prettamente dentro il disco, in Otaku torna ancora la cultura giapponese. “Otaku” è infatti la parola usata per descrivere quelle persone che si identificano completamente nei personaggi di anime e videogiochi.
«Il brano parla del concetto dell’ossessione, inteso come qualcosa di talmente pregnante nella vita, da arrivare a sostituirla», ci racconta Vittoria. «È il voler assumere diverse personalità, l’immedesimarsi in qualcosa a tal punto di sentire di diventarlo. Quindi quella che può sembrare una maschera, anche per l’Otaku può essere in fondo la sua parte più pura e autentica, l’immedesimazione può essere sostituzione. Bisogna fidarsi per capire se è vero».
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Lo scorso 5 giugno le Trust the Mask avrebbero dovuto esibirsi al Beaches Brew di Marina di Ravenna, nella prima serata del festival. Purtroppo, a causa delle avverse condizioni climatiche in una delle zone colpite dalla recente alluvione, lo show è stato cancellato.
Vittoria ed Elisa sono molto sensibili ai temi dell’ambiente e del cambiamento climatico e c’è un brano nel disco che parla proprio di questo: Our Fault, una profonda lettera di scuse alla Madre Terra.
«Lo abbiamo scritto in piena quarantena», ci dice Elisa. «Durante il Covid sembrava che tutte le persone si fossero in qualche modo svegliate, però poi pochi alla fine hanno messo in pratica quello che può essere un cambiamento. Soprattutto le grandi aziende, che mettono sempre al di sopra il profitto. Quello che può fare un brano è diffondere il messaggio a quante più persone possibili, è un qualcosa che trasmette un’emozione e la speranza è che quell’emozione arrivi a qualcuno».
«È un messaggio in cui crediamo», aggiunge Vittoria. «Speriamo che la musica sia il veicolo per far pensare le persone. E parlo soprattutto di quelli che avrebbero il potere di fare qualcosa. Non credo che l’emergenza sia più discutibile, dati alla mano».
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Una delle caratteristiche musicali di IDIOM è la presenza, nei brani Juniper, Spring, Frontiers e Otaku, della commistione tra i fiati etnici e i tappeti sonori creati da Elisa Dal Bianco. Già in un vecchio brano del 2021, intitolato Solstice Ritual, le Trust the Mask avevano mostrato una autentica attrazione verso questo tipo di sonorità.
Il tutto nasce dalla storia familiare di Elisa. «Mio papà (Giuseppe Dal Bianco, ndr) è un collezionista di flauti etnici, ne ha più di trecento e se li fa costruire appositamente dagli artigiani. Sento quindi questo tipo di sonorità da sempre, sono parte della mia identità. Adoriamo esplorare le culture di altri paesi, tramite le sonorità si può capire tanto. Ascoltare le melodie tradizionali e provare a rifarle in versioni un po’ più pop è una ricerca divertente».
Vittoria ci spiega poi come quei suoni vengono poi riproposti dal vivo. «Il papà di Elisa, gran musicista, ha registrato i fiati per il disco. Per i nostri live, abbiamo contattato un artigiano che ci ha fatto (dopo sette tentativi) un flauto armonico a unica canna dai suoni simili a quelli di Solstice Ritual. Quando facciamo il pezzo, sono io a suonarlo live. Adesso ci stiamo muovendo e siamo in attesa di due nuovi strumenti artigianali per riproporre i fiati live anche in altri brani».
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IDIOM è un album dal volto enigmatico ma emozionale ed estremamente sincero. Straniante ma allo stesso tempo rassicurante. Fa vagare in mondi sconosciuti, ti porta in angoli distorti e alla fine del viaggio ti fa sentire, coccolato, in un porto sicuro di nome casa.
Di maschere così, in fondo, ci si può fidare ciecamente. Grazie di cuore per il loro tempo e per la loro umanità a Vittoria Cavedon ed Elisa Dal Bianco.
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Last modified: 26 Giugno 2023