Quello dei God Is An Astronaut è uno dei concerti belli per definizione. Non tanto per lo spettacolo in sé (e che spettacolo) quanto per tutta l’architettura che lo sorregge.
(foto di Beatrice Ciuca)
I due fratelli Kinsella al basso e chitarra, il padre al merch e gli altri membri del gruppo che prima del live si sperticano tra foto con i fan, firme su vinili e chiacchiere. Una dimensione molto tangibile e vicina che fa da contraltare ad un live così estraniante e onirico. Il palco è quasi costantemente in ombra, le luci illuminano i contorni dei quattro più che la loro fisicità. Del resto l’unica cosa che sembra contare davvero è la musica. Anche il total black scelto dai membri come outfit ne è la prova.
Il pubblico è composto da un target specifico ed omogeneo: adulti musicisti o appassionati dello strumento votati alla tecnica e alla perfezione di esecuzione, indubbiamente due campi in cui i GIAA eccellono. La band festeggia quindici anni di attività e non lesina certo sulla qualità dello spettacolo garantendo due ore piene di musica. Non avendo un album pronto (atteso per il 2018), la scaletta spazia da “Pig Powder”, “Vetus Memoria” e “Centralia” dal recente Helios | Erebus fino a “Route 666” dal primo album, senza tralasciare gli immancabili “All Is Violent”, “All Is Bright” e “Fragile”. Un po’ di Mogwai, molto di Explosions in the Sky finanche qualcosina dei Sigur Rós, stravolgono anche quei pochi trascinati dagli amici cultori e tutti si fermano dopo il live sotto gli alberi di Villa Ada e si lasciano andare a commenti estasiati e pieni di ammirazione.
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Last modified: 15 Marzo 2019