I Gouton Rouge presentano questo disco con un comunicato che ha come esergo un brano di Pavese (“Chi può dire di che carne sono fatto? Ho girato abbastanza il mondo da sapere che tutte le carni sono buone e si equivalgono, ma è per questo che uno si stanca e cerca di mettere radici, di farsi terra e paese, perché la sua carne valga e duri qualcosa di più che un comune giro di stagione”), e io non posso non incuriosirmi. Anche perché il tema della carne (e Carne è proprio il titolo dell’album) è un tema affascinante, trasversale, uno di quei temi archetipici e universali che è possibile affrontare in modi molto diversi, approfondendone aspetti diversi. Qui, in realtà, di carne se ne trova veramente poca. È più un alludere, soprattutto attraverso i testi, secchi e brevissimi, che in realtà sembrano il materiale di una sola, lunga canzone, una canzone d’amore, di rifiuto, di speranze che sorgono e poi implodono, con un’attitudine emo-zionale che oggi si respira sempre di più, ma che a volte (e anche qui accade) corre il rischio di sembrare artefatta, una sorta di ricatto emotivo che deve strapparci per forza l’angoscia, la malinconia, o qualche altro sentimento crepuscolare. Musicalmente il disco si compone di un Rock alternativo che miscela bene la voglia di graffiare e la morbidezza dell’immaginario che lo contorna, con ritmiche sostenute, chitarre arpeggiate e limpide che oscillano tra il melodramma e l’atmosferico, e con una voce trasformista e un po’ retrò, che sa ammorbidirsi (tanto) e grattare (poco). Se devo dire la verità, mi è sembrato un impianto decente ma senza guizzi particolari (a parte alcuni episodi in cui il gioco è più riuscito, come “Sbiadire”).
Riassumendo, credo che Carne sia un disco che parte da un’idea non malvagia: il rapporto a due che c’è, non c’è, è sconvolto, torna, è speranza ma anche dispiacere, è salvezza ma anche perdizione, in un’ellissi continua della carne, quella vera, che si immagina e non si vede mai; però poi si incaglia in un ripetersi, in un ciclo di auto-citazioni che uccide in parte la “biodiversità” del disco. I Gouton Rouge suonano bene, ma con uno stile che vibra così contemporaneo, così “alla moda” che sembra già un po’ vecchio. Insomma, un disco che amerete a dismisura se il genere riesce a parlarvi, altrimenti rischiate di sentire una sola canzone triste lunga un disco, senza portarvi niente a casa. A voi la scelta.
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Last modified: 3 Marzo 2014
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