Gradevole come leccare una tazza del cesso ai tempi del COVID.
[ 07.02.2020 | Reprise | pop rock revival ]
Per evitare che mi si accusi di essere prevenuto per motivi che vanno al di là della sola sfera artistica, devo necessariamente partire da una premessa che chiarirà che lo sono, ma per una buona ragione.
Quando, a metà anni Novanta, ero un adolescente che giocava a fare il punk, questo stava diventando qualcosa di molto più grande di un semplice gioco. Era la filosofia di vita che poi, con i dovuti compromessi per non vivere come un punkabbestia, mi avrebbe accompagnato fino ad oggi. Ascoltavo quasi esclusivamente band cazzute e cercavo di scegliere sempre i migliori, quelli che mi sembravano incarnare l’idea che quello che conta è l’anima di chi suona. Ramones, Nofx, Descendents, ne ascoltavo tanta di roba e l’unico pregiudizio era: “non darmi l’idea di volermi fottere”.
A un certo punto, in sala prove, arriva un ragazzo più grande con un disco, Dookie, di questa band californiana chiamata Green Day. Il disco era fatto di buone canzoni, niente di straordinario a dire il vero, ma c’era qualcosa che non mi convinceva. Billie Joe e soci sembravano esattamente la band che mi avrebbe preso per il culo; tutti erano pazzi di loro ed io li odiavo. Ogni loro modo di apparire punk e ribelli mi sembrava falso, la loro stessa musica mi sembrava falsa e fatta per fare successo in contrasto con gli ideali punk che amavo.
Sono passati tanti anni da allora; ovviamente non ho più l’età, non ce l’ho da un po’, per odiare una band. Eppure il tempo mi ha dato ragione; tralasciando che non siano riusciti, da quel disco, a farne un altro non dico ottimo ma almeno decente se escludiamo nimrod., regalandoci una delle più brutte discografie della storia della musica (ammetto di aver saltato qualche disco, ma sono convinto non si tratti di clamorosi capolavori), hanno anche rappresentato tutto quello che non avrei mai voluto accadesse al punk. Hanno trasformato il punk in una moda e gli ascoltatori in ragazzetti vanitosi vestiti per bene, con i capelli ben sistemati; hanno reso il punk qualcosa di molto pop, senza la decenza di levarsi dai coglioni quell’aria da punk maledetti al fianco di Sex Pistols, The Clash o Ramones, appunto. Insieme a Blink e Offspring, hanno rappresentato tutto il marcio che stava penetrando nel punk rozzo che era tutta la nostra vita.
Chiusa questa lunga premessa, arriviamo al disco, ma vi avverto che non mi dilungherò troppo, anche perché si tratta di un album che appena supera i venticinque minuti. Alla fine, il punk è definitivamente sparito; finalmente possiamo non associare più questa parola ai Green Day, perché Father of all… tutto può definirsi tranne che punk. Chiamatelo garage revival, power pop, glam se volete (non è una battuta) ma non punk, neanche pop punk perché, se usate questo termine per gli Weezer, non è giusto usarlo per questa roba. E ricordatevi che siamo di fronte a soli ventisei minuti di nulla senza un briciolo di creatività prima di buttare i vostri soldi.
Il disco da l’impressione che i Green Day sappiano bene che potrebbero pubblicare qualunque merdata, tanto ci sarà qualcuno che la comprerà; e quindi, perché non farlo adesso? Questa è la prova che non avevo troppo torto neanche in quel lontano 1994; ma stavolta non sarò solo a dirvi quanto possa essere insopportabile questa porcheria che sembra pop per ragazzini sfigati fatto da gente che cristo santo, ma quanti anni hai Billie Joe?
Oltre a tutto questo, aggiungete una puzza di muffa come di un disco invecchiato male, una sorta di bandiera bianca che sembra urlare ai colleghi che provano a dare una nuova vita al rock (e attenendoci al punk ma in senso ampio, penso a Idles o Converge) “noi non sappiamo dove sbattere la testa” e mentre il mondo, musicale ovviamente, va verso una certa direzione loro non fanno altro che sputare sulle macerie del loro passato con un disco che anche per missaggio e scrittura non regge il confronto neanche con le cose peggiori che hanno fatto in precedenza.
Noioso e irritante, questo è Father of all… Spazzatura mainstream oltre che il punto più basso conquistato da una band che per troppi anni ha mostrato un volto distante dall’anima.
P.S: Il giornalista Roberto Naccarella, nel suo articolo che trovate qui, spiega come questo disco possa considerarsi una trollata nei confronti della loro etichetta per motivi che spiega nel pezzo. Sul discorso trollaggio posso semplicemente dire che non mi interessa. I Green Day hanno fatto un disco che io mi ritrovo ad ascoltare e consigliarvi o meno. Non mi importa se brutto per “ripicca” o per qualsiasi altro motivo. Loro hanno composto e pubblicato un disco. Hanno chiesto ai fan dei soldi per quel disco. Il disco fa schifo, punto. Avrei compreso, in parte, se lo avessero “regalato” ma non mi pare sia così. Oltretutto, vanno a inserire in discografia una cosa orrenda per la quale hanno perso tempo e non credo che abbiano perso tempo dietro a quelle canzoni scrivendole volutamente brutte. Unica cosa a cui posso credere è che siano arrivati a 26 minuti per far sì che si trattasse di album e non EP. Cosa che non cambia il mio giudizio.
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Last modified: 6 Aprile 2020