Quattro chiacchiere con l’artista friulano seguendo le tracce del suo disco d’esordio.
Venerdì scorso 24 novembre Massimo Silverio ha pubblicato il suo debutto in long-playing su etichetta Okum. Un cantautore che ha scelto di esprimersi principalmente nella sua lingua di origine, il carnico, parlato in Friuli Venezia Giulia e in parte della Slovenia. Col fascino della tradizione e di un idioma che mitiga i confini, in Hrudja Silverio ha creato una sua personalissima estetica che coniuga classicità e contemporaneità, folklore e sperimentazione, suoni acustici ed elettronica.
1. ŠCHENA
Questo brano è una perfetta introduzione ai suoni dell’album: i droni violenti che ti vibrano addosso, la voce che sembra provenire da sottoterra. E ancora prima di questo brano mi ha colpito molto la copertina del disco, che traduce perfettamente con un’immagine ciò che si andrà poi ad ascoltare. Una fotografia in bianco e nero, con il tuo volto oscurato, nell’ombra. Perché questa scelta? Che significato ha questa immagine?
Il progetto grafico è stato curato da Vieri Cervelli Montel. C’erano tante proposte, abbiamo fatto tante foto, eravamo un po’ arenati sulla copertina. Vieri ha capito ciò che traspare da questo disco, ovvero la mia fragilità e il mio timore. Ne faccio una bandiera, sono un musicista insicuro di me stesso. Arrivando dalla provincia della provincia, senti di non essere mai all’altezza, che la tua musica non sia mai abbastanza. Quando ho comunicato questi miei sentimenti a Vieri ha trovato questa idea per la copertina con il viso oscurato e appena l’ho vista mi è subito piaciuta.
2. CRIURE
In questo splendido e malinconico pezzo, oltre alla base drone c’è una grande componente folk, con alcuni elementi elettronici che rendono il brano molto cinematografico. Ascoltandolo mi ha ricordato da un lato le melodie ancestrali di Iosonouncane, dall’altra la delicatezza di Tamino. A chi ti sei ispirato maggiormente per i suoni dell’album? Che musica hai ascoltato durante la sua genesi?
Criure si può tradurre come “gelo”, “aridità”, ma può essere tradotto anche come “angustia”, “privazione”. Mi piaceva molto l’idea che c’è nel testo, l’immagine di questi due alberi che stanno vicini in una notte illuminata dalla luna, che non posso raggiungersi ma che devono stare vicini per forza. E in questo brano la componente drone è sicuramente fondamentale.
Nel mio percorso ho ascoltato Iosonouncane solo quando uscì IRA (il secondo album del musicista sardo, uscito nel 2021, ndr) ma attingo soprattutto dalla musica del passato e dai classici cantautori italiani. Un album che ho ascoltato tantissimo durante la creazione e la registrazione di Hrudja è Laughing Stock dei Talk Talk, anche se poi mi sono lasciato trascinare dalla libertà del momento, mi sono lasciato riempire dalla libertà del disco e da quello che sentivo, trovando la forza di fare un disco prettamente in carnico. Tamino lo conosco, credo sia bravissimo e certamente sento molto vicina la sua intensità nel canto e nell’espressione, cosa per me vitale.
Durante la creazione dell’album non ho avuto precisi riferimenti musicali, ma semplicemente volevo fare cose che mi soddisfacessero, e che mi piacesse ascoltare in quel determinato momento della creazione dei brani.
3. JEVÂ
Questo è stato uno dei singoli che ha anticipato l’uscita dell’album. Brano scritto sulla metrica delle villotte, ovvero gli antichi canti popolari della Carnia. Parlaci di più di questo tuo stretto legame con la tradizione della tua terra.
Jevâ è stata la prima canzone che ho scritto in dialetto friulano. Il carnico ha sempre fatto parte della mia vita, fin da bambino a scuola e durante la mia crescita in quelle zone. Ho delle immagini dentro che ho sentito di dover descrivere nel mio dialetto. Mi piace pensare a queste immagini come dei paesaggi interiori, parlo sì di natura ma per esprimere altri sentimenti. Mia nonna mi cantava delle vecchie villotte per farmi dormire, e anche in certe feste di paese potevi sentirle. Anche il nostro maestro di musica delle elementari ce le insegnava. La villotta è una musica semplice, spontanea, e mi sono detto “perché non scriverne una mia?”.
Vivevo a Udine da poco, me n’ero andato dalla mia terra perché sentivo che quella terra non mi stava offrendo contatti con altri musicisti, non mi dava la possibilità di esprimermi con la musica. La villotta mi ha dato la possibilità di tirar fuori le immagini che sentivo dentro. Jevâ è nata così, con la consapevolezza di avere il mio territorio e la sua tradizione dentro di me.
4. COLÂ
In questo brano ci sono delle brevi frasi cantate in inglese oltre al dialetto carnico. Come mai hai deciso di usare il tuo dialetto anziché di fare un album totalmente in inglese?
Colâ è stata una prova, ho messo volutamente insieme inglese e carnico per far vedere come una lingua così poco parlata sia tanto musicale quanto l’inglese. Il carnico è molto musicale, mi piace il timbro e come suona. Questa canzone è stata un gioco, anche nel trovare le rime tra parole in dialetto e parole in inglese. Ho voluto dimostrare che l’uso del dialetto non è un limite. C’è un modo di comunicare che va oltre, mi auguro che quando canto quei testi le persone possano vedere le immagini che io ho sentito dentro scrivendoli, andando oltre le parole. Colâ è cadere in un sogno, dove ci sono la vita e il tramonto di essa, e il dialetto trasporta queste impressioni entrando nella profondità delle parole.
Usare l’inglese e il dialetto insieme ha messo sullo stesso piano due lingue senza dare più importanza all’una o all’altra. Forse usare soltanto l’inglese mi avrebbe portato più attenzione o più notorietà, ma mi auguro che il dialetto possa muovere qualcosa dentro nelle persone che ascolteranno il disco.
5. NIJÒ
Il primo dei singoli estratti: un brano bellissimo che ricorda le ritmiche e le melodie sognanti dei momenti più intensi di In Rainbows dei Radiohead. Di questo brano esiste una versione che era già uscita due anni fa in collaborazione con il trio gallese delle Adwaith (tre ragazze che cantano in lingua tradizionale gallese, ndr). Raccontaci com’è nata questa collaborazione.
Una delle belle realtà di Udine è il Suns Europe, un festival sulle minoranze, che ospita ogni anno artisti da tutta Europa che cantano per l’appunto nella loro lingua nativa. Un festival simile esiste in Galles, e proprio gli organizzatori di questo festival gallese hanno richiesto un artista friulano che potesse suonare lì, ed è stato fatto il mio nome. Inoltre, ho conosciuto le ragazze quando sono venute a suonare qui a Udine, e così ci siamo accordati per scrivere qualcosa insieme.
Questa è stata anche l’opportunità di vedere quanto sia vasta la scena musicale gallese, quanti musicisti scelgano di cantare in gallese, sono davvero tantissimi. Loro hanno suonato in tutto il mondo cantando con il loro idioma. Questa cosa mi ha aperto molte possibilità, mi ha motivato molto. Sono riuscito a portare la mia musica all’estero, ed è stato davvero molto bello.
6. GRUSA
Qui ha le atmosfere inquietanti e insieme sognanti richiamano i pezzi più intimi di Jeff Buckley. In italiano “grusa” è la crosta che si forma per rimarginare una ferita. E come in altri brani (Šchena e Piel) ho trovato riferimenti al corpo. Senti una stretta connessione con il corpo e la natura incontaminata della Carnia?
Quando mi trovo nei boschi, quando sono nella desolazione della natura, mi sento fisicamente in contatto con essa. Trovo più forte e più vero il capire veramente quello che è il nostro circostante attraverso il nostro corpo, che è il nostro veicolo principale. Lascio che questi sentimenti vengano espressi naturalmente. Secondo me più che descrivere una sensazione a parole, in maniera discorsiva, facendo paragoni di tipo naturale puoi trasportare delle altre verità.
Grusa di per sé è sì una ferita che si sta rimarginando, ma è ancora presente, e in questa canzone fa ancora male. Comunico questo dolore come se fossero sentieri che attraversano un tremore. E certe cose non posso essere comunicate in altro modo, con un linguaggio che si formava e plasmava attraverso la natura. Tempo fa lessi un articolo sul canto degli uccelli, che cambia in base al territorio in cui si trovano. Secondo me è importante il rapporto tra natura e voce, il come vivi dove vivi, ed è il motivo per cui uso queste frasi allegoriche descrivendo la natura, per descrivere poi in realtà altri sentimenti.
7. ŠCUNE
Questo pezzo mi ha colpito molto, sembra un canto celestiale e mi ha ricordato i suoni più ambient di Ágætis Byrjun dei Sigur Rós. Un brano molto spirituale che parla di luna, stelle e universo. Anche l’astronomia ha avuto un ruolo di ispirazione per questo tuo album?
Mi sono fatto molto ispirare dall’aspetto astronomico. Una volta tutto veniva fatto in funzione del cielo. In Carnia guardando in su vedi un numero infinito di stelle, mi piaceva l’idea di scrivere una sorta di ninna nanna dove dalle stelle arriva un messaggio, un legame tra le stelle e la culla (il titolo significa appunto “culla” in dialetto carnico, ndr). Immagine enorme, perché ogni volta che guardi il cielo ti chiedi “chissà cosa c’è lassù”, a volte spaventa, ma nessuno rimane indifferente davanti a un cielo stellato.
Il vero protagonista della canzone è il cielo, che veglia sul bambino in culla. Le stelle che potrebbero essere i gli avi che a loro volta vegliano su quella culla. Il fatto che tu sai cos’è il cielo, sai cosa sono le stelle ma non sai da dove provengono mi muove molto, mi ispira molto.
8. PIEL
Insieme ad Algò è l’unico brano cantato interamente in inglese, senza l’uso del dialetto. Hai già avuto riscontri positivi da fuori dell’Italia, avendo il disco un respiro molto internazionale?
Questa canzone è un canto d’amore universale, un amore che nasce. Mi piaceva l’idea di renderlo più universale e semplice possibile. Tutto il disco è nato per andare più all’estero che in Italia. Abbiamo un ufficio stampa estero, l’idea è sempre stata di guardare all’estero, di lavorare in questo senso anche con Nicholas Remondino e Manuel Volpe (musicisti e collaboratori di Massimo, Volpe anche produttore dell’album, ndr).
C’è già stato riscontro in tal senso, la mia canzone Nijò è stata mandata in onda su “Radio 6 Music”, la trasmissione radio di Iggy Pop sulla BBC. Iggy ha ascoltato ed ha anche raccomandato il singolo sulla sua pagina ufficiale Instagram, è stata una cosa da pazzi per me, incredibile! E anche quando è uscita Nijò nella versione con le Adwaith è passata spesso sulla radio di BBC. Questa cosa fa notare l’interesse all’estero per l’uso delle minoranze linguistiche. Poi certo, nel caso di Piel l’inglese è stato usato per agevolare l’ascolto all’estero, ma spero che anche le canzoni in dialetto possano essere ascoltate in modo universale.
9. ALGÒ
In dialetto carnico algò significa “in qualche luogo”, che si pone in netta opposizione con Nijò che invece significa “in nessun luogo”. Raccontaci di questo contrasto, tra la memoria, il passato di Nijò e il futuro di Algò.
Questa è una canzone che guarda al presente verso il futuro, nata in una stanza, quand’ero chiuso tra quattro mura durante il primo lockdown. Una canzone su quanto la nostra presenza in una stanza, e come viviamo al suo interno, consuma te stesso. Una canzone sul chiedermi dove andrà a finire ciò che sto facendo in questo momento: potrebbe andare in nessun tempo, in un collasso di tempo dove il tempo non ha più senso. La cosa che stai facendo potrebbe durare brevemente, o durare per sempre. Questo mi spaventa, è un pensiero molto ansioso e claustrofobico. I muri nella canzone posso essere sia fisici che allegorici, sono muri che ti precludono lo sguardo, uno sguardo che non può andare altrove. Una canzone sull’introspezione e su quanto questo sguardo che rimane racchiuso e limitato possa essere deleterio.
10. (GRIM)
In conclusione l’album arriva a questo brano fatto solo di chitarra acustica e canti dei grilli in sottofondo. Il 24 novembre è uscito il tuo album Hrudja, che porterai anche in giro dal vivo. Quanto saranno diversi i brani live rispetto alla versione su disco? Dove porterai la tua musica? E chi suonerà con te dal vivo?
Io sono grande fan dei musicisti che dal vivo portano i loro brani in una versione diversa e unica rispetto a come suonano su disco. Ad esempio io proporrò i miei brani nell’unica data che per ora ho in programma, il prossimo 17 dicembre all’ex convento di San Francesco a Pordenone, da solista. E la versione solista della mia musica dal vivo, fatta solo da chitarra e voce, non vorrei abbandonarla mai, perché è come nascono le mie canzoni. Gli abbellimenti e gli orpelli vengono aggiunti dopo.
Suono spesso anche con Nicholas Remondino in duo, stiamo anche pensando di portare queste canzoni dell’album in trio con Manuel Volpe. Quella del live è un’altra dimensione, è un altro mondo e la musica deve suonare diversa. Vorrei che dal vivo ci fosse un altro coinvolgimento. Insieme a Nicholas mi sento molto più sicuro quando suono, da solo sono più nudo e vulnerabile e in queste situazioni mi piace che vengano fuori le mie emozioni, anche lasciando che la voce non sia sempre in totale controllo, ma che fluisca grazie alle emozioni. È ancora tutto in divenire, si vedrà cosa accadrà e come sarà.
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Last modified: 22 Febbraio 2024