La band emiliana torna con un album che parla di cervello, sogni, memoria e identità: un concept ambizioso (e riuscito) da urlare a squarciagola sotto al palco.
[21.03.2025 | Dischi Sotterranei | emo, post-hardcore, post-rock]
Non fatevi spaventare dal concept di questo disco.
L’idea che le tematiche di un album rock, fatto per pogare e urlare a squarciagola, siano incentrate sul cervello, sulla mente, sull’identità, provando pure ad andare a fondo su certi discorsi, a fare domande, dare risposte, per quanto parziali.
Ecco, non fatevi spaventare perché Temporale, il nuovo album dei Gazebo Penguins, riesce a portare a casa tutti questi argomenti, mantenendo intonsa quell’energia primordiale che ha da sempre caratterizzato la band emiliana. Temporale (non dal fenomeno atmosferico, ma dalla parte del cervello che partecipa alla maggior parte dei processi cognitivi) è un disco da pogo e gola che brucia a fine concerto, ma è anche un disco in cui è ancora più importante leggere i testi e approfondirli, perdersi in un tunnel di domande – a volte esistenziali – che si interrogano sul cervello, nelle loro parole “l’unica cosa che riesce a riflettere su sé stessa”.
Ma facciamo un passo indietro.
I Gazebo Penguins si sono guadagnati sul campo la possibilità di fare un po’ il cazzo che gli pare. 20 anni di carriera e 500 concerti sulle spalle, due album in inglese, la svolta in italiano, e da lì una serie di dischi in crescendo continuo, insieme ad un’evoluzione anche sonora che ne ha accompagnato la crescita. Dopo Legna e Raudo, Nebbia ha segnato una crescente impronta post-rock, poi sviluppata perfettamente su Quando e questo Temporale, certificando definitivamente il suono dei Gazebo Penguins 3.0, e magari piantando qualche seme per quella che sarà la band nel futuro.
Tra riffoni, allucinazioni e psicologia cognitiva.
Strani Animali è il brano che chiude Temporale, ed è anche il primo pezzo senza batteria della storia della band, azzarderei anche la prima chitarra acustica in un loro album. Probabilmente non è un caso che una canzone così aliena nella discografia dei Gazebo sia anche quella che parla di allucinazioni, e delle vie misteriose che il nostro cervello usa per farci percepire vicine cose che sono lontane, ormai irraggiungibili, perdute.
E, se Strani Animali è il pezzo che parla di un cervello a briglie sciolte, il primo singolo Gestalt lo fa raccontando di quando entriamo in quegli stati di semi-incoscienza in cui non ci accorgiamo del tempo che passa. Vi sembra complicato? Beh, lo è, ma per fortuna il tutto è spiegato in un modo decisamente più digeribile rispetto ad un tomo di psicologia cognitiva, ovvero con tre minuti e mezzo di crescendo post-emocore che non disdegnano passaggi iconici (“Se ci pensi è già lunedì / Non pensarci che poi ci stai male”) e fungono da perfetta rampa di lancio dopo le bordate atmosferiche di Quando.
Intanto esplora il momento del passaggio tra il sogno e la veglia, e lo fa scomodando Cartesio, Putnam e Schopenhauer, a testimonianza anche di una ricerca quasi enciclopedica sui temi che vanno a formare il disco, come piccoli pezzi di un intricato puzzle (non a caso una delle edizioni del vinile è integrata da una bibliografia). Intanto è anche il brano che certifica che Temporale è un disco pieno di riffoni™ proprio belli: non per forza sempre potenti, ma coinvolgenti sì, e perfetti per piantarsi in testa.
Ne sono la prova anche Tutto a Posto (che parla dei momenti in cui il nostro cervello non si comporta nel modo in cui vorremmo) e soprattutto Delle Mie Brame, forse il mio pezzo preferito, con una melodia che dà dipendenza e un crescendo incalzante che esplode in un finale fragoroso.
Parlando di riffoni™, anche quelli in Quasi e Mnemosyne si difendono bene, seppure decisamente più muscolosi dei precedenti.

In continua sfida contro sé stessi.
Se Quasi recupera le tematiche trattate dalla scuola della Gestalt (di come il nostro cervello metta una barriera di bias derivanti dal nostro personale storico di sensazioni davanti ad ogni nuovo input), Mnemosyne cita la figura della mitologia greca che simbolizza la memoria, andando ad affrontare nel testo temi quali la perdita della stessa e l’idea di “identità”.
Altro pezzo ostico sulla carta, che si traduce in quasi cinque minuti che dal vivo si preannunciano infuocati, così come la penultima Finisce Male, anticipata da una lunga e inquietante introduzione di fiati, a fare da contraltare all’interludio di Nubifragio dal precedente album. Il brano poi esplode tumultuoso (mi ricorda quella scena del finale di Inception dove Leonardo DiCaprio si risveglia sulla spiaggia con le onde che erodono i grattacieli diroccati) e il focus è ancora la mente, il nostro cervello come un’enorme ed incomprensibile “banca dati”, gli hard-disk della memoria che immagazzinano informazioni per anni, selezionando di propria volontà quali mantenere e quali no.
Sembra passata una vita da quando i Gazebo Penguins cantavano di quando avevano messo a posto la cantina, o di quando avevano speso mezzo stipendio in coriandoli. Penso che una parte di ascoltatori, quella più distratta, li percepisca ancora come quella cosa lì, e che possa spaventarsi anche solo davanti all’idea del concept di Temporale.
Al tempo stesso, quanto è bello vedere degli artisti che ami continuare a sfidare loro stessi e la propria produzione artistica con temi e concetti che continuano ad evolvere e mutare nel tempo? Dopo la fisica quantistica e i processi che regolano il nostro cervello, cosa ci aspetta?
“Nessuno mai saprà / Se il me stesso di ieri poi domani sparirà” cantano in Mnemosyne, ma ci auguriamo che questa mappa dei ricordi che lega i Gazebo Penguins di ieri, oggi e domani non si spezzi mai.
Per cantare ancora una volta sotto al palco di quando abbiamo perso il tram delle 6 e ci siamo interrogati se siamo solamente ospiti nel nostro cervello.
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Last modified: 21 Marzo 2025