Molto spesso è difficile giudicare la primissima demo di un gruppo. Per le esigue canzoni, per la mancanza di informazioni, per la strada non ancora ben definita… ma a quelle persone che si chiedono se sia proprio necessario per un giovane gruppo registrare una demo, beh, io credo di sì. Perché la sicurezza, la bravura e la tranquillità sul palco derivano dall’esperienza e perché no, anche da qualche errore e quindi perché non sfruttare al meglio la facilità della tecnologia odierna? Registrarsi per poi riascoltarsi è un passo fondamentale per l’autocritica. Tutta questa peregrinazione serve per presentare la prima demo (uscita nel 2012) del giovane gruppo pugliese, proveniente da Orsara di Puglia (provincia di Foggia), Il Giunto di Cardàno, formato da Giuseppe Colangelo (chitarra e voce), Andrea La Gatta (chitarra), Mariano Cericola (basso) e Davide Tappi (batteria), che dopo parecchie esperienze sui palchi pugliesi, ha partecipato a vari concorsi musicali, vincendo il primo premio a “Talent’s hell – Capitanata in Musica”.
Partendo dal nome, il gruppo sembra avere le idee chiare. Infatti il giunto è un organo per trasferire energia cinetica da un motore agli altri elementi e loro vorrebbero trasmettere energie emozionali, attraverso la musica. Anche il genere sembra chiaro. Brit-Rock. E le influenze, che loro stessi citano (Pink Floyd, Jimi Hendrix, Eric Clapton, Oasis, Blur, Kasabian, The Beatles, The Rolling Stones, Litfiba, Marlene Kuntz, Afterhours) si sentono tutte. Infatti come si legge sulla loro pagina Facebook: il genere è rock, con l’intento di fondere sonorità british alla scena musicale italiana, strizzando anche l’occhio all’ indie-rock e alla musica underground indipendente.
Ascoltando il primo brano Senza parole, si percepisce un buon sound, un ottimo impasto tra tutti gli strumenti, una voce intonata, anche se il timbro non è dei più riconoscibili, e un linguaggio semplice e diretto, che ha l’obiettivo di permettere al pubblico di immedesimarsi nelle situazioni e nei contesti raccontati. Contesti odierni, raccontati attraverso le visioni sonore, molto orecchiabili (il che non è sempre un male), di un giovane gruppo foggiano. Troppe cose è il secondo brano, che come il primo si apre con un intro strumentale di qualche secondo per definire l’atmosfera decisamente rock, assieme al cantato molto british, in alcuni punti un po’ basso rispetto all’accompagnamento, che appare tutto uguale (assieme al testo), se non fosse per l’assolo di chitarra che questa monotonia un po’ la spezza. Tutto questo si potrebbe dire del terzo brano Non c’è dolore, che non si distingue per il testo particolarmente profondo e per le parole che spesso non vengono ben scandite, il che è un peccato, perché il canto è quasi la cosa più importante, quell’elemento che la gente percepisce per primo e imprime nella mente, quindi perché non sfruttarlo al massimo, e magari non aggiungere al brano più di un bel assolo di qualsivoglia strumento, fatto bene e un po’ più veloce, dato che la parte strumentale è il punto di maggior forza? C’è chi lo apprezzerebbe in ogni caso e dimenticherebbe tutto il resto. L’intimo e i pensieri più profondi del Giunto, si ascoltano nell’ultimo brano Mai. Abbastanza orecchiabile, simile a tutti gli altri, stessa struttura, quasi stessa intonazione della voce, ritmo sostenuto, sempre sostanzialmente rock.
Ma gli elementi buoni del Giunto di Cardàno rimangono molti: buon sound, ottimo colore e buona tecnica rock. Timbro vocale e testi che non fanno impazzire, ma che comunque hanno una buona base e che sicuramente se curati nel tempo daranno i propri frutti. Quindi il consiglio è quello di non bruciare le tappe, di pensare a qualche ballata, di diversificare l’andamento dei pezzi, di ragionare bene sulla struttura del disco (e non canzone per canzone) e di trovare prima il “voi” e il vostro significato per poi portarlo sui palchi con maggior forza e consapevolezza.
Last modified: 23 Gennaio 2013