Abbiamo incontrato la band pop wave romana in occasione del loro concerto al Garbage Live Club.
Per noi che avevamo già apprezzato le loro produzioni in studio, ascoltarli dal vivo a Pratola Peligna è stata la conferma di un amore a primo ascolto. Quello dei Soloperisoci è il pop come vorremmo che fosse. La consapevolezza di essere davanti a ragazzi con tutte le carte in regola per arrivare lontano ci spinge a conoscerli meglio e soprattutto capire dove sia davvero questo “lontano” bramato da tutti.
Ciao ragazzi, come state? Com’è andato il concerto al Garbage?
Ciao! Il concerto è andato molto bene. È uno di quei posti piccoli dove si respira un’aria molto punk rock. E in provincia si trova un pubblico molto attento.
Raccontatevi in breve a chi non sa chi siate. Che fine ha fatto “Ernesto” (Il nome della vecchia band è Ernesto e i soci ed Ernesto è il frontman, ndr)?
Ernesto sono io, sono sempre qua e sono sempre il cantante. Solo che non sono più il solo autore e compositore della band.
Perché avete cambiato nome? Siete consapevoli di quanto una cosa tanto semplice possa avere peso sulla vostra “carriera”?
Si, abbiamo cambiato nome proprio per questo. Scegliendo qualcosa che ci rappresentasse di più e per il momento sta piacendo molto in giro.
Parliamo della vostra musica. Nel descrivervi ho citato la new wave, i Cure, gli Smiths, le chitarre rumorose ed effettate, gli anni Ottanta ma anche l’indie italiano moderno, la melodia, gli ex Otago. Oltre quello che arriva a noi, da dove viene la vostra musica, tra influenze, formazione e passato?
Sicuramente i Cure e gli Smiths sono tra le influenze più importanti. Poi negli ultimi anni è nata proprio una passione e una ricerca per tutto un certo tipo di musica di quel periodo. Abbiamo scoperto veramente miliardi di gruppi. Tra quelli che stiamo ascoltando di più ultimamente possiamo citare The Church e Go-Betweens, entrambi della scena australiana anni 80.
La scelta di cantare in italiano pare l’unica possibile per farsi notare in penisola ed è stata la vostra scelta. Ci è stato più facile capire che nonostante una malinconica allegria che pervade i pezzi, c’è anche tanta disillusione quando parlate di droga, solitudine o donne. Il modo in cui trattate certe cose è uno dei motivi per cui ci siete piaciuti tanto. Come nascono le vostre canzoni sotto l’aspetto lirico?
Nel mio caso posso dire che le canzoni nascono sempre da un qualcosa del genere. Disillusione mi sembra una parola abbastanza azzeccata. Nascono quando provo un forte disagio interiore e scrivendoci una canzone provo sia a spiegarmelo sia a creare il brano perfetto che vorrei ascoltare in quel momento ma che non esiste.
Sanremo si avvicina; in un mio vecchio pezzo insistevo sul non essere tanto felici di vedere il mondo alternativo invischiarsi con l’industria. Gli indipendenti hanno perso scegliendo di cedersi al festival, dimostrando l’impossibilità di una controcultura musicale credibile a medio raggio in Italia. Quale immaginate possa essere il vostro percorso artistico? Quale sognate? Sanremo si, Sanremo no?
Questa è una cosa che accusiamo molto: il fatto che non ci sia più una vera scena indipendente in Italia che riesca a dire la sua e quello che c’è stato qualche anno fa con la scena indie/itpop sembra essere già finito. Noi ovviamente speriamo di riuscirci canzone dopo canzone, concerto dopo concerto. Ma non ti nascondiamo che un’opportunità come Sanremo non la scarteremmo a priori. Mentre questa estate abbiamo rifiutato di fare X-Factor dopo che ci è stato proposto da una scouter e dopo aver passato la prima selezione.
Torniamo a voi. Non avete ancora un full length ma continuano a uscire singoli e video. Il mondo social, la sua velocità e immediatezza, la pochezza dei contenuti a discapito dell’immagine e la caduta del mercato discografico fisico stanno decretando la morte del buon vecchio album; c’è ancora una strada percorribile?
Ce lo chiediamo anche noi. Abbiamo scelto di pubblicare più singoli possibili proprio per far avere a ogni canzone più attenzione possibile. Ma contiamo ancora di pubblicare l’album e di stampare anche i vinili. Per noi rimane un processo imprescindibile. Per quanto riguarda la velocità invece nel nostro caso gioca a nostro favore poiché abbiamo veramente tantissima musica ancora da pubblicare e ancora da registrare. Idealmente potremmo fare uno o due album all’anno.
La musica italiana sembra ormai ostaggio dei bambini; si produce al minimo delle possibilità con scelte di suono spesso ridicole; perché i numeri si fanno sulle piattaforme streaming, dove il tempo è importante e sono i ragazzini ad averne di tempo ascoltando con la bassa risoluzione dei loro cellulari. Quale futuro ha la nostra e vostra musica, allora? Diventerà una nicchia come il jazz o riuscirà ad adeguarsi al presente tornando a competere con rap, trap o qualsiasi altra moda finto alternativa del momento?
In realtà in America e nel Regno Unito c’è una scena molto vasta di gruppi come noi, tutti figli degli Strokes e di Mac DeMarco. È ovviamente una scena di nicchia ma con un’attenzione importante. Il problema mi dirai è proprio in Italia che è uno dei pochi paesi dove queste band non vengono mai a suonare all’interno dei loro tour europei. Noi speriamo di riuscirci perché le nostre canzoni, aldilà di come le suoniamo, sono tutte canzoni molto pop.
Oltre ai classici, cosa ascoltano di nuovo ragazzi come voi? Siete invischiati come noi in questo revival post-punk, in senso più ampio possibile o avete altro da consigliarci?
Si direi che siamo belli invischiati anche noi. Forse anche di più perché non riusciamo ad andare più avanti degli anni 90. Personalmente le cose più moderne che ascolto sono i The Drums (che fanno parte comunque del revival post punk) e Ariel Pink.
C’è un egocentrismo dilagante a livello sociale che si rispecchia molto anche nella musica. Quasi più nessuno palesa impegno sociale e decide di affrontare attivamente battaglie oggi più che mai necessarie. Tutti cantano dei propri drammi interiori e l’impegno è lasciato in mano a Fedez su Instagram. Avete mai pensato a voi come voce di minoranze (non esclusivamente etniche) come accadeva in passato o non è una cosa che vi interessa?
Personalmente non mi sento in grado di rappresentare una minoranza, facendo parte io di una maggioranza. Però nonostante in fondo scrivo anche io canzoni d’amore, cerco sempre, e spero di riuscirci, di trasmettere la mia visione del mondo. Mi sento in qualche modo di scrivere canzoni impegnate; non intendo ovviamente un impegno politico ma un impegno nel portare la mie idee sulla vita e sul mondo in cui viviamo.
Cosa avete in programma per i prossimi mesi?
Altri singoli, un album, e speriamo di mettere su un tour che sia il più lungo possibile e di arrivare piano piano in tutta Italia.
Siamo alla fine; giochiamo un po’. Parliamo dei Maneskin. Come cavolo sono riusciti a diventare la band italiana più famosa al mondo?
Penso un bell’insieme di cose: sicuramente hanno un’energia incredibile che alla gente arriva, una voglia di divertirsi e suonare insieme che contagia. Poi c’è da dire che non si possono considerare proprio degli artisti “italiani” che hanno avuto successo in tutto il mondo, perché dall’inizio della loro carriera la loro intenzione è sempre stata quella di fare musica scritta in inglese per un pubblico internazionale, fatta eccezione per il singolo sanremese e qualche altra canzone. Un’altra cosa da dire poi è che si parla tantissimo di loro ma quasi mai della loro musica, sono un fenomeno di spettacolo. Non si può dire la stessa cosa ad esempio dei “fenomeni” della trap, che sono diventati tali grazie ai loro testi che facevano scalpore, per il linguaggio nuovo che hanno portato.
Se poteste derubare tre band contemporanee di qualsiasi cosa, materiale o non, cosa rubereste a chi?
Ruberei le Rickenbacker a Johnny Marr degli Smiths e lo stile ai Fontaines D.C.. Facciamo due?
Qual è la cosa più divertente che vi è capitata ad un vostro concerto e la cosa più brutta?
Ale che dalla foga fa cadere per terra il suo amplificatore durante una canzone. La cosa più brutta non saprei, i live floppati forse.
Ultima domanda; torniamo alla nostra premessa. Una band come voi merita di arrivare lontano. Come immaginate questo lontano? Avete mai pensato a quale possa essere il vostro obiettivo nel breve ma anche nel lungo termine?
Io personalmente ho smesso di farmi aspettative, perché tutte le mie aspettative erano sempre al massimo, come arrivare a suonare negli stadi. Mi sono reso conto che non era costruttivo. A breve termine sicuramente, come già detto, riuscire a suonare in più posti possibili in tutta Italia dopo l’uscita del nostro disco.
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Ciao ragazzi, grazie del tempo, del concerto e speriamo di rivederci presto.
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Last modified: 30 Gennaio 2023