Autoritratto di un artista ripercorrendo le tracce del suo nuovo album uscito per INRI.
(di Chiara Grauso)
Il 28 febbraio è uscito l’ultimo lavoro in studio di Dente: un album omonimo di 11 brani, a quasi quattro anni di distanza da Canzoni per metà. Anni di “pausa” che sono stati fondamentali per trovare la dimensione musicale che ha raggiunto oggi, così come lo sono state alcune delle esperienze che lo hanno preceduto: il tour con Guido Catalano, per esempio, che vedeva il cantautore al pianoforte, strumento diventato essenziale per questa realizzazione.
Dente è un album in cui l’artista non ha paura di dire “io”: un io che emerge dal titolo, dalla foto in copertina, ma soprattutto dalle undici canzoni che lo compongono. Per questo non deve stupire, né dovrebbe passare inosservata, la scelta di aprirlo con Anche se non voglio:
“Sono io quando mi sbaglio
Quando rido, quando piango
Quando mi sveglio, quando mi spoglio
Sono io anche se non voglio.
E quanto è vero Iddio
Ho ballato sulle onde dell’oceano
So volare senza ali e respirare
Sotto al livello del mare.”
Non solo autoritratti; i brani che si susseguono nascondo un altro protagonista: il tempo che passa (Adieu), il tempo passato (La mia vita precedente) e quello che verrà (Tra 100 anni). È il tempo ingombrante e rumoroso con cui stiamo avendo a che fare in questi giorni: ci sembra di contarli tutti i minuti e i secondi di cui sono fatte queste ore.
“Come fanno le onde del mare
a non stancarci mai?
come fanno le stelle del cielo
a non spegnersi e poi
com’è che gli anni che passano svelti
sono fatti di minuti lenti?”
Senza saperlo, l’album riesce a trovare la sua attualità anche nei giorni successivi l’uscita: giorni in cui ascoltandolo possiamo cogliere quei dettagli che in un altro momento, forse, ci sarebbero sfuggiti. Ho conosciuto Dente con Un fiore sulla luna, mi sono innamorata con Vieni a vivere, e ho capito la sua musica con Cose dell’altro mondo. Penso che le sue canzoni abbiano bisogno proprio di ‘tempo’: per poterle ascoltare con attenzione, e per poterle capire, perché nascondono una sottile cura per le parole che merita di essere svelata e apprezzata.
Nei giorni scorsi abbiamo fatto una chiacchierata direttamente con lui, in cui abbiamo ripercorso insieme queste tracce, provando a capire chi è, e come si è formato, il Dente di oggi.
L’album ha avuto una lunga gestazione, e ti ha visto collaborare con più persone. Cosa che inizialmente mi ha stupita, visto il forte senso identitario che trasmette – anche solo esteriormente, dal nome alla copertina. Forse però, per comprenderci al meglio, è giusto guardarci anche da fuori, e potrebbe essere un po’ quello che hai fatto tu. Quanto è stato importante, in questo senso, il confronto con altri musicisti?
È stato fondamentale, hai ragione quando dici che per conoscerci dobbiamo vederci da fuori, capire chi siamo agli occhi degli altri e vedere se coincide con la nostra idea di noi stessi. Non coincide quasi mai. Il confronto che ho avuto con altre persone nel bene e nel male, nel rifiuto e nell’entusiasmo mi ha fatto bene e mi ha portato a fare quello che ho fatto, che in sostanza è un disco che mi piace molto e di cui vado fiero. Tutto serve, anche se al momento non ce ne rendiamo conto.
La traccia che apre l’album, Anche se non voglio, appare perfettamente in linea con il concetto che c’è dietro questo lavoro: “Sono io quando mi sbaglio / quando rido, quando piango / quando mi sveglio, quando mi spoglio / sono io anche se non voglio”. È un po’ una rivendicazione di ciò che siamo, a dispetto di quello che pensa la gente: nel brano è presente questa contrapposizione tra quello che senti di essere, e quello che pensano gli altri. Come vivi il giudizio altrui?
Lo vivo con apprensione, ho imparato con il tempo a misurarlo e calibrarlo ma non è sempre facile. Per me I giudizi negativi sono difficili da digerire e quelli positivi complicati da metabolizzare, sogno di arrivare un giorno a farli scivolare di più.
A metà dell’album troviamo, invece, Trasparente, che riporta due versi significativi: “c’è una cosa che mi manca e una che non so / che cosa sono stato, cosa sarò”. In queste parole sono racchiuse due linee riflessive che ho ritrovato nell’album: tra le diverse tracce si alternano la curiosità verso il futuro (Tra 100 anni) e lo sguardo un po’ nostalgico rivolto verso il passato (La mia vita precedente). Chi è, invece, il Dente di oggi?
È un equilibrista che cammina sulla corda che unisce il passato e il futuro cercando di non tornare indietro se non con il pensiero e di non correre troppo, non avere fretta. Cerco di godermi l’ebbrezza dell’equilibrio, il vento fresco che mi soffia in faccia e il panorama stando attento a non cadere.
“E poi / Com’è che gli anni che passano svelti / Sono fatti di minuti lenti”. Collegandoci alla domanda precedente, forse il secondo protagonista dell’album è proprio il tempo. Il tuo album precedente è uscito nel 2016; cosa c’è stato in questi anni svelti che hanno separato Dente da Canzoni Per Metà? Ci sono state delle esperienze che ti hanno permesso di definire meglio la nuova dimensione musicale di questo album?
Sicuramente si. In questi anni non sono stato fermo, ho portato in giro
Canzoni Per Metà per un anno intero con una band nuova rispetto ai tour precedenti, il bassista della band (Federico Laini) è poi diventato il produttore di questo nuovo disco e la band in questione lo ha registrato e poi ho fatto un tour con Guido Catalano che è durato un altro anno durante il quale ho iniziato a suonare il pianoforte con il quale ho composto quasi tutti i brani di questo disco. Poi ho registrato questo disco che è uscito quasi a un anno dalla sua chiusura. Alla fine se ci pensi, questo album non esisterebbe, così com’è, senza questi due anni e questi incontri. Mentre non ce ne accorgiamo nemmeno, le nostre esperienze ci portano a percorrere strade che non avevamo calcolato, io trovo che tutto questo sia stupendo.
Ricordo bene il giorno in cui è uscita Cose dell’altro mondo. Ho passato, letteralmente, la mattina dopo l’uscita ad ascoltarla, in ripetizione. Ci racconti qualcosa di questo brano?
È un pezzo a cui ho lavorato tantissimo, forse quello a cui ho lavorato di più in tutta la mia vita, ho cambiato strutture, ritornello, melodie, tonalità e testo due o tre volte, insomma è stata davvero dura. Per l’ultima stesura del testo mi sono rivolto col pensiero alla provincia, dove ho vissuto per trent’anni prima di trasferirmi. Ho pensato a chi dalla provincia non se ne va perché ci sta bene o perché pensa di starci bene, di come tutto sia più esotico quando non si conoscono le cose e di come ci si dimentica quando ci si lascia, quando si lascia un luogo, un amico, un amore. Lentamente, senza volere si diventa estranei ogni giorno di più.
Invece, Sarà la musica contiene quell’ironia che ti contraddistingue, e riporta un bel messaggio: “sarà la musica a cambiare il mondo / l’hanno detto oggi alla tv / ma se non ce la fa pensaci tu”. C’è stato un momento della tua vita in cui hai avuto la sensazione che la musica non fosse abbastanza, e hai pensato di metterla da parte?
La musica mi ha salvato la vita, lo dico sempre, non perché la faccio ma perché me ne sono innamorato in giovane età, ancora tanti anni prima di iniziare a suonare e non riuscirei a vivere senza. Quindi magari un giorno metterò da parte la mia ma di sicuro non smetterò mai di ascoltare quella degli altri perché le emozioni che mi trasmettono alcune canzoni sono insostituibili.
Dente è lo specchio di una persona matura, e sembra un lavoro coerente. L’evoluzione che ha vissuto la tua musica non viene percepita come un cambiamento drastico, bensì come una crescita interiore, effetto del passare del tempo. È cambiato il tuo modo di approcciarti alla musica, dalla scrittura dei brani fino alla loro esecuzione?
Tanto. Ho composto quasi tutto il disco al pianoforte, strumento per me nuovo e misterioso in un certo senso. Ho scritto cose che con la chitarra non avrei mai fatto, anche cose molto semplici che proprio per la loro semplicità non avrei fatto con uno strumento che conosco meglio. La cosa che più è cambiata riguardo al mio rapporto con la mia musica in questo disco è il senso fortissimo di paternità e protezione che ho sempre avuto nei confronti delle mie canzoni. In passato ho sempre cercato di preservare la mia idea rifiutando l’intervento altrui, anche il solo consiglio mi irritava. Una canzone come Cose dell’altro mondo non sarebbe mai nata in quella condizione perché i cambiamenti che ho apportato alla sua stesura sono stati dettati proprio da opinioni e consigli altrui. In questo disco ho anche lasciato suonare gli altri e ho lasciato che i produttori (Federico Laini e Matteo Cantaluppi) e i musicisti mettessero in discussione le mie idee, per questo l’ho definito il disco più collaborativo della mia carriera, perché mi sono fatto da parte.
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Last modified: 6 Maggio 2020