Siamo tornati a scambiare quattro chiacchiere con la band milanese, fresca di tour europeo (nonché di partecipazione al festival della Fuzz Club).
Dopo averli già incontrati nel maggio dell’anno scorso a Brighton (qui l’intervista fatta in occasione dell’edizione 2023 del Great Escape), ci siamo invitati in tour con i The Gluts per seguirli nel tragitto da Milano al Fusion Festival di Lärz nell’ambito del loro recente tour europeo.
La band milanese ci ha raccontato di Bang!, l’ultimo lavoro uscito nel maggio scorso per Fuzz Club Records a tre anni di distanza dal precedente Ungrateful Heart.
Un’intervista on the road che ci ha regalato aneddoti e dettagli sulla loro musica, sulle atmosfere dei loro live e sul rapporto con il pubblico in Italia e all’estero.
Ciao ragazzi, innanzitutto grazie di dedicarci del tempo durante il tour. Il vostro album precedente è uscito nel 2021, come siete arrivati a Bang!?
Claudia: Abbiamo iniziato a lavorarci da subito, questo ultimo album è stato molto istintivo ma al tempo stesso un sacco maturo. Abbiamo dedicato molto più tempo ad ogni singolo pezzo.
Marco: Siamo entrati in studio con le idee più chiare, i pezzi erano già quasi tutti pronti. Per gli altri dischi avevamo tre idee ed uscivamo con sette pezzi, ecco, questa è la differenza.
Bruno: Avevamo le idee più chiare su come dovesse suonare il disco.
Per la copertina dell’album avete scelto un pugno chiuso: dobbiamo vederlo come un messaggio politico?
C.: È tutto merito di Paolo Proserpio – bravissimo – che salutiamo! Ciao, Paolo! (ridono)
B.: Eravamo consci del significato del pugno chiuso – simbolo delle Black Panthers. E l’iconografia è molto politica, ma il disco di per sé non ha una connotazione politica.
C.: Era per dare un’idea di forza. Se avessimo dovuto trasformare i nostri pezzi in immagini, sarebbe stato un pugno in faccia! (ride)
Cade giù – il singolo di lancio di Bang! – è l’unico brano cantato in italiano dell’album. Come mai questa scelta?
C.: Il pezzo in italiano è nato totalmente per gioco!
Nicolò: Pensa che, quando siamo andati a registrare le pre-produzioni, il testo era già scritto per essere cantato in italiano, ma né Claudia né Bruno si erano accorti che io stessi cantando in italiano.
C.: Io non avevo capito che il testo fosse in italiano.
M.: Doveva essere uno scherzo per loro. Poi abbiamo registrato anche la versione in inglese, ma alla fine abbiamo tenuto quella in italiano.
C.: Sì, quella in italiano suonava meglio!
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A proposito di produzione, come nascono i pezzi dei The Gluts?
C.: Nascono in sala prove. Siamo tutti insieme, uno attacca e gli altri seguono simultaneamente. È molto raro che venga qualcuno con un’idea. Ci viene naturale comporre quando siamo insieme.
M.: Anche quando registriamo, registriamo sempre e solo in presa diretta, per cercare di trasmettere la nostra dimensione live.
Durante la composizione di un album vi capita di ascoltare degli artisti in particolare e di farvi influenzare?
C.: Non essere influenzati da altri artisti è molto difficile. Inevitabilmente ci sono degli ascolti in determinati periodi della tua vita che ti influenzano.
N.: Sì, in questo ultimo album abbiamo lavorato tanto su questo aspetto e ci ha permesso di far venir fuori maggiormente il basso, la batteria, le chitarre e livellare la voce. Come registrazione è quello che suona meglio rispetto agli altri dischi, dove ci lasciavamo andare all’ispirazione del momento.
M.: Ci ispira in particolare la ricerca sonora più indirizzata sugli anni ’90, abbiamo eliminato un po’ i riverberi, ad esempio.
Quanto incide il quotidiano sul lavoro di musicista? Vi capita di prendere ispirazione dalla vita di tutti i giorni?
C.: Tutti noi abbiamo scelto delle vite che ci permettessero di suonare. E ovviamente il quotidiano influisce sulla musica. Per me è quasi indistinguibile.
Per quanto riguarda l’ispirazione, Marco ad esempio ha due bambini di 10 e 6 anni, e nel vecchio disco avevamo un brano che si chiama Mashilla che è preso da una frase che dicevano i due bambini. Mashilla è un mostro mitologico, una chimera con la coda da leone, ed era un bambino che diceva all’altro “Tu sei un Mashilla!” e così è nato il titolo.
Lo scorso maggio avete suonato al Fuzz Club Festival, il festival della vostra etichetta. Com’è stata quest’esperienza?
C.: Fuzz Club è stato clamoroso! È un bellissimo festival, è proprio la festa della famiglia… non la famiglia tradizionale! (ride). Si respira un’aria molto bella, ed è pieno di band amiche, il locale è stupendo. Per noi è stato forse il più bel concerto di sempre!
N.: Per me che vado verso i 40 arrivare a suonare all’una e mezza del mattino è stata dura! (ride)
Siamo arrivati giovedì, venerdì ci siamo goduti l’atmosfera e sabato eravamo l’ultima band della giornata. Sali sul palco e vedi la gente che è lì dalle tre del pomeriggio che è carica e ha voglia di sentirti. È una super soddisfazione, un’occasione unica!
C.: Nico era vestito da Freddie Mercury! Total white! (ridono)
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Suonate ormai da diversi anni in Italia e all’estero. Trovate delle differenze nell’atmosfera, nel pubblico?
N.: Clamorosa!
B.: L’attenzione generale è maggiore all’estero. Si ha l’occasione di instaurare una connessione tra noi che suoniamo e il pubblico. Poi noi suoniamo per e con il pubblico e questo riesce meglio all’estero. C’è più curiosità verso l’ascolto.
C.: Forse è anche per il genere che facciamo. In Italia vanno più altri generi musicali, si trova qualche spazio ma solo in determinate situazioni. Invece all’estero c’è maggior spazio per la nostra scena, la gente viene di più ai concerti, compra il merch, si interessa…
N.: Io ho un aneddoto. Abbiamo presentato il disco a Londra un mese fa. Al secondo pezzo mi sono agitato un po’ troppo e, saltando giù dal palco, ho rovesciato completamente la birra di una ragazza davanti al palco, che ha preso l’asta del microfono in faccia e a fine concerto aveva l’occhio nero. Se fosse successo a Milano penso che mi avrebbero insultato, invece lei era gasatissima e mi ha addirittura ringraziato! Quindi sì, l’atmosfera all’estero è completamente differente.
B.: Aggiungo una menzione speciale per il PALP Festival in Svizzera, dove abbiamo suonato in una stalla e il pubblico ha iniziato a pogare subito e hanno smesso quando abbiamo concluso. Con un Nico che neanche riusciva a cantare perché gli hanno fatto fare crowd surfing. (ridono)
Ultimamente in effetti le band italiane sono sempre più presenti all’estero. Come mai secondo voi?
N.: È più facile suonare all’estero perché c’è più seguito, come dicevamo prima. So che può sembrare assurdo, ma è più semplice andare a suonare nel mezzo della Germania che non a Milano e nel resto d’Italia.
In Italia riusciamo ad organizzare pochi concerti nelle grandi città. Se dovessimo pensare di fare un tour italiano di venti date, sarebbe praticamente impossibile per noi riuscire a metterlo in piedi. È un peccato, ma purtroppo è cosi da sempre.
C.: In Italia suoniamo soprattutto nelle città principali, come Roma, Milano, Firenze, Torino.
B.: Le agenzie di booking ormai sono consapevoli di questa situazione e quindi spingono lì dove c’è più mercato.
Per concludere – visto che siete attualmente in tour – tre cose che amate fare quando siete on the road?
C.: Cose legali? (ridono)
B.: Possiamo concludere così: “Tutto ciò che è bello in vita è illegale o immorale”!
Grazie mille ragazzi e buon tour!
The Gluts: Grazie a voi! Ciao!
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Fuzz Club Records interview Intervista Italia noise rock Psychedelic Rock punk The Gluts
Last modified: 15 Luglio 2024