Il gusto dei trent’anni || Intervista a Francesco Motta

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Del promo tour de La Fine dei Vent’Anni, disco di esordio di Francesco Motta uscito per Woodworm Label a marzo scorso, quello di questa sera a L’Aquila sarà il quinto live a cui assisterò. Dopo averlo osservato calcare i palchi più disparati, posso dire con cognizione di causa che tra le qualità di questo cantautore senza dubbio c’è anche la genuinità.

Mentre fa quello che ama la carica di Francesco è sempre la stessa, che si tratti di introdurre i Jesus and Mary Chain al pubblico del Todays Festival o di scaldare una serata infrasettimanale su un piccolo stage di provincia.
Il merito è anche della palpabile sintonia tra il cantautore e i suoi compagni sul palco: Giorgio Condemi alla chitarra elettrica, Federico Camici al basso, Leonardo Milani alle tastiere e Cesare Petulicchio (metà dei Bud Spencer Blues Explosions), che lo accompagna alla batteria anche dal vivo. È dal rapporto con loro che inizia la mia chiacchierata con Motta venerdì scorso, prima del suo concerto al Parco del Castello di L’Aquila, uno degli ultimi di questo lunghissimo tour che si concluderà il 1° ottobre al The Cage Theatre di Livorno.

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Rockambula: Com’è nato il sodalizio coi musicisti che ti accompagnano dal vivo?

Motta: Cesare aveva già lavorato con me nelle registrazioni del disco. Lui e gli altri sono di Roma e avevano già suonato insieme, sono persone che frequentavo, ci conoscevamo già e da parte mia c’era il desiderio di averli con me in tour, erano loro i più adatti, sono fortissimi.

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R.: La fine dei vent’anni e l’inizio dei trenta. A starlo a guardare, il tuo percorso artistico sembra dire che il Punk è roba da ventenni, poi arrivano i trenta e si passa al cantautorato, perchè bisogna cambiare i modi e il linguaggio. Ma si può essere Punk anche a trent’anni?

M.: Io ho scoperto qual è il mio modo di essere Punk. L’importante a mio avviso è la forza che ci metti nel volerti esprimere. Non necessariamente si tratta di salire sul palco e fare come i Ramones. Nella mia concezione, il Punk ha a che fare con una volontà estrema di comunicare, con l’avere un tot di energia e riuscire a farla arrivare tutta, quindi ora che ho i mezzi per farlo, molti di più rispetto a prima, con la stessa energia riesco a far sì che il messaggio sia molto più forte. Mi sento di aver capito il Punk molto più adesso rispetto a quando avevo vent’anni, quando significava urlare e basta. 

R.: Però ci sono alcuni brani dei Criminal Joker che tuttora ti porti dietro in versione live (tra cui “Cambio la faccia”, riarrangiata intorno a una parentesi strumentale Post Rock, lunga e poderosa, la più gradevole delle sorprese del live di Motta, ndr). Come mai proprio quelli?

M.: Beh, perchè gli altri non c’entrano niente. È una questione di testi, di quanto mi ci sento ancora dentro. Fondamentalmente tra i testi dei brani dei Criminal Jokers (due dischi all’attivo di cui il primo in inglese, This Was Supposed To Be The Future del 2010, e Bestie del 2012, ndr) sono quelli che mi piacciono di più.

R. Anche a me. Si può dire? L’ho detto.

M.: Ma sì, dai. È quello che dicono tutti. Altri pezzi non mi sento proprio di farli, non riesco a cantarli, mi sembra di fare delle cover. All’epoca mi divertivo, mi sono sempre divertito, perchè la musica c’è, ma a livello testuale quei brani non erano pronti.

R.: Quindi dov’è che si inserisce Riccardo Sinigallia nel tuo nuovo modo di fare musica (l’ex Tiromancino è il produttore de La Fine dei Vent’Anni, nonchè coautore di alcuni brani, ndr) ?

M.: Proprio in questo, nell’avermi fatto capire quando i testi non erano pronti, anche durante i provini. Quando è subentrato in produzione ha rispettato tantissimo quello che c’era già, ma voleva assolutamente che ogni pezzo fosse incisivo, ci teneva che lo fosse proprio perchè si trattava del primo disco. ‘Sti cazzi della cornice, doveva esserci il quadro. Spesso nelle canzoni dei Criminal c’erano delle bellissime cornici ma non c’era il quadro. Con lui ho lavorato soprattutto sui testi. La musica serve per rispettare il testo, spendere mesi e mesi sugli arrangiamenti serve ad “aiutarlo” a venir fuori ancora di più. Il testo secondo me è la cosa più importante in una canzone, in generale. Anche quando non c’è. Anche la scelta di non metterci un testo è in qualche modo “testo”.

foto di Francesca Santacroce

R.: Tu sei uno che ci tiene ai riconoscimenti? Te lo chiedo perchè ora che i riconoscimenti sono arrivati (quest’anno Motta si è aggiudicato il Premio Tenco come migliore Opera Prima e il MEI PIMI 2016, ndrpuoi permetterti di rispondere in maniera sincera.

M.: Sì, ci tengo. Innanzitutto perchè non ho mai vinto un cazzo nella vita. Secondo, perchè ho passato veramente tanti anni da solo, in casa, con la mia ragazza, con Riccardo (Sinigallia, ndr), a cercare di tirare fuori il cuore e di metterlo sul tavolo, mentre tutti mi chiedevano “allora ‘sto disco quando cazzo esce?”. È stata una guerra in cui eravamo pochissime persone, persone che hanno investito in questa cosa senza sapere assolutamente cosa sarebbe successo, ma sicuri di voler fare quello che stavano facendo. Ora che il consenso si è allargato mi fa piacere non solo per me, ma anche per chi c’è stato sin da tempi non sospetti.

foto di Francesca Santacroce

R.: Che musica ascolti? Dal tuo percorso musicale personale è intuibile che le ispirazioni siano più di una. E poi non è detto che la propria musica debba corrispondere necessariamente ai gusti musicali da ascoltatore.

M.: No, infatti. Ultimamente sto ascoltando tantissimo Salmo. Però mentre lavoravo sul disco ascoltavo pochissima musica, a parte i miei provini. C’è stato un concerto che sicuramente ha cambiato il mio modo di pensare su certi aspetti, quello dei Tinariwen, un gruppo del Mali. 

R.: Ci sono artisti italiani emergenti, meno noti, con cui magari hai diviso il palco, che ti hanno colpito particolarmente?

M.: Sì, l’anno scorso mi è capitato di chiedere a due persone di produrre il loro disco. Uno è Lucio Corsi. L’altro è uno che tra un po’ inizierà a riempire i palazzetti dello sport. Anzi, in realtà già lo sta facendo, ma non posso dire il nome. Ah, ovviamente non ha accettato la mia proposta.

R.: Il futuro con la Sugar?

M.: Mi sento più responsabile. Alla Sugar sono tutti professionisti, e la Caselli (Caterina, ndr) crede tantissimo in quello che faccio. Ora non devo più chiedere i soldi ai miei, che sono stati indispensabili finora, questa “indipendenza” di cui si parla per me non esiste, perchè io senza i miei genitori altro che indie, sarei proprio nulla. Sono responsabilizzato dal fatto che ora è diventato davvero il mio lavoro. Non che dai diciott’anni a questa parte abbia mai pensato che non lo fosse, però ora si deve far sul serio. Mi sono già messo a scrivere il disco nuovo, sicuramente lo farò con Riccardo Sinigallia. Necessariamente con lui, altrimenti non faccio più altri dischi (ride, ndr). Stiamo per iniziare a lavorare insieme anche sul suo. Cercherò di dargli una mano, per me è già un onore essere in studio con lui mentre nascono le sue canzoni, perchè oltre ad essere un ottimo produttore è uno dei più bravi scrittori di canzoni che ci sono in Italia.

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Salutiamo Francesco con la convinzione che anche i suoi quadri, quelli di oggi e quelli che verranno, resteranno a lungo appesi nella galleria dei migliori autori nostrani. Il gusto di avere trent’anni sta nell’aver già imparato a fare le cose essenziali, come non farsi del male, trovare parcheggio e scegliere i colori più schietti con cui descriversi.

Last modified: 21 Febbraio 2019

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