Con indulgenza verso le contraddizioni, la cantautrice confeziona pop ibrido e assai poco prevedibile.
[ 01.05.2020 | Carpark / Wax Nine | songwriting, psych folk ]
Come un esploratore cinquecentesco che si imbarca alla volta dell’India e si ritrova su un continente nuovo, scopro Johanna Warren qualche tempo fa, per caso, grazie a un brano a cui la cantautrice originaria della Florida ha scelto di dare lo stesso nome di uno dei miei pezzi preferiti dei Wild Beasts.
Mea culpa: la Warren non è alle prime armi. Bed of Nails anticipava di alcuni mesi questo Chaotic Good – ultimo di cinque album da solista, preceduti da altri due pubblicati con la formazione psych folk Sticklips – e mi risvegliava i sensi coi suoi toni lisergici cullanti e dilavati. Quell’incedere circolare, quelle linee vocali che cercano invano una via di fuga continuando ad avvolgersi su se stesse: l’impressione fu quella di trovarmi di fronte a una che, se decidesse di assecondare la propria natura, non si preoccuperebbe di ricorrere a tanti espedienti, e le cose le direbbe gridando.
Ascoltando l’album viene fuori che in effetti ciò che governa la scrittura di Johanna Warren è un’irrequietezza latente, una peculiarità che turba le melodie placide incrinandole appena, ma perfettamente in grado di farle a brandelli: Twisted, che svela da subito un’attitudine slacker nelle chitarre e poi con movimento ascensionale muta il timbro pulito di Johanna in stridori catartici, è un momento isolato in cui la cantautrice suona un po’ come come la versione autentica di se stessa. Il risultato è sensazionale, il proverbiale pugno di ferro nel guanto di velluto.
Rispetto al folk garbato degli esordi, nei brani di quest’album sembra esserci lo spazio necessario a una personalità più complessa, che possiede una sorta di indulgenza verso le proprie contraddizioni come essere umano e le traduce in un pop ibrido e assai poco prevedibile, sebbene oltre la suddetta Twisted non ci siano altri episodi altrettanto detonanti. La Warren che troviamo nel resto del disco costruisce la propria arte centellinando le energie centrifughe, consapevole dell’efficacia comunicativa del saper dosare suoni e istinti.
Rose Potion inaugura l’ascolto con linee vocali articolate e atmosfere arcaiche (riecheggia in lontananza la lezione di Joanna Newsom, anche se qui il tutto è epurato da intenti avanguardistici e dalla componente revisionista). Il pop dai toni blues di Part of It è spiccatamente radiofonico ma l’accento resta su una certa complessità della melodia. Retaggi trip hop si annidano nei synth di Faking Amnesia, le perturbazioni persistono nell’aura cinematografica di Every Death. Anche nei momenti in cui piano e voce sono i protagonisti, fondali stratificati di riverberi leggeri e fiati dal sapore ancestrale conferiscono spessore e carattere al sound (Only The Truth, Bones of Abandoned Future).
Dal titolo ossimorico e suggestivo, Chaotic Good è senz’altro un disco pregevole e compiuto, ma i più caotici tra noi rimarranno forse un po’ inappagati, chiedendosi quale sarebbe stato il risultato se quella tensione sottintesa avesse avuto più di un’unica occasione per esplicitarsi appieno.
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Last modified: 3 Maggio 2020